Messa da Requiem • Trevino
- Lorenzo Giovati
- 24 ott
- Tempo di lettura: 3 min
Parma, Teatro Regio. 18 Ottobre 2025.
È ormai divenuta una felice consuetudine quella di inserire, all’interno del Festival Verdi, la Messa da Requiem, capolavoro assoluto di Giuseppe Verdi. In nessun’altra opera il compositore raggiunge un simile vertice di intensità espressiva, capace di toccare la parte più profonda dell’animo umano e di trascendere la dimensione liturgica per farsi meditazione laica ed universale sul mistero della morte e della fede. Dal 2020 il Teatro Regio di Parma ha scelto di riproporre con regolarità questa pagina immortale, facendone un appuntamento ormai imprescindibile della rassegna. Dopo l’esito deludente dello scorso anno, la proposta di quest’edizione si è rivelata senza dubbio più interessante.
Sul podio, al suo debutto al Teatro Regio, è salito il maestro Robert Trevino. Quando, nel febbraio scorso, aveva presentato all’Auditorium Paganini la sua lettura della Quinta sinfonia di Mahler, l’impressione era stata quella di un direttore dal gesto soppesato, dalle intenzioni solide e dal buon controllo dell'orchestra, anche se non schivo dai rischi o dalle sorprese interpretative. Lo stesso si potrebbe dire della sua Messa da Requiem: un’esecuzione che ha contenuto davvero “tutto” del Requiem (la drammaticità, la tensione, la compostezza, lo smarrimento e la pietà) in un equilibrio sempre ben calibrato. Non una lettura sconvolgente o innovativa, ma una lettura impegnata, certamente lontana da un’inerte routine esecutiva. Ogni sezione è stata pensata con coerenza e le pause sono sempre ben gestite, in modo tale da consentire alla partitura di respirare con naturalezza.
L’attacco del Requiem aeternam, eseguito, come prescritto da Verdi, con un raro “pianissimo” (merce preziosa per la Filarmonica Arturo Toscanini, non di rado incline a sonorità più corpose e meno sfumate) ha posto dall’incipit le basi di una lettura rigorosa. Il Dies irae, ben scandito e sostenuto da una chiara architettura ritmica, ha poi trovato nel seguente Tuba mirum un crescendo ben costruito, senza eccessi, ma con una tensione ben dosata. Tutto è parso fluido e coerente, sorretto da un senso del respiro che ha costituito forse l’aspetto più convincente della direzione di Trevino. Una Messa che, nel suo insieme, ha restituito integralmente la sostanza dell’opera: solida, curata e nobilmente condotta, seconda forse, per rimanere ovviamente al contesto locale ed all’aspetto direttoriale, soltanto a quella memorabile di Daniele Gatti con l’Orchestra della Rai nel 2021.
La Filarmonica Arturo Toscanini, pur non schierando un organico imponente, in particolare nella sezione degli archi, ha mostrato un suono omogeneo e un certo velluto di base. Tuttavia, la mancanza di finezze timbriche e di un gioco più audace di sfumature sonore ha impedito all’insieme di elevarsi oltre la buona routine. Precisi e disciplinati gli archi e i legni, più altalenanti gli ottoni, con qualche instabilità nelle trombe, ma corretta e sicura la sezione delle percussioni.
Eccellente, come sempre, è stato il Coro del Teatro Regio di Parma, autentico fiore all’occhiello dell’istituzione. Preparato con la consueta sapienza dal maestro Martino Faggiani, il coro ha saputo unire compattezza e morbidezza di timbro, potenza e delicatezza.
Più diseguale invece è apparso il quartetto solistico.
Marta Torbidoni, al debutto nel Requiem, ha messo in campo una voce dalla notevole potenza e dal timbro personale, che non ha però trovato quella dimensione raccolta e intima che la partitura richiede. Laddove Verdi chiede una preghiera, la Torbidoni ha invece ceduto a offrire un’affermazione sonora (che d'altronde, data la qualità naturale del suo timbro, è inevitabile) che si è scontrata con la necessità dell’introspezione e con le tinte più raccolte che la partitura medesima impone. Qualche difficoltà nelle zone acute, pur sempre intonate, si è poi tradotta in una gestione del fiato talvolta un poco faticosa. Una prova da professionista indiscutibile, ma non del tutto in sintonia con il carattere del Requiem.
Più convincente è stata la giovane Valentina Pernòzzoli, mezzosoprano al debutto al Regio, che si è distinta per la bellezza del timbro e la precisione dell’intonazione. Le manca ancora un po’ di sicurezza negli attacchi e nelle sezioni più esposte, ove tende talvolta a farsi da parte rispetto agli altri solisti, ma la sua partecipazione è stata nel complesso positiva e più che promettente.
Nel comparto maschile, Piero Pretti si è distinto per la luminosità del suo timbro e per la consueta sicurezza tecnica, senza però riuscire a trovare anch’egli, come la soprano, quella dimensione di raccoglimento e di dolente purezza che rende indimenticabili pagine come l’Ingemisco o l’Hostias. Il suo canto resta nobile e corretto, ma talvolta poco intimo.
Di altra pasta è stata infine la prova di Michele Pertusi, solidissimo come sempre, capace di scavare nel senso della parola e di restituire il testo con un’intelligenza musicale superiore. La sua voce, sempre controllata e mai eccessiva, si è fatta strumento di consapevole meditazione.
Nel complesso, una Messa da Requiem equilibrata e composta, che ha restituito con sincerità il capolavoro verdiano senza l’ambizione di volerlo reinventare. Una lettura solida, credibile, profondamente rispettosa del senso della partitura. Una conclusione di Festival più che positiva.


















