Evgenij Onegin • Zangiev
- Lorenzo Giovati
- 23 feb
- Tempo di lettura: 5 min
Milano, Teatro alla Scala. 19 Febbraio 2025.
All’indomani dell’insediamento del nuovo Consiglio di Amministrazione del Teatro alla Scala e del nuovo Sovrintendente Fortunato Ortombina, il Piermarini ha accolto, dopo sedici anni di assenza, una nuova produzione di Evgenij Onegin di Tchaikovsky, firmata dal regista Mario Martone e affidata alla direzione di Timur Zangiev.
La regia di Martone, coerente con il suo stile distintivo, ha optato per un’ambientazione contemporanea, anziché rispettare l’originale contesto temporale dell’opera. Questa scelta ha suscitato reazioni contrastate da parte del pubblico e, in particolare, da parte di un loggione piuttosto contrariato, che ha espresso, in occasione dei saluti, finali, un dissenso esplicito. In realtà, la regia non è parsa priva di pregi, soprattutto per la coerenza e per la chiarezza della narrazione scenica. L’impianto registico, non solo ha offerto una lettura simbolica di facile comprensione e ben strutturata, ma ha garantito anche un alto livello qualitativo nella resa visiva. Nel primo atto, ambientato in una campagna stilizzata, emergeva il piccolo spazio privato di Tat’jana, rappresentato da una stanza ridotta all’essenziale, simbolo anche di un suo mondo interiore. Questo spazio, dopo la sfida lanciata da Lenskij a Onegin nel secondo atto, crollava sullo sfondo, traducendo visivamente lo sconvolgimento emotivo della protagonista. Il secondo atto si svolgeva in una festa popolare, dove gli elementi scenici, composti da uno spalto per il pubblico di una celebrazione militare (con tanto di banda), si inserivano armoniosamente, senza interferire con la narrazione, che poneva particolare enfasi sul movimento delle masse. Il momento del duello tra Onegin e Lenskij introduceva una variazione alla trama originale: invece dello scontro diretto, i due protagonisti si passavano una pistola con un solo colpo, evocando il meccanismo della roulette russa. Nel terzo atto, la scena era dominata da un grande sipario rosso, dietro il quale si intravedevano i movimenti dei danzatori, evocando la festa nel palazzo di San Pietroburgo. Con il progredire dell’azione, lo spazio si svuotava progressivamente fino a lasciare soli Tat’jana e Onegin in un ambiente nero e desolato, che amplificava la drammaticità dell’epilogo. In tutti e tre gli atti, i balletti sono parsi bellissimi e coinvolgenti. Sebbene la regia si sia distaccata dalle indicazioni temporali del libretto, essa ha proposto tutti gli elementi essenziali per una lettura coinvolgente dell’opera, garantendone una perfetta intelligibilità. Il rigore simbolico e la cura nella costruzione degli spazi scenici hanno reso questa produzione un’interpretazione registica di alto livello.
Decisamente di alto livello è apparsa anche la parte musicale, grazie a una splendida direzione del maestro Timur Zangiev. Giovanissimo, ma già in possesso di una tangibile maturità artistica, il direttore russo ha saputo restituire alla partitura di Tchaikovsky una lettura tesa, coerente e perfettamente amalgamata con il palcoscenico. Zangiev ha mostrato particolare attenzione nelle sezioni d’assieme e nei momenti in cui l’orchestra assume un ruolo di primo piano, garantendo sempre un suono ricco e avvolgente. Uno dei momenti più significativi della sua direzione è stata la celebre Polonaise che apre il terzo atto, eseguita con un’ottima scansione ritmica e un perfetto bilanciamento orchestrale. Il tempo scelto è apparso corretto, privo di eccessi o di rallentamenti, mentre le dinamiche ben calibrate hanno esaltato l’eleganza e l’energia del brano. Il maestro ha saputo mettere ben in evidenza anche le varie parti dell’opera, bilanciando ogni sezione orchestrale con cura. Nel primo atto, ad esempio, la monotonia della linea melodica è apparsa ben gestita, evitando una resa piatta o noiosa. L’accompagnamento dei cantanti si è rivelato sempre attento, con una cura particolare per le transizioni e per i colori orchestrali, rendendo giustizia alla drammaticità di pagine come il duetto tra Tat’jana e Onegin nel finale. La sua direzione, dunque, si è distinta per equilibrio, precisione e per un’interpretazione che ha saputo valorizzare l’essenza lirica e teatrale dell’opera.
Eccellente è stata la prestazione dell'Orchestra del Teatro alla Scala, che si è distinta per una straordinaria compattezza e una qualità sonora di alto livello. La coesione dell’insieme, frutto anche di una direzione attenta, ha garantito una resa musicale sempre fluida e ben equilibrata. Le intonazioni sono risultate estremamente accurate, e il suono, vivo e avvolgente, ha saputo spaziare con naturalezza tra le sfumature più delicate e le piene orchestrali di grande impatto, senza mai perdere nitidezza e profondità. Di pari livello è stato il coro scaligero, che si è confermato un’eccellenza assoluta per volume, fraseggio e compattezza sonora. La preparazione minuziosa di Alberto Malazzi ha permesso di ottenere una resa vocale di grande omogeneità e di apprezzabile precisione espressiva.
Sul fronte vocale, Alexey Markov ha offerto un’interpretazione convincente di Evgenij Onegin, restituendone il carattere altezzoso e distaccato, con grande padronanza scenica. Il suo Onegin si è imposto per una presenza sicura, quasi sprezzante nei confronti di Tat’jana, senza però risultare monolitico. Nei momenti di maggiore turbamento ha infatti saputo sfumare l’atteggiamento cinico e trasfigurarlo in una viva inquietudine. Vocalmente, ha esibito una voce scura e corposa, omogenea in tutti i registri, con una timbratura solida e un’intonazione sempre precisa.
Nella compagine femminile, il ruolo di Tat’jana è stato affidato ad Aida Garifullina, che ha dato al personaggio freschezza ed eleganza. La sua voce, dal timbro chiaro e luminoso, ha delineato una Tat’jana giovane e ingenua, forse non molto profonda nella resa psicologica, ma che ha comunque saputo colpire per la sua compostezza e per la sua grazia. Particolarmente degna di nota è stata l’aria della lettera, eseguita con sensibilità, in un modo capace di restituire il fervore emotivo della protagonista.
Di grande impatto emotivo è stato il Lenskij di Dmitry Korchak, che ha saputo rendere il personaggio con un’intensità e una passione palpabili. Il suo timbro chiaro e cristallino, sostenuto da un ottimo controllo tecnico, ha trovato la sua massima espressione nell’aria Kuda, kuda vy udalilis, affrontata con grande trasporto e con fraseggio raffinato. Il passaggio dalla malinconia al presagio di morte è stato reso con un lirismo struggente, catturando perfettamente la disperazione del giovane. Il pubblico lo ha apprezzato con un lungo applauso a scena aperta, segno della forte presa emotiva della sua interpretazione.
Nei panni di Ol’ga, Elmina Hasan ha dato vita ad un personaggio vivace e spensierato, con un’energia scenica contagiosa, che ben si è sposata con il temperamento leggero della sorella di Tat’jana. Vocalmente, la sua voce ha brillato per freschezza e morbidezza, rivelandosi sempre ben timbrata e intonata.
Di particolare raffinatezza è stata l’interpretazione di Julia Gertseva nel ruolo di Filipp’evna, la nutrice di Tat’jana. La cantante ha restituito con delicatezza la fragilità del personaggio, ma al contempo ha saputo trasmetterne il calore e la saggezza affettuosa, in particolare nel dialogo con la giovane protagonista.
Nel ruolo della vedova Larina, Alisa Kolosova ha offerto un’interpretazione sobria ed elegante. La sua voce voluminosa, si è distinta per una perfetta intonazione e una buona capacità di fraseggio. Il personaggio è apparso ben delineato, con un’aura di malinconia trattenuta che ha saputo arricchire il quadro familiare della prima parte dell’opera.
Dmitry Ulyanov, quale Principe Gremin, ha fornito un’interpretazione autorevole, conferendo grande dignità al personaggio. La sua aria Lyubvi vse vozrasty pokorny è stata affrontata con fraseggio curato e con trasporto emotivo, sebbene alcune difficoltà nelle note più alte abbiano reso meno omogenea la linea di canto. Il timbro, a tratti meno levigato, non ha però compromesso l’efficacia della sua interpretazione.
Di livello e ben amalgamati con il resto del cast sono stati anche i ruoli di contorno, interpretati da Huanhong Li (Un capitano della guardia), Oleg Budaratskiy (Zareckij), Andrezej Glowienka (Un contadino) e infine Yaroslav Abaimov (Triquet) a cui va una menzione particolare per un'accurata e piacevole esecuzione della sua aria del secondo atto.
Nel complesso, questo Evgenij Onegin, non solo è risultato uno spettacolo complessivamente coeso e coinvolgente, ma ha offerto al pubblico l'opportunità di immergersi in un'opera che, pur portando la firma di Tchaikovsky, si discosta nettamente dall'impeto e dalla grandiosità delle sue sinfonie. Spesso sottovalutata proprio per questa sua natura più intima e riflessiva, l'opera ha invece dimostrato tutta la sua profondità emotiva, regalando una serata decisamente piacevole.


















