I due Foscari • Beltrami
- Lorenzo Giovati
- 7 mag 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Piacenza, Teatro Municipale. 3 Maggio 2024.
Come terzultimo appuntamento della stagione 2023/2024 del teatro Municipale di Piacenza è stata proposta l’opera “I due Foscari” di Giuseppe Verdi, sesta opera del maestro, che lui stesso definì “ad una tinta, un color troppo uniforme (…). Ad una corda sola, elevata, ma pur sempre la stessa”. In effetti l’impressione riscontrata dello spettacolo, nonostante la pregevole esecuzione complessiva, è stata quella di un’opera frammentaria, emotivamente discontinua, e in grado di lasciar trasparire la genialità in nuce del Maestro quasi soltanto nelle pagine di assieme, in cui egli perfeziona, già dai primordi, un’architettura sonora affascinante, capace di intersecare emozioni diverse e di intrecciare i sentimenti privati con i doveri pubblici.
Il direttore d’orchestra Matteo Beltrami è stato bravo nel privilegiare una direzione brillante e sostenuta, incentrata su tempi veloci e su gradazioni di intensità orchestrale proiettate sul forte, anche se mai indulgenti verso il bandistico. Ne è scaturita una narrazione orchestrale fluida e piacevole, in cui però la coerenza ritmica è andata a discapito della duttilità, con la conseguenza che, sul piano emotivo, l’esecuzione è complessivamente risultata poco variata e anch’essa appiattita verso i toni forti, fors’anche per assecondare le scelte dei blasonati interpreti. La coesione, comunque, tra buca d'orchestra e palcoscenico è stata buona.
La linea direttoriale del maestro Beltrami ha anche consentito all'Orchestra dell'Emilia-Romagna Arturo Toscanini di esprimersi bene, sfoggiando una buona intonazione in ogni sezione, anche quelle normalmente più fragili, e una buona compattezza generale, soprattutto nel preludio e nelle parti d'assieme.
La componente vocale, per parte sua, è stata parimenti pregevole, anche se la sensazione che si è avuta è che ogni interprete avesse un poco le briglie sciolte e potesse esprimersi a propria discrezione. Il che non ha penalizzato il canto, essendovi in scena artisti di prim’ordine, ma nemmeno ha giovato all’assieme dello spettacolo, che notoriamente non è la sola sommatoria delle individualità che lo compongono.
Il Doge di Venezia, Francesco Foscari, è stato interpretato, con la caratura dell’artista ormai consumato, dal baritono Luca Salsi, che ha ricevuto una calorosissima ovazione alla fine dello spettacolo. Fin dall'aria d'apertura il baritono parmense ha sfoggiato una voce piena, sicura e accentata correttamente. Cogliendo però nell’insieme la sua performance, non è stata per intero esorcizzata la percezione di un canto tendente un poco all’uniforme, in cui l’interpretazione, supportata da un mezzo vocale sempre sontuoso, è parsa più affidata all’esteriorità del gesto scenico che non alla varietà degli accenti, delle dinamiche e dei toni. L'interpretazione è stata comunque di quelle che si vorrebbero sempre sentire, convincente, sia nel caratterizzare la sofferenza di Francesco per Jacopo, sia la rabbia fatale che esplode nel finale dell’opera.
Al suo fianco, ad interpretare il figlio del Doge Jacopo Foscari vi era il tenore Luciano Ganci, anch'egli applauditissimo al termine della recita, che ha confermato le sue ottime qualità. Il tenore romano dispone di una voce ben timbrata e di una linea di canto pregevole ed elegante. Il registro acuto è raggiunto con facilità e tenuto con buona tecnica, sebbene le asprezze del repertorio giovanile verdiano lo espongano a prove non facili, soprattutto quando la voce deve piegarsi alla ricerca di espressioni più raccolte. Anche per quanto lo concerne, però, all’apprezzamento generato dalla proprietà esecutiva dei singoli brani, si è gradatamente affiancata la percezione di una limitata duttilità interpretativa, forse dovuta anche al fatto, già rimarcato, che non è risultata ben percepibile un’unitaria lettura dell’opera, in grado di amalgamare le pregevolezze individuali.
Marigona Qerkezi ha ottimamente interpretato Lucrezia Contarini, mettendo al servizio del personaggio una vocalità fluida ed un fraseggio eccellente, anche se non sempre è parso impeccabile il controllo del volume vocale. Dal punto di vista interpretativo, però, è forse stata la migliore del cast, riuscendo ad essere, in modo convincente, sia lirica, sia drammatica.
Antonio di Matteo non ha offerto un'esecuzione vocale sempre impeccabile del personaggio di Jacopo Loredano, riuscendo comunque a restituirne l'austerità scenica e interpretativa.
Hanno ben completato il cast Marcello Nardis (Barbarigo), Ilaria Alida Quilico (Pisana), Manuel Pierattelli (Fante) ed Eugenio Maria Degiacomi (Servo del Doge).
Il coro del Teatro Municipale, preparato da Corrado Casati, ha cantato bene per tutta la recita; la componente maschile in particolar modo.
Apprezzabile infine è stata anche la regia di Joseph Franconi Lee, ripresa da uno spettacolo andato in scena al Teatro Regio di Parma nel 2013. La regia si caratterizza per spazi ampi e ben suddivisi, che offrono alla musica un’ambientazione appropriata, anche se tendenzialmente cupa e certamente non sorprendente. La sobrietà, comunque, è spesso gran pregio.
Uno spettacolo, pertanto, di buon livello, giustamente premiato dai consensi del pubblico.