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Strauss, Ravel e Shostakovich • Honeck

  • Lorenzo Giovati
  • 10 nov
  • Tempo di lettura: 2 min

Milano, Teatro alla Scala. 3 Novembre 2025.

È stato un concerto dedicato a tre anniversari di straordinaria importanza quello andato in scena lunedì scorso al Teatro alla Scala di Milano, diretto dal maestro Manfred Honeck alla guida della Filarmonica della Scala.


La serata si è aperta con l’Ouverture dal Die Fledermaus di Johann Strauss II, del quale ricorrono quest’anno i duecento anni dalla nascita. Fin dai primi accordi il maestro Honeck ha rivelato l’energia e la chiarezza di gesto che caratterizzano il suo stile direttoriale, trovando una risposta complessivamente solida da parte della Filarmonica scaligera, sebbene il suo suono non sia sempre apparso pienamente immerso nella luminosità e nella morbidezza “viennese” che questa pagina richiede. L’esecuzione si è comunque distinta per coerenza di fraseggio e per precisione ritmica, restituendo con intelligenza la leggerezza elegante e l’ironia propria della partitura.


È seguito il Concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore di Maurice Ravel, nel centocinquantesimo anniversario della nascita del compositore francese. Al pianoforte, il giovane ma ormai affermato Benjamin Grosvenor ha offerto un comparto solistico di eccellente livello, contraddistinto da un pianismo nitido, cesellato nei dettagli timbrici e impeccabile sul piano tecnico. Il maestro Honeck lo ha accompagnato con sensibilità e con vigore: i movimenti esterni sono stati affrontati con slancio e brillantezza, mentre il celebre Adagio assai ha trovato un respiro lirico controllato e una tensione interna sempre viva. Ne è emersa una lettura convincente che ha saputo coniugare brillantezza e profondità.


Come bis, Grosvenor ha proposto una raffinata esecuzione di Jeux d’eau dello stesso Ravel, resa con grande intensità e con impeccabile trasparenza.


Dopo l’intervallo, il programma è proseguito con un omaggio a Dmitri Shostakovich, nel cinquantesimo anniversario della morte del compositore russo, che sarà protagonista anche della prossima inaugurazione di stagione. Il maestro Honeck ha scelto di ricordarlo con la Sinfonia n. 10 in mi minore op. 93, una delle opere più imponenti e introspettive del compositore. Fin dall’Andante iniziale il maestro ha costruito un arco narrativo teso, sottolineando il carattere meditativo e inquieto di una musica che si muove tra dolore e resistenza. Le sezioni interne si sono articolate lungo un senso drammatico ben calibrato: lo Scherzo è risultato di impressionante ferocia ritmica, tenuto insieme da una mano salda e da una tensione costante, mentre il terzo movimento ha rivelato un’intensa malinconia con un controllo ferreo delle dinamiche. Il finale, costruito con intelligenza teatrale, ha saputo conciliare energia e chiarezza architettonica fino a un epilogo travolgente, che ha riassunto il percorso di liberazione spirituale sotteso all’intera sinfonia.


La Filarmonica della Scala ha mostrato grande compattezza e precisione d’insieme, offrendo un suono pieno e robusto. Tuttavia, rispetto alle compagini con cui Honeck collabora abitualmente, come i Wiener Symphoniker o la Pittsburgh Symphony Orchestra solo per citarne alcune, l’orchestra milanese è apparsa meno pronta a reagire all’impulso dinamico del direttore, priva di quell’immediatezza timbrica e di quella brillantezza che contraddistinguono i complessi più duttili. Resta comunque una prova di ottimo livello, in cui però è parso che Honeck avesse da offrire più di quanto non l’avesse chi lo accompagnava.


Il concerto si è concluso tra applausi calorosi, ma curiosamente contenuti, accolto in sala con entusiasmo moderato, nonostante qualche sporadico, ma del tutto meritato, “bravo” indirizzato al maestro Honeck.


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