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Die Walküre • Young

  • Lorenzo Giovati
  • 12 feb
  • Tempo di lettura: 7 min

Milano, Teatro alla Scala. 9 Febbraio 2025.

Dopo la costruzione del regno del Valhalla, l'Anello dei Nibelunghi di Wagner prosegue con l'opera forse più iconica delle quattro che compongono il Ring, vale a dire Die Walküre (La Valchiria), la prima "giornata" della Tetralogia. A tornare sul podio, dopo il successo del Das Rheingold di novembre scorso, è stata l'australiana Simone Young, che dirigerà questo titolo anche al prossimo Festival di Bayreuth.


Rispetto alla già eccellente prova offerta lo scorso novembre, la direttrice australiana ha affinato ulteriormente il suo approccio, restituendo una lettura ancor più levigata e ricercata. Il lavoro di cesello, già notevole nella precedente occasione, ha trovato qui una piena maturazione, rivelandosi, non solo nella sapiente gestione delle dinamiche, ma anche in un eccellente controllo del suono orchestrale, che è risultato straordinariamente trasparente e coeso. La maggiore cura per i dettagli ha contribuito a un’esecuzione ancor più sofisticata, forse anche perché l’orchestra scaligera, allora impegnata parallelamente con un altro titolo monumentale come Der Rosenkavalier di Strauss, ha potuto qui concentrarsi interamente su una partitura che richiede un delicato equilibrio tra tensione narrativa e potenza sonora. Fin dall’attacco dell’opera, con le cupe e minacciose sonorità degli ottoni, la direzione della Young si è imposta per lucidità e fermezza, evitando qualsiasi eccesso retorico e restituendo invece una lettura di ammirevole compostezza espressiva, che ha saputo restituire con grande sensibilità la complessa architettura sonora wagneriana, bilanciando le complicatissime parti orchestrali con un’attenzione costante al palcoscenico. La tensione drammatica, sempre vibrante, ma mai ostentata, ha trovato compimento in una narrazione musicale che ha saputo esaltare i contrasti, senza forzarne gli accenti. La sua lettura di Die Walküre ha brillato per il perfetto equilibrio tra impeto eroico e lirismo, qualità che si è rivelata con particolare efficacia nei momenti di maggiore densità espressiva. L’interazione tra l’orchestra e le voci è stata gestita con un’accuratezza apprezzabilissima: il canto di Siegmund e Sieglinde nel primo atto ha ricevuto un accompagnamento avvolgente e morbido, mentre la scena tra Wotan e Brünnhilde è stata delineata con una nobiltà solenne, sostenuta da un’orchestrazione ampia ma sempre controllata. Nessuna concessione all’enfasi gratuita vi è stata nemmeno nei momenti più iconici, come la Cavalcata delle Valchirie, affrontata con un suono misurato e compatto nella sua prima esposizione, salvo poi lasciarla dispiegarsi con una potenza maestosa e avvolgente. Il finale dell’opera, con l’addio di Wotan e il fuoco magico che avvolge Brünnhilde, ha raggiunto una elevata sintesi di pathos e misura, costruito su un crescendo emotivo che ha saputo commuovere per la sua grandiosa semplicità. La Young ha così confermato una direzione di altissimo livello, capace di restituire la complessità wagneriana con una visione chiara e rigorosa, mantenendo sempre saldo il controllo sulle tensioni interne della partitura. Un’interpretazione di assoluta eleganza, in cui ogni dettaglio orchestrale e drammaturgico ha trovato il suo spazio in un equilibrio perfetto tra forza espressiva e raffinatezza esecutiva.


L'Orchestra del Teatro alla Scala di Milano ha suonato generalmente bene, mostrando un ottimo volume, un'eccellente coesione e una buona reattività al gesto della direttrice d'orchestra. Gli archi hanno mantenuto un velluto morbido e avvolgente, mentre le percussioni hanno brillato per precisione. Qualche sporadica imprecisione è invece emersa nella sezione dei corni, che però hanno generalmente mantenuto un suono rotondo.

Sul palcoscenico le cose sono andate altrettanto bene.


Per garantire una continuità drammaturgica tra le quattro opere del Ring, il ruolo di Wotan è stato nuovamente affidato all’eccellente Michael Volle, che ha restituito un ritratto del Dio profondamente sfaccettato, ancor più incisivo rispetto a quanto aveva fatto in DasRheingold. Se nella prima giornata della tetralogia il suo Wotan appariva a tratti meno energico, qui ha saputo infondere una straordinaria autorevolezza, trovando un equilibrio perfetto tra la potenza titanica e le fragilità di un Dio che, pur padrone del suo destino, comincia a intravedere il tramonto del proprio potere. L’impostazione vocale di Volle si è rivelata impeccabile nel restituire le molteplici sfumature del personaggio. Nelle sezioni più liriche, la sua voce ha sfoggiato una voluminosità sontuosa e avvolgente, capace di esaltare il lato più solenne e nobile del personaggio; nei passaggi più declamati, invece, ha saputo scolpire la parola con un fraseggio incisivo e variegato, conferendo una pregnanza teatrale di rara efficacia. Particolarmente intenso è stato il confronto con Brünnhilde, in cui Volle ha reso con straordinaria profondità il conflitto interiore di un padre combattuto tra il dovere e l’amore per la figlia prediletta. La sua interpretazione ha saputo cogliere l’essenza del Wotan wagneriano, oscillando tra l’impeto collerico e il tormento interiore con una naturalezza che ricorda le grandi voci del passato. Un’interpretazione pressoché perfetta.


Molto convincente e austera la Fricka di Okka von der Damerau, che aveva già rivestito il ruolo nella produzione di novembre e che ha confermato la sua interpretazione di grande autorevolezza. La sua voce pastosa, dal timbro scuro e dal volume eccellente, le ha permesso di dominare la scena con naturale imponenza. Nel confronto con Wotan ha scolpito ogni parola con fermezza e lucidità, esprimendo non solo la severità della Dea, ma anche il dolore celato dietro la sua inflessibilità.


Ottima anche la prestazione di Camilla Nylund nei panni di Brünnhilde, che ha saputo restituire il personaggio con grande impegno e consapevolezza vocale. La sua voce, ben calibrata e sempre ben intonata, ha sfoggiato un registro intermedio solido e compatto, che le ha consentito di affrontare con disinvoltura le richieste della parte. Sebbene il registro acuto non sempre sia risultato impeccabile, e in particolare nell’“Hojotoho” tipico delle Valchirie, la Nylund ha saputo comunque mantenere una certa presenza in queste sezioni, dando spessore e carattere alla parte. L’interpretazione si è distinta per eleganza e cura nei dettagli, ma talvolta, soprattutto nelle fasi più concitate e drammatiche dell’opera, non è apparsa sempre completamente determinata o sfaccettata. Nonostante ciò, la sua performance si è inserita bene nel contesto complessivo dell’opera, trovando una perfetta sintonia con l’orchestra e con gli altri interpreti. Particolarmente pregevole è stato il duetto con Siegmund. In questo passaggio, Nylund ha mostrato un'incredibile sensibilità musicale, riuscendo a veicolare l'emotività del personaggio, senza mai perdere il controllo del fraseggio.


Eccellente è stata anche la prova di Günther Groissböck nei panni di Hunding, un ruolo che ha saputo scolpire con una combinazione di autorevolezza vocale e di magnetismo scenico. Reduce dal successo nell’ultimo Rosenkavalier, il basso austriaco è tornato alla Scala con un’interpretazione di grande impatto, confermando le sue straordinarie doti artistiche. La sua voce, dal timbro scuro e imponente, si è distinta per la profondità e la compattezza del suono, qualità che hanno conferito al personaggio un’aura minacciosa e implacabile. Ogni sillaba è stata scolpita con cura attraverso un fraseggio incisivo e calibrato, che ha saputo restituire tutta la brutalità e l’inflessibilità di Hunding. La padronanza della parola e l’attenzione alle sfumature espressive hanno reso il personaggio ancora più inquietante, esaltando il contrasto tra la sua ferocia e la disperazione di Siegmund e Sieglinde. A questa solidità vocale si è aggiunta una presenza scenica straordinaria: Groissböck ha costruito un Hunding volgare e infimo, come richiede il ruolo, ma al tempo stesso credibilmente autoritario e sprezzante. La sua interazione con gli altri personaggi, in particolare nei duetti con Siegmund, è stata giocata su una tensione sempre presente, fatta di sguardi gelidi e di posture rigide, che hanno accentuato il clima di oppressione e di dominio che il personaggio esercita sulla scena. Una prova di altissimo livello.


Molto positiva deve essere parimenti valutata la prova di Klaus Florian Vogt nei panni di Siegmund, un ruolo che ha affrontato con il suo timbro chiaro e luminoso, scegliendo di privilegiare un’interpretazione lirica, piuttosto che puntare esclusivamente sull’eroismo del personaggio. Questo approccio, che si discosta dalle letture più muscolari della parte, ha conferito al suo Siegmund una profondità espressiva elegante. La sua interpretazione, curata in ogni dettaglio, ha trovato una sintonia perfetta con l’orchestra e con la Sieglinde di Elza Van DenHeever, con cui ha costruito un rapporto scenico credibile e coinvolgente. Vogt tornerà in giugno nei panni di Siegfried, un ruolo vocalmente e drammaturgicamente più impervio, che rappresenta una sfida ben più ardua rispetto a Siegmund.


La Sieglinde di Elza van den Heever ha saputo imporsi con un’interpretazione intensa e coinvolgente, in grado di restituire con grande sensibilità il tormento interiore e la trasformazione emotiva del personaggio. Fin dalle prime battute, ha mostrato una presenza scenica molto efficace, costruendo una Sieglinde fragile, ma autentica, segnata dall’oppressione, ma progressivamente risoluta nel ritrovare la propria forza interiore.


Vocalmente, la sua prestazione è stata più che soddisfacente, con una voce dal timbro ampio e caldo, capace di attraversare con sicurezza le diverse sfumature espressive richieste dalla parte.


Eccellenti sono state per complicità, coesione e vocalità, anche le restanti otto valchirie, impersonate da Caroline Wenborne (Gerhilde), Olga Bezsmertna (Ortlinde), Stephanie Houtzeel (Waltraute), Freya Apffelstaedt (Schwertleite), Kathleen O'Mara (Helmwige), Virginie Verrez (Siegrune), Egle Wyss (Grimgerde) ed Eva Vogel (Rossweisse).


Resta infine la regia di David McVicar, chiamato a firmare tutte e quattro le produzioni di questo nuovo Ring scaligero, tornato alla Scala dopo l’eccellente successo ottenuto con Das Rheingold. La sua visione si mantiene in un equilibrio raffinato tra modernità e tradizione: se da un lato la messinscena presenta soluzioni visive innovative, dall’altro conserva un’impronta saldamente ancorata a una lettura tradizionale, in particolare nell’uso dei costumi, esempre fedele alla drammaturgia wagneriana. Ogni elemento scenico è concepito per favorire una narrazione chiara ed efficace, risultando accessibile anche a chi si approccia all’opera per la prima volta. Non mancano idee originali e trovate di forte impatto visivo, come l’enorme maschera finale che si apre e cambia colore in funzione del luogo di riposo di Brünnhilde, un espediente scenografico di notevole suggestione. Meno convincente, invece, la resa dei cavalli delle Valchirie: realizzati con figuranti sormontati da teste equine costruite con un intreccio di fili metallici e sostenuti da trampoli molleggiati. Questi ultimi, pur evocativi nella loro concezione, hanno prodotto un movimento scenico dal rumore fastidioso, distraendo in alcuni momenti dalla resa musicale. Nel complesso, però, la regia di McVicar ha saputo trasportare il pubblico in un universo visivo autonomo e coerente, capace di dialogare con la tradizione senza esserne vincolato. La sua firma emerge con grande classe, conferendo unità all’intero ciclo senza ridurre le singole opere a episodi slegati, ma inserendole in una narrazione visivamente e concettualmente coesa. Una lettura di grande intelligenza, capace di rispettare Wagner senza rinunciare a uno stile registico ben definito.


In sostanza, questa produzione del Die Walküre non ha affatto deluso le aspettative, ma è anzi  risultata decisamente più omogenea del precedente, comunque splendido Das Rheingold. Crescono quindi le aspettative per giugno, quando si inscenerà il Siegfried, la seconda giornata di questo magico Ring di Wagner.


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