Verdi, Mendelssohn e Beethoven • Muti
- Lorenzo Giovati
- 9 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Ravenna, Palazzo Mauro de Andrè. 5 Luglio 2025.
Riccardo Muti è tornato nella sua Ravenna, città che lo ha adottato e che lo celebra ogni anno come figura cardine del Ravenna Festival. In questa edizione, il maestro è stato protagonista di ben tre appuntamenti al Pala De André: due concerti sinfonici e un evento speciale che ne ha ribadito la centralità artistica e affettiva. A capo della sua Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, fondata proprio per offrire opportunità ai giovani talenti italiani, Muti ha proposto un programma articolato e ricco di riferimenti alla propria storia interpretativa, in un concerto atteso e partecipato.
La serata si è aperta con la Sinfonia da I Vespri siciliani di Giuseppe Verdi, autore che ha accompagnato e definito in profondità il cammino musicale del direttore. La lettura, come spesso accade in questa fase della carriera del maestro, è apparsa più concentrata sulla trasparenza del disegno e sulla chiarezza espositiva, che sulla forza trascinante. Meno veemenza, forse, ma grande controllo espressivo e padronanza del fraseggio: è stata una direzione che ha convinto per autorità e per intelligenza, più che per slancio. Il pubblico ha premiato questa visione con un lungo applauso, riconoscendo nel gesto asciutto di Muti un rigore che continua a imporsi, anche nei passaggi meno teatrali.
Il secondo brano in programma era la Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 di Felix Mendelssohn, l’“Italiana”, una delle pagine più luminose e leggere del repertorio sinfonico ottocentesco. Qui l’approccio del maestro Muti è stato meno indiscutibile. Il maestro ha scelto di enfatizzare la cantabilità delle linee melodiche e la qualità del suono orchestrale, rinunciando in parte ad esaltare l’agilità e la frizzantezza che non di rado contraddistinguono le letture più “mediterranee” di questo brano. Il primo e l’ultimo movimento sono parsi un po’ trattenuti, quasi affaticati, e il senso di leggerezza che dovrebbe caratterizzare la sinfonia ne è uscito vagamente attenuato. Molto meglio sono risultati invece i due movimenti centrali: il secondo, con il suo passo severo e malinconico, ha trovato nella dilatazione dei tempi una propria profondità espressiva, mentre il terzo è stato raffinato, ben scolpito nei fraseggi e molto impreziosito dal suono setoso degli archi. Una lettura nel complesso interessante, più pensata, che spontanea, ma mai priva di coerenza e sempre ricca di fascino.
Dopo l’intervallo, il programma ha dato spazio alla Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 di Ludwig van Beethoven, vertice del repertorio e banco di prova imprescindibile per ogni direttore. Il maestro Muti, che aveva già proposto la Settima sinfonia nella serata inaugurale del festival, ha affrontato la Quinta con serietà e con rigore, ma senza riuscire a imprimere una visione davvero trascinante. Il celebre primo movimento è risultato benissimo costruito, ma non del tutto incisivo: le dinamiche, piuttosto controllate, sono parse puntare più all’effetto, che alla tensione interna. Il secondo tempo, dai contorni un po’ affrettati, ha evidenziato una certa disattenzione nel disegno delle frasi, soprattutto nelle linee dei violoncelli. Non così il terzo movimento che ha invece rappresentato il punto più alto dell’esecuzione, compatto e misterioso; mentre il finale, pur equilibrato nel suono orchestrale, è anch’esso risultato orientato, più alla creazione dell’effetto, che allo sviluppo narrativo e alla progressione drammatica del discorso musicale. Al di là della resa dei singoli movimenti, è parsa quindi non essere chiaramente leggibile un’idea unitaria dell’intera architettura della sinfonia, come se ciascun tempo vivesse in una sorta di autonomia espressiva. Il pubblico ha comunque accolto con entusiasmo l’intera esecuzione, premiando un’interpretazione che, pur non innovativa, ha saputo mantenere piena l sua autorevolezza.
L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini si è confermata un’eccellente compagine: archi precisi e vellutati, ottoni ben intonati e corni particolarmente ispirati hanno garantito una resa tecnica di altissimo livello. Nonostante alcune scelte interpretative meno convincenti, l’ensemble ha dimostrato maturità e affiatamento, restituendo al pubblico una prestazione solida, attenta e molto professionale.
In conclusione, il maestro Muti, anche nei momenti meno trascinanti, continua a proporre un’idea di musica fondata sulla profondità e sulla consapevolezza, evitando scorciatoie e rifiutando l’approccio estemporaneo. Un concerto atteso e applaudito, che non ha forse lasciato un segno indelebile, ma che ha ribadito il ruolo centrale del maestro nella vita musicale di Ravenna.










