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Beethoven e Mozart • Muti

  • Lorenzo Giovati
  • 4 giu
  • Tempo di lettura: 3 min

Ravenna, Palazzo Mauro De Andrè. 31 Maggio 2025

Una piacevolissima serata quasi estiva ha dato il via all’edizione 2025 del Ravenna Festival, nella gremita cornice del Palazzo Mauro De André, capace di accogliere quasi quattromila persone. Un palasport trasformato in auditorium per l’evento, che ha accolto il pubblico delle grandi occasioni in attesa del maestro Riccardo Muti, ravennate d’adozione, fondatore dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e ideatore del Festival.


Ad aprire la serata è stata l’ouverture Coriolano di Beethoven. Un’esecuzione solida, condotta con sicurezza, ma non sempre folgorante. I primi accordi, non perfettamente all’unisono e leggermente trattenuti, hanno dato il via a un’esecuzione curata, ma non particolarmente elettrica. Buona la tensione generale, con un fraseggio chiaro e cesellato, anche se la drammaticità sottesa alla pagina non è emersa con forza travolgente. È stata una lettura di classe, coerente e sorvegliata.


Il clima è cambiato con il Concerto n. 4 per violino e orchestra di Mozart, che ha visto come solista il giovane Giuseppe Gibboni. Artista dal talento già evidente e sorprendentemente maturo, Gibboni ha saputo dominare la scrittura mozartiana con grande eleganza, con sicurezza e con una tecnica impeccabile. Il suo suono è risultato sempre controllato, ma mai freddo, il fraseggio fluido e naturale. Gibboni ha mostrato un raro equilibrio tra virtuosismo e cantabilità, riuscendo a mantenere una linea interpretativa coerente, attenta, tanto ai dettagli, quanto alla forma complessiva del brano. L’orchestra, sotto la direzione del maestro Muti, ha saputo dialogare con il solista con sensibilità e attenzione: il primo e il terzo movimento hanno brillato per vitalità e per chiarezza d’intenti, mentre l’Andante centrale si è disteso con un’eleganza quasi sospesa. Il maestro Muti, da sempre eccellente interprete mozartiano, ha tratteggiato un accompagnamento raffinato, privo di rigidità e ricco di leggerezza. Al termine del concerto Gibboni ha concesso un bis emozionante: l’Adagio dalla Prima Sonata per violino solo di Bach, eseguito con toccante intensità.


Dopo l’intervallo, si è tornati a Beethoven con la Sinfonia n. 7 in La maggiore. Il primo movimento ha beneficiato di un’orchestra partecipe e ben disposta, soprattutto nella sezione dei violini (molto attenta al fraseggio), pur mancando in parte della tensione propulsiva che ne costituisce la linfa. La coda finale, invece, ha ritrovato vigore e un bel senso dell’insieme. Splendido il secondo movimento: qui il dialogo fra le sezioni, in particolare i violoncelli, cantabili e intensi, ha dato vita a uno dei momenti più alti della serata, denso di musicalità e di attenzione al dettaglio. Il terzo movimento ha mantenuto una certa vivacità; più efficace la sezione centrale, eroica e contenuta. Il quarto movimento, infine, ha restituito una lettura travolgente nella costruzione formale, facendo però venir meno, in certi momenti, la pulsazione interna del brano, quel moto perpetuo implicito che ne costituisce la vera energia. Il finale, possente e strutturato, ha convinto per coerenza e per intensità, suggellando degnamente la serata. Gli applausi, lunghissimi e convinti, hanno salutato orchestra e direttore con calore.


L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, fondata dal maestro Muti nel 2004, si è confermata una compagine in piena forma. In Mozart ha saputo trovare un suono levigato, elegante, denso di trasparenze e di chiarezze formali; in Beethoven, un timbro più ruvido, più fisico, di corpo e d’impatto. Ottimi i violini per precisione e per intensità, eccellente la sezione degli archi scuri con violoncelli e contrabbassi di grande presenza sonora. Affidabili e musicalissimi i fiati, solidi gli ottoni e le percussioni ben integrate, pur se penalizzati da un’acustica non ottimale.


Proprio l’acustica del Palazzo Mauro De André ha rappresentato forse il punto dolente della serata. Pur tenendo conto della natura dell’edificio, un palasport e non un teatro tradizionale, l’amplificazione è parsa spesso artificiale, sbilanciata verso le frequenze alte e piuttosto carente sui bassi. L'equilibrio sonoro dell'amplificazione è risultato sbilanciato, con un volume decisamente più alto sui violini, a scapito della percezione complessiva di ottoni e percussioni, spesso difficili da cogliere con nitidezza. Ne ha risentito l'omogeneità dell'impasto sonoro, che in alcuni momenti ha perso profondità e naturalezza.


Una serata, in ogni caso, di alto profilo, dominata da un alto senso di misura e di controllo che è cifra del maestro Muti: un’inaugurazione solida ed elegante. Il Ravenna Festival non poteva cominciare meglio di così.


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