Macbeth • Abbado
- Lorenzo Giovati
- 27 set 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 28 set 2024
Parma, Teatro Regio. 26 Settembre 2024.
Dopo la pausa estiva la programmazione del Teatro Regio di Parma è ripresa (come ormai da ventiquattro edizioni) con l’inaugurazione del Festival Verdi, kermesse musicale dedicata (ma non interamente, essendo quest’anno arricchita da alcuni interessantissimi concerti) alla celebrazione nei teatri delle sue terre (Parma, Fidenza e Busseto) di uno dei più grandi compositori italiani. Quest'anno, com'era già avvenuto nello sfortunatissimo festival dell’anno 2020, funestato dal Covid, per la serata inaugurale è stata allestita una nuova produzione di "Macbeth", nella versione francese del 1865.
La versione francese (che è rara da ascoltare e che per questo rappresenta un’interessante proposta), dal punto di vista della trama non offre sostanziali modifiche rispetto alla versione italiana, da cui differisce invece per qualche variazione della parte musicale, tra cui l'aria di Lady Macbeth La luce langue, che sostituisce la cabaletta della versione del 1847 Trionfai! securi alfine e l'introduzione dei bellissimi ballabili del terzo atto, che però a volte vengono eseguiti anche all'interno della versione italiana (come avviene nel caso delle incisioni di Abbado e di Sinopoli oppure come è avvenuto nella prima scaligera di Chailly). Nonostante la sostanziale identità delle versioni, quella francese presenta però un appeal emozionale meno attrattivo di quella italiana e la lingua francese, seppur integrata alla perfezione all'interno delle musiche di Verdi, influisce non positivamente sulle prestazioni dei cantanti, in termini di espressività, di coinvolgimento e fors’anche di difficoltà tecnica.
Nonostante ciò, il cast che è stato impegnato in questa nuova produzione parmigiana si è cimentato nella sfida con buoni risultati.
Primo tra tutti il baritono Ernesto Petti, che ha saputo affrontare l’impegnativo ruolo di Macbeth con lodevole correttezza. La sua interpretazione, sebbene il canto non sempre sia pienamente espressivo, è riuscita comunque a mettere in luce la complessità psicologica del personaggio, evidenziandone la componente più umanamente fragile, in ciò adiuvato anche dai movimenti scenici ben studiati dal regista, capaci di supportare e di amplificare le sfumature emotive del protagonista. La linea di canto di Petti, che può contare su una voce scura e timbrata, connotata anche da una notevole potenza, è stata franca e precisa, soprattutto nell'intonazione, sebbene in alcuni passaggi la sua emissione non sia stata sempre del tutto nitida. Un momento particolarmente e visibilmente impegnativo è stata l'aria "Honneurs, respect, tendresse", in cui si è percepita, fors’anche per la stanchezza e la tensione della recita, una leggera difficoltà vocale. La risposta degli spettatori è stata comunque giustamente calorosa, in riscontro ad un’interpretazione di indubbio pregio.
Nei panni dell'unico personaggio femminile dell'opera, ovvero Lady Macbeth, si è calata la giovane e talentuosa Lidia Fridman. La sua bella voce ambrata, seppur non sontuosissima nel volume, si è espressa con agilità e con tecnica all'interno di un registro vocale ampio e ben gestito in ogni settore. Nel registro grave la voce non ha mai perso di timbro, come non è diventata stridente in quello acuto. L'unico acuto che ha rivelato sforzo è stato forse quello della scena della pazzia, comunque complessivamente gestita con abilità e intelligenza. L'interpretazione è stata poi generalmente attenta, anche se forse talvolta un poco trattenuta. A ciò ha fatto però da contrappunto un'eccellente presenza scenica, rara da riscontrare in un'artista così giovane.
Michele Pertusi, interprete affermato del ruolo di Banquo (in italiano), non ha di certo deluso le aspettative al suo debutto nel ruolo francese. La sua padronanza totale del ruolo, oltre alla sua lunga esperienza e al suo talento artistico, lo hanno reso l’artista della serata che meglio ha dimostrato di poter mantenere un livello molto alto di espressività del canto, superando con maestria le difficoltà tecniche, del personaggio e del francese, sfoggiando una notevole dizione e un ottimo fraseggio. L'emissione, morbida e precisa, insieme ad un'interpretazione più che valida, lo hanno riconfermato come il basso di punta del repertorio verdiano nell’attuale scenario canoro internazionale.
Un poco sottotono è parso invece il tenore Luciano Ganci nei panni di Macduff, sebbene la sua scelta per il ruolo rappresentasse indubbiamente una delle migliori possibili. Il tenore romano non sempre è riuscito ad esibire un canto sciolto, morbido ed espressivo, come di norma sa fare, soprattutto nell'aria "Ah! c'est la main d'un père", in cui la sua fatica si è percepita abbastanza evidente. Ha però ben compensato con una notevole baldanza vocale, nonché con un'interpretazione seria e impegnata, supportata da un’eccellente presenza scenica, tanto da meritare, anche lui, un caloroso riconoscimento a scena aperta da parte del pubblico.
Ha completato il cast principale l'accurato Malcolm di David Astorga.
Di livello sono stati anche Natalia Gavrilan (La Comtesse), Rocco Cavalluzzi (Un Medecin), Eugenio Maria Degiacomi (Un serviteur/Un sicaire/Premiere fantôme), Agata Pelosi (Deuxième fantome) e Alice Pellegrini (Troisième fantome).
A sostegno di un buon palcoscenico si è proposta, con qualche ombra, la direzione del maestro Roberto Abbado, professionista di consolidata esperienza, che si era già cimentato nell'opera (e in particolare nell'edizione francese) nel 2020, sempre a Parma. Verdi, che di solito elabora un'orchestrazione decisa nelle sue opere, ha scelto per Macbeth (forse anche a causa della sua venerazione per Shakespeare) toni e dettagli molto evocativi (come la cornamusa dell'inizio, oppure come le riprese della melodia nel finale secondo, che tendono sempre ad incupirsi man mano che il fantasma di Banquo si propone). La scelta di tenere tempi sempre tendenti al rapido e di imprimere all’esecuzione una cifra prevalentemente energica, attuata dal maestro Abbado, non è dato sapere se per la necessità di mantenere compatta l’orchestra o se per una sua autonoma visione interpretativa, per un verso ha consentito al pubblico di usufruire facilmente della piacevolezza della musica di Verdi, ma, per altro verso, ha penalizzato le evocazioni e le atmosfere che si celano tra le pieghe della musica dello stesso Verdi e ciò, sia nei momenti di tensione, sia nei ripiegamenti più intimi e nobili che la partitura riserva, inducendo, alla lunga, la percezione di una certa uniformità e non aiutando i cantanti a cercare toni più ricchi e duttili nella loro prestazione vocale. E così, i finali del primo e del secondo atto, ad esempio, sono apparsi un poco privi di reale tensione e di percettibile emotività, mentre, in altre occasioni, gli attacchi impetuosi di alcune arie non hanno conferito la dovuta morbidezza a certi momenti dell’opera. Una conduzione, in sintesi, efficiente e professionale, ma non particolarmente emozionante.
Uno dei meriti riconoscibili all'impostazione del maestro Abbado, che comunque si è confermato un direttore di ottima professionalità, è stata la prestazione dell'orchestra. La Filarmonica Arturo Toscanini ha infatti suonato in modo lodevole, evidenziando anche un volume degli archi decisamente superiore ad altre prestazioni.
Sempre impeccabile è stato il Coro del Teatro Regio di Parma, preparato splendidamente dal maestro Martino Faggiani, che è stato protagonista di uno dei momenti migliori della serata, ovvero il coro “O patrie! O noble-terre!”.
Ultima, ma non per importanza, è stata la regia di Pierre Audi. Apprezzabile e apprezzata dal pubblico è stata la scelta di privilegiare l'estetica della messa in scena, che infatti è risultata elegante, appropriata e per nulla disturbante. La prima parte dello spettacolo (corrispondente ai primi due atti) è stata ambientata in un fittizio Teatro Regio, speculare al Teatro reale, mentre nella seconda parte è scomparso il teatro fittizio per lasciare spazio ad un suggestivo intreccio di graticce di legno, che si muovevano per creare effetti visivi in contrasto con uno sfondo molto luminoso. In una regia che quindi ha prediletto una cura meticolosa e di alto livello delle scene, grazie anche alla qualità conferita loro dalle eccellenti maestranze del Teatro, è però sfuggito un poco il nesso (forse sin troppo) sotterraneo tra l'opera e le sue scene (oltre che alle due scene, Regio e graticcia, tra loro). L’esito è stato quindi quello di una regia la cui decifrazione non è apparsa facilmente definita, ma di cui si è ben percepita la sua capacità di accogliere in modo appropriato la musica e di assecondarne l’ascolto. La regia presentava inoltre alcuni spunti interessanti (come il calice del finale del secondo atto, utilizzato nei ballabili da Lady Macbeth come simbolo della sua (in)fecondità, oppure come le sedie che vengono spesso fatte roteare per simboleggiare come il potere possa cambiare repentinamente e inaspettatamente). Belli, coreograficamente e simbolicamente, i balletti eseguiti durante la scena dei ballabili, in cui appariva un Macbeth ballerino, contornato e perennemente “aggredito” da tre controfigure della Lady.
Il Festival Verdi 2024 si è quindi inaugurato in modo positivo. E non v’era da dubitarne considerato l’impiego di professionisti di consumata esperienza, che alla prova del palcoscenico si sono confermati tali. La serata ha ottenuto un successo meritato per tutti e ha dato il via ad un festival che proseguirà con Un Ballo in Maschera al Teatro Verdi di Busseto.