Rigoletto • Lanzillotta
- Lorenzo Giovati
- 5 nov
- Tempo di lettura: 4 min
Piacenza, Teatro Municipale. 29 Ottobre 2025.
Era attesissimo l’avvio di questa nuova avventura verdiana al Teatro Municipale di Piacenza che vede eseguiti con lo stesso cast le tre opere della "Trilogia popolare" (Rigoletto, Trovatore e Traviata) di Giuseppe Verdi, un poco come se fossero le giornate del Ring di Richard Wagner. Un’operazione di grande coraggio, soprattutto per un teatro dalle dimensioni e dai mezzi contenuti, ma che ha saputo distinguersi per la sua cura. L’iniziativa si è fatta apprezzare, non solo per il valore artistico, ma anche per l’impostazione concettuale, volta a proporre una versione di Rigoletto assolutamente “ripulita” dagli abbellimenti e dagli acuti di tradizione che spesso contaminano la partitura, anche nei migliori teatri. Una scelta che, oltre a restituire purezza e rigore filologico, ha tolto all’operazione quel velo di “commercialità” che facilmente si associa a titoli tanto popolari, riportando invece l’attenzione sull’integrità musicale dell’opera.
Sul podio, Francesco Lanzillotta ha guidato la serata con la consueta competenza e con apprezzabile sensibilità musicale, offrendo una direzione viva, partecipe e piena di energia. Talvolta, tuttavia, il gesto si è fatto eccessivamente concitato, con tempi metronomici fin troppo serrati in alcuni momenti chiave, come nel celebre “Cortigiani, vil razza dannata”, e in diversi altri passaggi che avrebbero forse richiesto un respiro più ampio. La prima parte, in particolare, ha scontato qualche problema di sincrono tra buca e palcoscenico, difficoltà che però non hanno incrinato la coerenza complessiva della lettura. Nonostante qualche impeto di troppo, Lanzillotta ha comunque saputo mantenere saldo il filo drammaturgico dell’opera, trovando momenti di maggiore respiro nei passaggi più intimi e calibrando con attenzione le dinamiche orchestrali. Ne è risultata una direzione personale, a tratti spigolosa, ma consapevole, capace di restituire anche l’anima tormentata del capolavoro verdiano.
L’Orchestra Sinfonica di Milano, solitamente meno avvezza al repertorio operistico, ha offerto una prova complessivamente dignitosa. Gli archi, pur presentando qualche asprezza nelle intonazioni, si sono dimostrati compatti; i fiati e gli ottoni, di buona pasta timbrica, hanno garantito una solida tenuta d’insieme, anche se non sempre impeccabile nei dettagli.
Corretto e omogeneo il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, ben preparato da Corrado Casati.
La serata è stata dominata dal Rigoletto di Luca Salsi, interprete di riferimento per questo ruolo e artista di grande maturità. Sotto la guida attenta del maestro Lanzillotta, Salsi ha delineato un buffone di corte vibrante di umanità, capace di coniugare la potenza del canto con un’intensa gamma di sfumature emotive. La voce, piena e controllata in ogni registro, ha saputo alternare con naturalezza impeti di rabbia a momenti di struggente tenerezza, restituendo un personaggio complesso e vivo. La gestione dei piani dinamici, dai fortissimi incisivi ai pianissimi più raccolti, è stata esemplare, sempre sorretta da una tecnica salda e da una presenza scenica di grande magnetismo.
Nel ruolo di Gilda, la spagnola Ruth Iniesta, chiamata il giorno stesso in sostituzione dell’indisposta Maria Novella Malfatti, ha offerto una prestazione nel complesso apprezzabile. Il timbro chiaro e luminoso si è adattato bene al personaggio e la cantante ha saputo compensare con generosità alcune inevitabili imperfezioni dovute al breve preavviso. In alcuni momenti, specie nei passaggi più acuti, la voce ha mostrato una certa tendenza a spingere eccessivamente sul forte, con un vibrato talvolta troppo ampio e un’intonazione non sempre perfettamente stabile. Tuttavia, la sua Gilda ha convinto per freschezza della linea di canto.
Francesco Meli, nei panni del Duca di Mantova, è tornato a un ruolo che gli è congeniale per la linea di canto nobile e il fraseggio elegante. L’adozione della versione priva degli acuti di tradizione ha certamente giocato a suo favore, permettendogli di valorizzare la parte centrale della voce, ancora salda e di grande proiezione. Purtroppo, duole segnalare l'unico acuto previsto da Verdi (ovvero quello della Donna è mobile, fuori scena prima della morte di Gilda) caratterizzato da una percepibile "stecca" che ha leggermente offuscato una prova comunque degna di nota.
Notevole per presenza e potenza vocale lo Sparafucile di Adolfo Corrado, basso dal timbro ampio, ma non particolarmente profondo, capace di un canto nobile e ben sostenuto, anche se non sempre incisivo nel registro più grave.
La Maddalena di Irene Savignano, intonata e corretta vocalmente, non è parsa particolarmente seducente.
Ottimi anche i ruoli di contorno, spesso trascurati: in primis il Monterone di Omar Cepparolli, autorevole e intenso nel breve ma decisivo intervento. Ben distribuiti anche gli altri comprimari: Nicola Zambon (Marullo), Simone Fenotti (Matteo Borsa), Davide Maria Sabatino (conte di Ceprano), Giulia Alletto (contessa di Ceprano / paggio) e Lorenzo Sivelli (usciere di corte), tutti precisi e ben inseriti nel tessuto scenico.
La regia di Roberto Catalano ha superato la prova con eleganza e misura, pur senza risultare particolarmente avvincente. L’impianto scenico, sobrio e coerente con la drammaturgia, ha saputo coniugare equilibrio visivo e pulizia formale, seppur con un certo minimalismo che in alcuni momenti è parso eccessivo. L’uso delle luci, calibrato e raffinato, ha compensato in parte la povertà dell’arredo scenico, contribuendo a creare un’atmosfera coerente. Efficace l'uso di un figurante in scena che simboleggiava la maledizione. Una regia, in definitiva, modesta, ma ben costruita e adeguata agli spazi.
Una prima pregevole, dunque, sostenuta da un cast di buon livello e da un protagonista d’eccezione, salutata da numerosi applausi per Luca Salsi e da un’atmosfera di sincero apprezzamento per l’intera compagnia.




















