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Falstaff • Spotti

  • Lorenzo Giovati
  • 6 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Parma, Teatro Regio. 12 Ottobre 2025.

Dopo lo sciopero che aveva costretto all’annullamento della recita del 3 ottobre, Falstaff è approdato finalmente al Teatro Regio di Parma. La seconda serata è così diventata, di fatto, la “prima” di questa produzione, accolta con viva curiosità e con grande attesa.


Nel ruolo del protagonista Misha Kiria ha offerto un’interpretazione di notevole spessore. La parte è stata pienamente interiorizzata: il fraseggio è apparso curato, il timbro caldo e piacevolmente rotondo, la linea vocale levigata e sempre molto musicale. Solo a tratti, l’artista ha ecceduto in un’eccessiva caricatura vocale, trasformando il cavaliere in una figura quasi rozza, quando invece Falstaff resta fino all’ultimo un “Sir”. La prova è comunque rimasta di ottimo livello, impreziosita da una presenza scenica carismatica e perfettamente calata nello spirito dell’opera.


Alice Ford è stata interpretata da Roberta Mantegna, dotata di una voce limpida e ben timbrata, sempre intonata e controllata. Tuttavia, sul piano scenico e interpretativo, la sua Alice non è riuscita a imporsi come una figura di spicco, risultando talvolta un poco in ombra. Una prova nel complesso comunque positiva.


Teresa Iervolino, nei panni di Mrs. Quickly, ha invece convinto ampiamente. Il mezzosoprano ha messo in luce un bel colore nei registri mediano e acuto, anche se i gravi sono apparsi meno corposi. Il volume vocale, non particolarmente ampio, l’ha penalizzata in alcuni momenti d’insieme, soprattutto in quelli di confronto con Falstaff, ma la sua rimane una prova di rilievo per eleganza, precisione e vivacità scenica.


Caterina Piva ha disegnato una Meg di grande gusto e di bella presenza, con un canto sempre intonato e ben proiettato.


Giuliana Gianfaldoni, nei panni di Nannetta, si è confermata come una delle più felici rivelazioni del Festival Verdi 2025. La voce è apparsa fresca, omogenea e di raffinata musicalità, sostenuta da un controllo del fiato esemplare, soprattutto nei momenti di maggiore levità. Nonostante l’annuncio di un’indisposizione, la sua prova è risultata impeccabile, cesellata e delicata.


Dave Monaco, a sua volta, ha affrontato Fenton con gusto e precisione, offrendo un’interpretazione corretta e ben centrata, anche se talvolta vocalmente poco leggera.


Alessandro Luongo, come Ford, si è confermato un cantante di solido mestiere e di comprovata esperienza, ma il ruolo non è sembrato adattarsi perfettamente alle sue caratteristiche vocali. L’emissione, pur solida, ha faticato a superare le difficoltà tecniche della parte, e l’acuto dell’aria del secondo atto è risultato tenuto con qualche sforzo.


Ottimo affiatamento per la coppia comica formata da Roberto Covatta (Bardolfo) ed Eugenio Di Lieto (Pistola), entrambi efficaci e puntuali, sia sul piano vocale che scenico. Gregory Bonfatti, Dr. Cajus, ha offerto una prestazione vivace e precisa, anche se la voce, di volume piuttosto contenuto, ha faticato a emergere nei momenti d’insieme.


La regia di Jacopo Spirei, già conosciuta al pubblico, si è confermata come una rivisitazione molto riuscita del capolavoro verdiano. Spirei ha raccontato la vicenda con ritmo brillante e con intelligenza teatrale, restituendo tutto il gusto, la leggerezza e l’ironia dell’Inghilterra. L’impianto visivo è apparso accattivante, curato nei dettagli e pienamente rispettoso dello spirito dell’opera: non ha cercato di aggiungere comicità estranea, ma ha valorizzato quella intrinseca del libretto e della musica. Il risultato è stato uno spettacolo vivace, elegante e perfettamente coerente.


Meno convincente, invece, è risultata la direzione del maestro Michele Spotti. Pur trattandosi di un giovane direttore di indubbio talento, la sua concertazione, vivace e scorrevole, è apparsa priva di colori. I tempi sono stati ben calibrati, ma sono mancati i chiaroscuri, le improvvise increspature grottesche e i raffinati contrasti che fanno di Falstaff un autentico gioco di luci e di ombre. La lettura, pur corretta, è risultata così piuttosto grigia e poco divertente. Anche la Filarmonica Toscanini non ha contribuito a illuminare il suono: l’orchestra ha offerto una resa complessivamente opaca, dal timbro a tratti sordo e privo di brillantezza, che certo non ha facilitato il lavoro del direttore.


Buono, seppur limitato nei suoi interventi, il contributo del Coro del Teatro Regio di Parma diretto da Martino Faggiani, preciso e ben equilibrato.


Nel complesso, uno spettacolo solido, costruito su individualità di rilievo e su una regia intelligente, ma che non ha trovato un pieno sostegno in una direzione orchestrale, la quale è stata non sempre disponibile a cogliere l’ironia, la leggerezza e la genialità musicale dell’ultimo Verdi. Uno spettacolo positivo, non certo memorabile.


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