Gala Verdiano • Carignani
- Lorenzo Giovati
- 17 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Parma, Teatro Regio. 10 Ottobre 2025.
Nell’ambito del Festival Verdi, il Teatro Regio di Parma ha rinnovato la consuetudine del Gala nel giorno del compleanno del Maestro, scegliendo la via più seria: non un’antologia di arie, ma atti interi che restituiscono la logica teatrale di un’opera. La linea tematica prescelta è parsa quella del rapporto padre-figlia, con Miller e Rigoletto come figure “ingombranti” che determinano il destino di Luisa e di Gilda. È un’idea forte, che avrebbe potuto imprimere al concerto un segno drammaturgico riconoscibile e una tinta di festa nel segno del Maestro. Purtroppo, però, la cornice scenica un poco grigia, il tono complessivo non festosissimo e una concertazione poco narrativa hanno lasciato l’impressione di una celebrazione corretta, doverosa, ma anche poco gioiosa.
Nella prima parte del Gala è stato presentato il terzo atto di Luisa Miller di Giuseppe Verdi. Il ruolo di Luisa è stato interpretato dal soprano Alessia Panza, che ha ormai fatto di questa parte un suo cavallo di battaglia. Il fraseggio è apparso sempre curato e la voce limpida, ben emessa e con bella proiezione. La cantante ha saputo mantenere costantemente equilibrio e misura, offrendo una prova solida, anche se a tratti è emersa la necessità di affinare accenti più incisivi e più scenicamente partecipi, soprattutto nei passaggi più drammatici del duetto con Miller.
Più acerbo è apparso invece il Rodolfo di Ivan Magrì, che ha prestato al personaggio un mezzo vocale complessivamente intonato, seppur non particolarmente pastoso nel timbro. La presenza è risultata comunque efficace e la linea di canto sostanzialmente corretta, anche se priva di vero calore espressivo.
Non particolarmente raffinato è apparso anche il Miller di Ariunbaatar Ganbaatar, che, per dominare la sua grande e possente voce, ha spesso ceduto alla tendenza di spingere sul forte, anche in pagine più liriche come “Andrem raminghi e poveri”. Ne è derivato un canto che, pur rimanendo sempre intonato e sostenuto da un timbro caldo e piacevole all’ascolto, ha lasciato in secondo piano la morbidezza e la raffinatezza del fraseggio. Un’interpretazione vigorosa la sua, che però avrebbe guadagnato da una maggiore attenzione alla sfumatura e alla parola.
Precisi sono stati gli interventi di Maria Kosovitsa come Laura e di Francesco Leone come Conte di Walter.
Nella seconda parte del Gala è stato invece proposto il terzo atto di Rigoletto.
Nei panni del protagonista è tornato Ariunbaatar Ganbaatar, che ha riproposto sostanzialmente gli stessi pregi e gli stessi limiti già emersi in Luisa Miller. Il suo Rigoletto è più eseguito, che interpretato: la voce, pur ampia e sonora, ha la tendenza a perdere di corpo sui piani e a sacrificare la varietà del fraseggio. Il risultato è stato quello di una lettura corretta, ma non particolarmente approfondita, priva di quella tensione drammatica che anima il personaggio verdiano.
Una vera rivelazione è stata invece la Gilda di Giuliana Gianfaldoni, già impegnata anche nelle recite di Falstaff come Nannetta. La sua voce, dal timbro chiaro e morbido, è risultata sempre intonata e ben proiettata, il fraseggio curato e intelligente l’uso delle sfumature. La sua è una Gilda tormentata e consapevole, costruita con sensibilità musicale e con gusto scenico. Particolarmente riuscite sono apparse le mezze voci e la gestione del registro acuto, sempre omogeneo e mai forzato: una prova di notevole qualità.
Ben delineato è risultato anche il Duca di Mantova di Davide Tuscano, chiamato a sostituire all’ultimo momento Galeano Salas, a sua volta impegnato a sostituire un collega alla Scala nello stesso ruolo. La voce ha un colore adatto alla parte e l’emissione è elegante. “La donna è mobile” è stata eseguita con nobiltà di canto e con buona qualità vocale, seppur con qualche lieve difficoltà, dovuta anche a una direzione orchestrale non sempre attenta alle esigenze dei cantanti. Nel complesso un Duca nobile e credibile.
Molto convincente anche Teresa Iervolino nel ruolo di Maddalena, affrontato con il giusto equilibrio tra intensità e misura. L’artista si è imposta per presenza e per sicurezza vocale, offrendo un’interpretazione appropriata e decisamente solida.
Complessivamente corretto lo Sparafucile di Francesco Leone, che ha portato a termine il ruolo con precisione e con adeguato peso vocale.
Rimane infine la prova del maestro Paolo Carignani alla guida della Filarmonica Toscanini di Parma. Dal punto di vista direttoriale, lo spettacolo è apparso drammaturgicamente poco consistente: la concertazione, in entrambe le pagine, si è rivelata piatta e priva di reale tensione narrativa, con tempi niente più che corretti e con una gestione delle dinamiche che non ha saputo creare contrasti, né profondità. Una direzione diligente, senza dubbio corretta sul piano tecnico, ma che raramente è riuscita a farsi teatro. Va riconosciuto al maestro Carignani il merito di aver evitato alcuni eccessi della tradizione esecutiva, in particolare nel Rigoletto, in cui ha scelto giustamente di non indulgere nell’acuto finale del tenore dopo “La donna è mobile”, spesso trattenuto fino all’estremo. È stata una condivisibile scelta di sobrietà, che però non è bastata a compensare un’impressione di monotonia. Il suono orchestrale è risultato quasi sempre sordo, privo di trasparenze e di quelle sfumature che danno vita al fraseggio verdiano.
La Filarmonica Toscanini ha suonato con la consueta diligenza e professionalità, garantendo una buona compattezza d’insieme e precisione negli attacchi, ma senza riuscire ad eccellere. Ne è derivato un risultato complessivamente corretto, ma poco ispirato.
Ridotto a pochi interventi anche il sempre valido Coro del Teatro Regio, preparato da Martino Faggiani, che ha confermato la consueta compattezza ed eleganza.
Il tracciato della serata, così, è parso seguire due linee parallele, che non si sono incontrate: da un lato, una scelta di programma intelligente, potenzialmente capace di restituire il nodo padre-figlia al cuore del teatro verdiano e, dall’altra parte, un’esecuzione che ha prediletto la correttezza al racconto partecipe. Ne è restata l’impressione di un Gala rispettoso e composto, ma poco festoso. Un anniversario, senza scintilla, un concerto ben fatto che però non ha saputo celebrare.
























