La Forza del Destino • Chailly
- Lorenzo Giovati
- 21 dic 2024
- Tempo di lettura: 8 min
Milano, Teatro alla Scala. 16 Dicembre 2024.
"La potenza del fato", "L'opera di San Pietroburgo", "La ventiquattresima opera di Verdi, "Quell'opera là", sono soltanto alcuni dei nomi alternativi per riferirsi a "La Forza del Destino" di Giuseppe Verdi, sulla quale aleggia da molto tempo un presagio di sfortuna. Forse è anche per questo che il Teatro alla Scala non la sceglieva da cinquantanove anni (dal 1965 con Gavazzeni sul podio) per il suo "7 Dicembre", serata di apertura della nuova stagione lirica. Come da ormai diversi anni, l'apertura è stata affidata al direttore musicale Riccardo Chailly e ha visto coinvolte voci e nomi da grande rinomanza.
Tra tutti, alla sua settima inaugurazione di stagione, questa Forza del destino ha visto il ritorno di Anna Netrebko sul palco del Piermarini. La Netrebko, che ha interpretato Leonora di Vargas, si è riconfermata la grande artista che è sempre stata, soprattutto dal punto di vista scenico, dimostrando una presenza magnetica. Dal punto di vista vocale, però, non è riuscita a nascondere alcune criticità. Nel corso degli anni, la Netrebko ha progressivamente mutato la sua tecnica di canto, consolidando una tendenza a enfatizzare ed allargare, talvolta eccessivamente, le note nel registro centrale e inferiore. Questa scelta, che rende il suono pieno e corposo, ma anche un poco ventriloquo, rischia tuttavia di appesantire i momenti più lirici e introspettivi, penalizzando la scorrevolezza e l’espressività nelle arie solistiche, come in "Pace, pace, mio Dio". In questa, ad esempio, il fraseggio ha sofferto di una certa staticità e le note gravi, pur ben sostenute, hanno mancato di trasparenza. A bilanciare tali aspetti, tuttavia, resta la sua straordinaria capacità di affrontare il registro acuto con precisione e sicurezza. Nei momenti in cui la tessitura la porta verso l’alto, la Netrebko si dimostra ancora capace di alleggerire magnificamente la voce, creando filati eterei e sospesi che avvolgono il pubblico con un fascino ineguagliabile. Tuttavia, la recita del 16 dicembre, rispetto alla prima del 7 dicembre, trasmessa su Rai 1, ha mostrato qualche incertezza in più, soprattutto nei passaggi che avrebbero richiesto una maggiore delicatezza nell’intonazione. A tratti, inoltre, l’interpretazione di Anna Netrebko è parsa molto diretta e poco emotivamente partecipe, mancando di profondità espressiva e, soprattutto, di raccoglimento. Questo è stato particolarmente evidente nella scena del convento del secondo atto, dove l’approccio della Netrebko, pur ottimo sul piano vocale, è apparso meno coinvolto dal punto di vista drammatico, lasciando percepire una distanza tra l’intensità della musica di Verdi e il pathos dell’interpretazione scenica. Nonostante queste osservazioni, Anna Netrebko si è riconfermata un’artista di talento. La sua Leonora, benché non priva di limiti, resta una prova di fascino teatrale, in cui l’esperienza scenica ha saputo prevalere sui limiti vocali che emergono in alcune sfumature interpretative.
A chi questa Forza del destino ha portato decisamente fortuna è stato Brian Jagde, sostituto del designato Jonas Kaufmann, e a sua volta sostituito giustificatamente, per la nascita di un figlio, nelle recite del 13 e 16 dicembre dal tenore Luciano Ganci. Il tenore italiano ha trovato in Don Alvaro uno dei suoi personaggi verdiani più riusciti. Rinomato per aver interpretato quasi tutti i ruoli di Verdi, Ganci ha saputo dare una lettura coinvolgente al tormentato personaggio di Alvaro, sfruttando appieno il suo timbro chiaro e il fraseggio curato. Nell’aria "La vita è inferno all’infelice", Ganci ha colpito per la capacità di modulare il suo canto, utilizzando una linea vocale morbida. La sua interpretazione ha evidenziato una comprensione profonda del testo musicale, rendendo palpabile la sofferenza del personaggio senza mai scadere nell’eccesso. Un momento particolarmente significativo è stato il duetto "Solenne in quest’ora", in cui la sua voce si è distinta per un eccellente realismo della sofferenza fisica di Alvaro. Anche nel finale, durante "O tu che in seno agli angeli", il tenore ha mostrato un’abilità eccellente nel combinare il lirismo della melodia con la profondità espressiva. La sua prestazione è stata caratterizzata anche da una buona capacità di variazione espressiva, facendo emergere le molteplici sfumature del personaggio.
Nei panni di Don Carlo di Vargas, il baritono Ludovic Tézier ha offerto una performance di straordinaria intensità e precisione, capace di coniugare una vocalità imponente con un controllo eccellente di intonazione e potenza. Tézier ha saputo rendere la complessità del personaggio attraverso una gamma espressiva straordinaria, alternando momenti di cruda forza emotiva ad altri di raffinata introspezione. Nell'aria del secondo atto, "Son Pereda, son ricco d'onore", Tézier ha mostrato un fraseggio precisissimo e un timbro che risuonava pieno e autoritario. La padronanza della tecnica vocale è stata evidente nei passaggi più complessi, che ha affrontato con una naturalezza tale da rendere ogni frase musicale fluida e avvincente. Il terzo atto lo ha visto protagonista dell’aria "Urna fatale", in cui Tézier ha saputo condensare il tormento e la risolutezza del personaggio in una prova magistrale. La sua capacità di passare da una linea vocale di grande ampiezza a una morbidezza quasi dolorosa ha aggiunto ulteriore profondità alla scena, conferendo al conflitto di Don Carlo una dimensione umana e tragica. Un altro momento eccellente della sua interpretazione è stato senza dubbio il "Finalmente!" del quarto atto, cantato con una perentorietà tale da annichilire l’intera sala. Tézier, con la sua straordinaria capacità di modulare la potenza della sua voce senza mai sacrificare l’eleganza del fraseggio, ha incarnato un Don Carlo di Vargas di rara profondità, riuscendo a dominare la scena.
Nei panni della vivace Preziosilla si è calata la giovane Vasilisa Berzhanskaya, offrendo una prova nel complesso pregevole e ricca di energia. Dotata di un mezzo vocale potente e ben timbrato, la Berzhanskayaha saputo valorizzare il personaggio con una ricerca accurata delle intonazioni e una notevole attenzione al fraseggio, qualità che si sono particolarmente emerse in "Rataplan". La sua interpretazione ha evidenziato una spiccata vitalità, sebbene in alcuni momenti, il suo approccio interpretativo sia risultato leggermente caricato, con risate e gesti talvolta eccessivi. Nonostante ciò, la sua esuberanza scenica ha restituito in modo convincente la vivacità del personaggio.
Chi ha stupito e ha brillato è stato l'eccezionale Marco Filippo Romano nei panni di Fra Melitone che, tralasciando le licenze di Bruno Vespa che lo ha definito il "papà di Falstaff", rimane un personaggio molto difficile da interpretare perché spesso reso buffo, quando in realtà è spontaneo e reale. Ebbene, l'interpretazione di Romano è stata assolutamente perfetta. Dalle linee saltellanti del suo intervento nella scena del convento, agli scatti di ira nel terzo e nel quarto atto, il baritono di Caltanissetta ha perfettamente incarnato i panni di Melitone, senza eccessi, ma convincendo appieno. In particolare, nella sua parte del terzo atto ha brillato per sicurezza, incisività ed espressività, creando un momento di grande tensione. Vocalmente, al netto di una potenza vocale non sontuosa, ha sicuramente convinto per fraseggio accurato, intonazioni perfette e grande espressività, senza mai avere un momento di incertezza.
Complessivamente buona la prestazione di Alexander Vinogradov nei panni del Padre Guardiano, un ruolo austero e centrale nella vicenda. Il basso russo si è mosso con sicurezza all’interno della partitura, mostrando una padronanza tecnica che gli ha permesso di affrontare senza particolari difficoltà le insidie del ruolo. Tuttavia, il personaggio del Padre Guardiano sembra non adattarsi pienamente alle caratteristiche della sua voce, che, pur morbida e gradevole, manca di quella profondità e tenebrosità necessarie per restituire la solennità e l’autorevolezza che Verdi attribuisce a questa figura. Questo ha attenuato l’impatto di un personaggio che, pur centrale nella vicenda, non ha trovato in questa interpretazione una piena realizzazione delle sue potenzialità espressive.
Eccellente è stato anche l'ormai affermatissimo Mastro Trabucco di Carlo Bosi, specialista di questo tipo di personaggi, che infatti riesce a rendere con voce intonata e padronanza assoluta.
Hanno completato il cast vocale in modo soddisfacente Fabrizio Beggi (Il Marchese di Calatrava), Marcela Rahal (Curra), Huanhong Li (Un alcade), Xhieldo Hysani (Un Chirurgo).
Il maestro Chailly, nelle sue direzioni operistiche, ha sempre optato per un approccio raffinato, più teso all'evocazione che all'effetto, ottenendo consensi per l’eleganza e il rigore delle sue interpretazioni, come si è dimostrato nella recente Rondine e nell'ultimo Don Carlo (inaugurazione della stagione 2023/2024), che hanno evidenziato in particolare una musicalità morbida, rilassata e nobile. Tuttavia, un simile approccio, che si sposa magnificamente con l’ampio respiro di opere più nobili e riflessive, rischia nella tumultuosa Forza del destino di sfociare in una mancanza di tensione drammatica e di carattere. Non di rado, infatti, la direzione di Chailly è parsa priva di incisività. A partire da un'ouverture decisamente molto, troppo, lenta nella parte centrale; lentezza che non ne ha esaltato la melodia, ma ne ha sottolineato la ripetitività, una scelta che Verdi non opera a caso quando tratta di "destino". La scena del convento nel secondo atto, momento cruciale per la costruzione dell'introspezione del personaggio di Leonora, è apparsa decisamente priva di profondità e di riflessione. L’accompagnamento orchestrale, sebbene curato tecnicamente, è quindi risultato a tratti sensibilmente privo di tensione emotiva. Questa mancanza di introspezione si è protratta anche in altri passaggi, contribuendo a una generale perdita di drammaticità e coinvolgimento in alcune delle scene più intense dell’opera. Anche nelle parti successive, salvo alcuni attacchi forti e perentori, spesso sostenuti dai timpani, la direzione è apparsa talvolta stanca e poco coinvolgente. Il fraseggio orchestrale, pur curato nei dettagli ed eseguito con precisione, non è bastato per creare una direzione travolgente. Nonostante ciò, non sono mancati alcuni momenti di alto livello, soprattutto nelle scene d’assieme, dove l’esperienza di Chailly si è fatta sentire. "Il santo nome di Dio Signore", nel secondo atto, ha beneficiato di una conduzione attenta agli equilibri tra voci e orchestra, creando un momento di grande intensità spirituale. Similmente, il "Rataplan" del terzo atto ha mostrato una vivacità ritmica e un senso dell’insieme che hanno saputo restituire la travolgente energia dell’esercito pronto alla battaglia. Anche le note dei violini che chiudono l'opera sono apparse leggere ed eteree, quasi ad evocare l'anima di Leonora che lascia il mondo terreno. Nel complesso, pur con momenti di indiscutibile qualità, questa interpretazione de La Forza del Destino ha messo in evidenza i limiti di un approccio che, se da un lato esalta la raffinatezza e la morbidezza della partitura, dall’altro rischia di sacrificare la forza narrativa, il carattere drammatico e l’introspezione.
L'orchestra del Teatro alla Scala ha suonato generalmente bene, soprattutto nella sezione degli archi. Gli ottoni hanno offerto una prestazione complessivamente buona, soprattutto per l'intonazione, sebbene non abbiano sempre raggiunto vette di rotondità sonora. Una nota di merito, va a Laura Marzadori e a Daniele Pascoletti che hanno eseguito il difficilissimo passaggio per due violini solisti (che si tende a fare con un solo violino per evitare che ci siano evidenti discrepanze nell'uniformità del suono) che precede la scena della "Vergine degli angeli".
Superlativo si è riconfermato anche il Coro del teatro alla Scala preparato da Alberto Malazzi.
A conclusione, resta la componente forse più interessante di tutta la produzione: la regia di Leo Muscato. La messa in scena non solo ha trovato una soluzione efficace al complesso problema dei continui cambi di scena, utilizzando una pedana rotante decisamente silenziosa, ma ha anche creato una narrazione nella narrazione, rivelandosi calzante e misurata. L'idea di tracciare una continuità storica al tema della guerra, mostrando i ricorsi storici di una tematica attuale e preoccupante, è stata sviluppata applicando ai tre atti dell'opera (escludendo il primo, di natura privata) tre diverse ambientazioni spazio-temporali: l'età napoleonica, le guerre mondiali e i conflitti contemporanei. Questa scelta registica ha sottolineato l'universalità e la perennità del conflitto umano, rendendo l'opera particolarmente attuale. La rappresentazione delle diverse epoche belliche ha offerto una riflessione profonda sulla ciclicità della violenza nella storia, enfatizzando l'inesorabilità del destino che travolge i protagonisti. La pedana rotante ha permesso transizioni fluide tra le scene, mantenendo un ritmo narrativo coerente e coinvolgente. Inoltre, la qualità visiva delle scene, dalla desolazione delle trincee alla bellissima foresta del primo atto, è apparsa splendida. In sintesi, la regia di Leo Muscato ha saputo coniugare innovazione e rispetto per la tradizione, offrendo una messa in scena che ha arricchito la produzione de La forza del destino di una profondità tematica e di una rilevanza contemporanea significative.
La notizia che ad aprire la prossima stagione del Teatro alla Scala sarà Lady Macbeth del Distretto di Mcensk di Shostakovich, non fa certo dormire sonni tranquilli ai melomani più accaniti del repertorio italiano. Tuttavia, il maestro Chailly ha promesso anche un titolo verdiano, di cui non si sa nulla, nemmeno se lo dirigerà lui. Complessivamente quindi questa "Forza" si è rivelata ben realizzata, ma non qualitativamente di molto superiore ad altre proposte di altri teatri internazionali, il che non ha reso questa inaugurazione memorabile.