Rossini, Verdi e Brahms • Muti
- Lorenzo Giovati
- 6 giorni fa
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Bologna, PalaDozza. 2 Maggio 2025.
Ogni anno, dal 1991, i Berliner Philharmoniker celebrano la propria fondazione con l’Europakonzert, un appuntamento che unisce musica, storia e identità europea in un luogo sempre diverso del continente. Ideato da Claudio Abbado come gesto simbolico di coesione culturale e di apertura oltre i confini nazionali, il concerto è nato per valorizzare il patrimonio artistico e architettonico europeo attraverso la musica sinfonica ed è stato nel tempo ospitato in alcuni tra i luoghi più suggestivi del continente. Nel corso degli anni, l’Europakonzert ha fatto tappa anche in vari teatri storici italiani: tra questi, Palazzo Vecchio a Firenze, dove fu diretto da Zubin Mehta, e il Teatro Massimo di Palermo, dove tornò sul podio il maestro Abbado.
Per l’edizione 2025, l’onore della direzione è stato affidato al maestro Riccardo Muti, che già nel 2009 aveva condotto l’Europakonzert al Teatro di San Carlo di Napoli. Il concerto si è tenuto il 1° maggio al Teatro Petruzzelli di Bari, nel cuore di una tournée italiana che ha poi portato i Berliner Philharmoniker a Bologna il giorno successivo. Proprio al PalaDozza, il 2 maggio, si è tenuta la replica serale del programma, che ha offerto un’occasione straordinaria di ascolto a un pubblico più ampio e variegato.
Prima del concerto bolognese si sono tenuti i saluti istituzionali del sovrintendente e del rappresentante della società sponsor, che ha reso possibile l’evento, sostenendo tutte le spese organizzative e permettendo così che l’intero incasso della serata potesse essere devoluto in beneficenza a favore di ANT, Fondazione Policlinico Sant’Orsola e Associazione La Mongolfiera ODV. Il PalaDozza era gremito in ogni ordine di posti. Unico neo è stata la climatizzazione fuori uso che ha reso il clima in sala particolarmente caldo, alla soglia dell’insostenibile e che, pertanto, pur senza compromettere l’esperienza musicale, ha inevitabilmente reso un poco gravoso il piacere dell’ascolto.
La serata si è aperta con l’Ouverture dal Guglielmo Tell di Gioachino Rossini, pagina celeberrima che rappresenta un autentico banco di prova, tanto per l’orchestra, quanto per il direttore. Il maestro Muti l’ha affrontata con quel fuoco teatrale e quel rigore formale che da decenni definiscono la sua lettura del brano, sin dalla leggendaria incisione scaligera che ancora oggi rimane un punto di riferimento imprescindibile. L’introduzione, affidata al primo violoncello Bruno Delepelaire, si è distinta per la qualità timbrica e l’intensità espressiva: una linea scolpita con sobrietà e con nobile pathos, preludio a una narrazione orchestrale densa. Il teso crescendo che conduce alla celebre tempesta ha poi messo in luce la coesione dell’ensemble e la direzione tersa di Muti, capace di costruire con lucidità un climax incalzante. Particolarmente efficace è stata la sezione dei tromboni, per precisione e per compattezza. Quando la burrasca si placa, il corno inglese di Dominik Wollenweber ha introdotto con eleganza la parte pastorale, dialogando splendidamente con il flauto in una quiete campestre sospesa e intima. La celeberrima galoppata conclusiva ha infine trovato nell’orchestra una straordinaria padronanza tecnica e ritmica, ed ha segnato la chiusura dell’ouverture con energia e con brillantezza, ma sempre senza retorica.
A seguire il programma ha proposto Le quattro stagioni da Les Vêpres siciliennes di Giuseppe Verdi, raffinato balletto sinfonico composto per la versione parigina dell’opera. In questa parentesi strumentale Verdi si confronta con la scrittura descrittiva, adottando un linguaggio elegante, teatrale e vivace. L’Inverno, con cui si apre il ciclo, ha evidenziato fin da subito l’approccio architettonico e sorvegliato del maestro Muti, più attento al disegno, che alla suggestione. Con la Primavera, l’esecuzione si è distesa in un fraseggio più ampio e luminoso, ben cesellato nei legni, e in certi momenti anche animato da un moto danzante appena accennato. L’Estate è apparsa riflessiva, guidata con misura e quasi meditativa, più interessata alla cantabilità delle linee che all’effetto teatrale. L’Autunno, ultimo quadro del ciclo, ha rappresentato il momento più riuscito: l’oboe solista di Albrecht Mayer e il clarinetto di Wenzel Fuchs hanno donato calore e malinconia, con un suono levigato e armonico che ha arricchito la pagina di una nota intima. Il movimento, brillante nella scrittura, ha beneficiato di una direzione più sciolta e ariosa, in grado di valorizzare ritmo e colore. Nel complesso, il maestro Muti si è mosso in un territorio che gli è da molti anni naturalmente affine: il suo Verdi è sempre saldo, mai volgare o compiacente, immune da ogni deriva bandistica ma autentico nel suo linguaggio musicale tipico. La sua lettura è stata nobile, riflessiva, mai superficiale: forse non travolgente, ma intrisa di coerenza stilistica.
Dopo la pausa, è stata la volta della Sinfonia n. 2 in Re maggiore op. 73 di Brahms. Composta nel 1877 a Pörtschach, la Seconda si distingue per una scrittura di ampio respiro, serena e luminosa, in cui lirismo e architettura sonora si fondono in una visione musicale insieme classica e intimamente romantica. Rispetto all’esecuzione del giorno prima a Bari, questa replica ha restituito un Brahms più fluido e più convincente. L’orchestra ha risposto con una sensibilità maggiore, fraseggiando con chiarezza e con naturalezza. Il primo movimento (Allegro non troppo) ha conservato una certa gravità strutturale, ma è stato curato nei dettagli, con un suono pieno e compatto. Da segnalare anche gli interventi del corno di Yun Zeng, superlativi per qualità di suono, per intonazione e per musicalità: un contributo fondamentale all’equilibrio timbrico e all’espressività dell’intera esecuzione. Il secondo (Adagio non troppo) ha trovato un tono lirico più disteso, impreziosito da un suono caldo e scolpito (durante questo movimento, una signora tra il pubblico si è sentita poco bene a causa del caldo intenso, ma l’interruzione è stata rapida ed è stata gestita con grande discrezione, anche se con apprezzabile attenzione). Il terzo movimento (Allegretto grazioso), è stato qui restituito con leggerezza e con buon respiro, mantenendo un equilibrio gradevole tra grazia e slancio. Il Finale (Allegro con spirito) ha mostrato un’energia più libera, finalmente luminosa e vitale, anche se pur sempre guidata con misura. Una Seconda di Brahms, quindi, decisamente ben riuscita, che ha saputo conciliare la visione rigorosa del direttore con una risposta partecipe e musicale dell’orchestra. È vero che Brahms non è mai stato tra i territori più congeniali al maestro Muti, come affiora da alcune rigidità di fondo del suo approccio, soprattutto nelle dinamiche e nell’agogica, ma in questa occasione si è indubbiamente apprezzata una lettura solida, coerente e, in più di un passaggio, tangibilmente ispirata.
Un plauso particolare va ai Berliner Philharmoniker, protagonisti assoluti della serata, che hanno regalato al pubblico una prestazione a dir poco magistrale, elevando ogni pagina del programma a un momento di altissima arte musicale. La qualità del suono, l'equilibrio tra le sezioni, la raffinatezza del fraseggio e la profondità dinamica sono apparsi frutto di un'intesa perfetta e di un'esperienza collettiva costruita nel tempo. Gli archi hanno suonato con compattezza e trasparenza, i legni hanno disegnato le linee melodiche con una naturalezza stupefacente, gli ottoni sono stati solenni e mai invadenti, le percussioni puntuali ed espressive. È una compagine che non si limita a "suonare bene": plasma il suono, lo scolpisce, lo fa respirare con un’intelligenza musicale rara.
Al termine del concerto, Muti è tornato sul palco con un microfono e, rivolgendosi al pubblico in inglese, forse per farsi comprendere dai membri dell’orchestra, ha pronunciato alcune riflessioni sui valori della cultura europea. Ha sottolineato come i Berliner Philharmoniker incarnino, nella loro stessa composizione internazionale, un’idea di Europa fondata sulla cultura. Ha poi concluso con una citazione attribuita a Cassiodoro, secondo cui: «Se gli uomini non smetteranno di uccidersi, Dio li punirà togliendo loro la musica».
Una serata importante, quindi, che ha unito la grande musica a uno spirito profondamente solidale, offrendo al pubblico bolognese, non solo un concerto d’eccellenza, ma anche un raro momento di consapevolezza culturale e collettiva.