Strauss, Mozart e Berlioz • Pappano
- Lorenzo Giovati
- 13 giu
- Tempo di lettura: 4 min
Milano, Teatro alla Scala. 8 Giugno 2025.
All’interno dell'interessante programmazione che il Teatro alla Scala ha dedicato alle orchestre ospiti internazionali, la tappa milanese della tournée della London Symphony Orchestra, ora guidata da Sir Antonio Pappano nella sua nuova veste di direttore stabile, ha rappresentato un evento di assoluto rilievo. Pappano e l’orchestra hanno intrapreso un viaggio musicale di grande varietà e ricchezza espressiva, che ha attraversato tre secoli di repertorio, spaziando con naturalezza dallo humour di Strauss, all’incanto mozartiano, fino all’ebbrezza della Symphonie fantastique.
L’apertura del concerto è stata affidata a uno dei brani più noti e divertenti del primo Novecento tedesco: Till Eulenspiegels lustige Streiche, poema sinfonico composto da Richard Strauss nel 1894-95. La partitura, tra le più virtuosistiche e teatralmente vivide dell’autore, narra le imprese farsesche del leggendario burlone medievale Till Eulenspiegel, con un’orchestrazione immaginifica che alterna episodi burleschi, momenti di lirismo e slanci di pura comicità sonora. La struttura libera ed episodica del brano consente a Strauss di delineare, con impareggiabile maestria, un personaggio musicale fatto di guizzi repentini, risa grottesche, travestimenti e infine di una morte beffarda, da cui lo spirito di Till sembra comunque salvarsi, fischiettando beato anche dopo la sua impiccagione. Sotto la direzione di Pappano, questo racconto orchestrale ha assunto i contorni di una vera e propria narrazione. Il gesto del direttore ha saputo infondere al brano un carattere cinematografico, esaltando le doti descrittive della scrittura straussiana. L’attacco iniziale, affidato al corno, è stato eseguito con timbro morbido e con fraseggio espressivo; le successive riprese del tema di Till, spesso affidate al clarinetto e ai legni, sono emerse con vivacità teatrale, scandite da un’orchestra precisa e reattiva, sempre compatta, ma pronta a scomporsi in episodi solistici di grande qualità. Il finale, rapidissimo e scattante, è stato dominato da una tensione crescente e lucidissima, in cui ogni dettaglio ritmico è stato portato a compimento con controllo ferreo e con slancio naturale.
Dopo l’esuberanza straussiana, la scena è stata affidata a Lisa Batiashvili, interprete del Concerto per violino n. 5 in La maggiore K. 219 di Mozart. Ultimo dei cinque concerti per violino scritti dal compositore salisburghese nel 1775, il K. 219 è noto con il soprannome di "Turco", per via delle sue caratteristiche incursioni nello stile alla turca nel terzo movimento. Batiashvili, violinista georgiana di straordinario carisma, ha offerto una lettura raffinata e calda, dominata da un suono pieno e morbido, denso, ma mai forzato, capace di affermarsi con naturalezza, tanto nei passaggi più cantabili, quanto nelle agilità più brillanti.
Il primo movimento, con la sua forma anomala che alterna un'introduzione lenta a un Allegro brillante, è stato affrontato con eleganza e sobrietà, senza eccessi di abbellimenti, ma con una cura estrema per la purezza della linea. Nel secondo movimento, la Batiashvili ha fatto risplendere la cantabilità mozartiana in un dialogo serrato, ma lirico, con l’orchestra, sostenuta da un accompagnamento sobrio e curatissimo di Pappano. Il Rondò conclusivo, con i celebri inserti “turchi”, è stato eseguito con energia, ma senza frenesia: l’ironia è emersa per via della leggerezza ritmica e della sottile modulazione del timbro, più che per gli eccessi caricaturali.
A dimostrazione del suo dominio tecnico e della sua generosità artistica, Batiashvili ha concesso due bis: prima, un omaggio alle sue origini con il Doluri for Violin di Alexi Matchavariani, brano contemporaneo interamente costruito su effetti percussivi ottenuti con l’arco che "saltella" le corde. Una miniatura ipnotica, eseguita con rigore e intensità. Subito dopo, un duetto per due violini di Béla Bartók, in cui ha dialogato con il primo violino della London Symphony.
La seconda parte del programma è stata dominata dalla monumentale Symphonie fantastique di Hector Berlioz, opera del 1830 e autentico manifesto del Romanticismo musicale francese. La sinfonia, divisa in cinque movimenti, mette in scena un dramma autobiografico, ovvero l’amore ossessivo di un giovane artista per una donna irraggiungibile, attraverso un linguaggio orchestrale innovativo, visionario, che prevede la trasformazione di un tema (l’"idée fixe") lungo tutta la partitura e culmina in episodi di vera allucinazione musicale.
Pappano ha diretto con intelligenza teatrale e con lucidità architettonica, senza mai indulgere nella retorica o nell’effetto facile. Il primo movimento (“Rêveries – Passions”) è stato introdotto con tinte sfumate e movimenti rallentati, in un’atmosfera di sospensione onirica che si è gradualmente accesa in un crescendo nervoso e febbrile. Il secondo, il valzer (“Un bal”), ha ondeggiato tra leggerezza e inquietudine, con un passo danzante ma sempre teso, quasi febbrile. Nel terzo movimento, la “Scène aux champs”, il paesaggio pastorale è stato reso con dolcezza, languore e mistero, esaltando l’intervento struggente del corno inglese, tra i momenti più toccanti dell’intera sinfonia. Il quarto movimento, la celebre "Marche au supplice", ha trovato in Pappano una guida incisiva, ma mai brutale: il tono marziale è emerso con forza, ma sempre controllato, costruito su un disegno dinamico lucidissimo. Nel quinto, il “Songe d’une nuit du sabbat”, l’orchestra ha dato il meglio di sé: fiati e percussioni hanno animato la scena sabbatica con precisione estrema, senza mai perdere in senso narrativo. Il Dies irae, deformato e reso grottesco, è stato cesellato con lucidità, mentre la fuga delle streghe ha trovato un ritmo incalzante, vertiginoso, fino a un finale vorticoso e liberatorio.
Gli applausi sono stati calorosi e prolungati. Come bis, Pappano ha scelto di "rimanere in Francia" con una pagina di pura grazia: la Pavane di Gabriel Fauré, eseguita con delicatezza lirica e malinconica, lasciando il pubblico in una sospensione estatica.
In tutto ciò, la London Symphony Orchestra ha dimostrato perché continua a essere una delle formazioni più blasonate d’Europa. Gli archi, perfettamente amalgamati, hanno dato prova di fluidità e di profondità timbrica; i fiati sono stati sempre intonati e musicali, in particolare i legni, dalla finezza ammirevole; gli ottoni, potenti ma mai ruvidi, hanno saputo inserirsi con precisione nella tessitura orchestrale; e le percussioni, puntuali e incisive, hanno sottolineato i passaggi più drammatici senza mai sopraffare l’equilibrio complessivo.
Una serata di altissimo livello che ha riconfermato Sir Antonio Pappano tra i direttori migliori del nostro tempo. Il pubblico della Scala, entusiasta, ha tributato un trionfo unanime a solisti, direttore e orchestra.