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Tchaikovsky e Mahler • Jarvi

  • Lorenzo Giovati
  • 13 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Verbier, Salle des Combins. 3 Agosto 2025.

Il Festival di Verbier solitamente si chiude nei primi giorni di agosto, poco prima dell’avvio dell’altro grande appuntamento svizzero, quello di Lucerna, che prosegue fino a settembre inoltrato. Sulla carta, la serata conclusiva di quest’anno aveva tutti i presupposti per essere memorabile, data la presenza di due artisti di grande notorietà e di riconosciuto carisma, quali la pianista Katia Buniatishvili e il direttore Paavo Järvi. Le promesse però sono state mantenute solo in parte.


La prima parte del concerto è stata dedicata al Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Tchaikovsky, una pagina tra le più celebri e popolari del repertorio romantico. Fin dal primo movimento, le visioni dei due interpreti non sono però apparse perfettamente allineate. Il maestro Järvi ha scelto un tempo di base solido e armonico, chiedendo all’orchestra un respiro ampio e ricercando spazio per le sfumature; la Buniatishvili, per contro, ha progressivamente accelerato con gli accordi iniziali del pianoforte, mantenendo per l’intero movimento un approccio di grande brillantezza tecnica, ma meno incline al respiro. L’impressione è stata pertanto quella di due prospettive che procedevano in parallelo senza fondersi del tutto: il direttore intento a scolpire il fraseggio, la pianista concentrata soprattutto sul virtuosismo, sul caos e sull’impatto immediato.

Nel secondo movimento l’equilibrio si è in parte ricomposto: qui il fraseggio morbido e il carattere lirico della pagina hanno permesso alla Buniatishvili di allentare la frenesia e di esprimere un tocco più sfumato, dialogando con l’orchestra in modo più disteso. Il terzo movimento è invece tornato su tempi estremamente rapidi, quasi frenetici, in cui la ricerca dell’effetto ha spesso prevalso sulla costruzione del discorso musicale. Non si può negare che il controllo tecnico della pianista sia stato straordinario, ma l’impressione complessiva è stata quella di un’interpretazione che, pur colpendo l’orecchio e la vista, ha sacrificato la profondità e la coerenza espressiva, senza peraltro trovare un efficace contraltare nella pur sapiente conduzione del maestro Järvi. Esito ne è stato un’esecuzione pregevole, ma non da ricordare.  


Come bis, la pianista ha proposto una pagina di Bach dal carattere raccolto e toccante, eseguita con un’eleganza e una semplicità che hanno rivelato un lato più intimo e convincente della sua vena artistica.


La seconda parte della serata è stata interamente dedicata alla Sinfonia n. 1 di Mahler, affrontata dal maestro Järvi con una visione complessivamente ordinata, ma non sempre avvincente. Nel primo movimento l’atmosfera iniziale, che richiede un senso di mistero e di sospensione, è apparsa piuttosto esplicita e priva di quella sottile tensione che la rende avvolgente; alcune transizioni sono risultate un poco scollegate e il grande crescendo verso la coda conclusiva non ha raggiunto una piena intensità drammatica. Il secondo movimento, invece, è stato fra i momenti più riusciti dell’intera serata: vivace, ritmicamente solido, con accenti ben calibrati e con una chiara articolazione delle frasi. Ciò ha permesso all’esecuzione di ben restituire il carattere di danza popolare e insieme di eleganza viennese che Mahler richiede.

Il terzo movimento, con il celebre tema in forma di marcia funebre, è stato meno felice: accurato sul piano esecutivo, ha faticato a trovare un tono narrativo incisivo. La linea melodica si è mantenuta corretta, ma senza quel senso di straniamento e di sottile ironia che lo rende indimenticabile. Il finale ha infine palesato una certa energia, ma anche in questo caso è parsa mancare una convincente costruzione di quella tensione che ne è l’elemento portante: la coda conclusiva è parsa un poco frettolosa, pur sostenuta da buoni accenti e da un suono orchestrale ben proiettato.


A incidere sul risultato complessivo non esaltante è stata forse anche una limitata intesa fra il maestro Järvi e l’Orchestra del Festival di Verbier. Sebbene l’insieme abbia restituito un suono pieno e omogeneo in diversi momenti, non sono mancati piccoli sfasamenti nei tempi, specialmente in Tchaikovsky, e qualche incertezza negli ottoni.


Il pubblico ha comunque accolto la serata con applausi calorosi e prolungati, sebbene la sensazione finale sia stata quella di un concerto riuscito solo in parte, più ricco di occasioni mancate, che di autentico fascino interpretativo.


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