Aida • Mehta
- Lorenzo Giovati
- 7 lug
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Firenze, Teatro del Maggio. 1 Luglio 2025.
A pochi giorni dalla presentazione della nuova stagione 2026, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino ha chiuso il Festival del Maggio con un titolo di sicuro richiamo: Aida di Giuseppe Verdi, affidata alla direzione di Zubin Mehta, direttore emerito dell’orchestra e ormai autentico punto di riferimento musicale per la città.
Proprio la concertazione di Mehta ha costituito l’asse portante di uno spettacolo che sul palcoscenico non sempre si è dimostrato uniforme. La bacchetta del maestro, salda e mai frettolosa, ha saputo imprimere un respiro nobile all’intera partitura, lavorando con grande attenzione al suono orchestrale e restituendo fraseggi ricchi di sfumature e di colori. Colpisce la lucidità con cui Mehta affronta ancora oggi questa partitura, cesellando con estrema precisione ogni intervento strumentale e garantendo alla struttura del dramma un sostegno saldo e consapevole. Alcuni passaggi avrebbero potuto forse guadagnare un maggiore impeto (come il duetto tra Amneris e Radames o la scena del processo al terzo atto, dove la tensione si è un po’ appiattita) ma resta la cifra inconfondibile di una lettura elegante, misurata, governata con la serenità e l’autorità di chi realmente ha compreso la partitura di Verdi.
L’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, valorizzata al massimo dal gesto contenuto, ma rigoroso, del maestro, ha risposto con un rendimento di alto livello: suono compatto, timbri ben amalgamati, ottoni in forma smagliante e una sezione dei fiati sempre precisa ed espressiva. Anche il coro, preparato da Lorenzo Fratini, si è distinto per coesione e per ampiezza di suono, con particolare efficacia nella cupezza drammatica dei sacerdoti nel quarto atto.
Sul piano vocale, invece, la produzione non ha convinto appieno. Olga Maslova, impegnata nel ruolo del titolo,nonostante fosse stata annunciata indisposta, ha dato prova di grande professionalità e dedizione, qualità riconosciute da un pubblico che le ha tributato un caloroso applauso. La voce, dal bel colore e dal volume generoso, non sempre è apparsa salda in zona acuta, dove si sono percepite tensioni e qualche imprecisione d’intonazione. Il personaggio ne è risultato piuttosto granitico, a tratti irrigidito, con qualche difficoltà nei filati e nei legati, forse dovuti all’indisposizione, che però non giustificano appieno un’interpretazione che avrebbe meritato più sfumature.
Ancora meno persuasivo è apparso SeokJong Baek come Radames, sano e quindi privo di attenuanti. Dotato di un timbro robusto e di buona proiezione (anche se non sempre impeccabile nelle intonazioni), ha scelto però un’emissione costantemente stentorea e priva di morbidezza, che lo ha portato a cantare forte praticamente dall’inizio alla fine, sacrificando ogni ricerca di chiaroscuro interpretativo. Il personaggio è restato così privo di fascino e la lettura interpretativa si è fermata a un approccio piuttosto generico.
Di ben altro spessore l’Amneris di Daniela Barcellona, la migliore della serata, che ha scolpito un ritratto intenso e credibile della principessa egizia. Vocalmente solida, perfettamente centrata nelle intonazioni, ha dominato il registro medio e acuto con notevole autorevolezza e con rimarchevole veemenza. La sua Amneris ha brillato per forza drammatica, specie nel secondo e nel quarto atto. Una prestazione di egregia professionalità e di ottimo mestiere.
Leon Kim ha vestito i panni di Amonasro, mettendo in mostrauna vocalità interessante e potente, ma scolpendo un padre forse più rude che nobile, tramite un fraseggio che andrebbe reso più autorevole.
Simon Lim, come Ramfis, ha mostrato una voce salda e imponente, anche se priva di quella solennità sacrale che potrebbe impreziosire il personaggio.
Corretta e funzionale la prova di Manuel Fuentes come re, così come adeguato il messaggero di Yaozhou Hou e molto valida la sacerdotessa di Suji Kwon.
Sul versante registico, Damiano Michieletto ha firmato un’Aida in coproduzione con la Bayerische Staatsoper di Monaco che, pur suscitando qualche perplessità, ha rivelato idee interessanti e una coerenza di fondo non scontata. Il regista ha abbandonato ogni riferimento all’Egitto monumentale di tradizione zeffirelliana per sviluppare una riflessione contemporanea sul dramma, inserendo l’azione in una sorta di spazio astratto, a tratti simile a una palestra bombardata, la cui funzione è restata però poco leggibile in alcune scene. Eppure, la regia è riescita a proporre una riflessione alternativa e parallela all’opera, senza stravolgerne completamente il senso e senza neppure distrarre lo spettatore dalla trama originale. Un’operazione imputabile solo ad un regista di grande talento e di indubbia genialità quale è Michieletto. Particolarmente riuscita la scena del Trionfo, dove Radames, rappresentato come un reduce segnato da un disturbo post-traumatico, vede sfilare soldati mutilati e decorati al valore, rimanendo smarrito tra il trionfalismo e l’orrore della guerra. Interessante anche il finale, che ha trasformato la morte dei due amanti in una sorta di matrimonio mancato, celebrato da tutti i personaggi morti, mentre Amneris, rimasta sola nella parte bassa del palcoscenico, pregava per la pace in una dimensione quasi sepolcrale. Tra le invenzioni più forti è spiccato anche il terzo atto, in cui Ramfis tenta di baciare Amneris per poi assassinare Amonasro alle spalle, inserendo un tocco di inedita tensione. L’effetto complessivo è di un racconto parallelo che sa dialogare con la partitura senza violentarla, pur lasciando qualche scelta scenografica (come la montagna di terra a forma di piramide prospettica) più suggestiva, che davvero funzionale.
Nel complesso, uno spettacolo interessante sotto il profilo registico e ineccepibile sul piano orchestrale, ma che non è riescito a decollare pienamente per un cast vocale disomogeneo, dove soltanto Amneris è risultata davvero convincente. Un’Aida dunque con luci e ombre, sorretta soprattutto dalla mano esperta e musicale di Zubin Mehta, la cui bacchetta resta garanzia di solidità e di rispetto per Verdi.