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Brahms e Tchaikovsky • Tjeknavorian

  • Lorenzo Giovati
  • 23 set
  • Tempo di lettura: 3 min

Milano, Teatro alla Scala. 14 Settembre 2025.

Oltre al leggendario Teatro alla Scala, Milano può vantare anche realtà sinfoniche di notevole prestigio, come i Pomeriggi Musicali al Teatro Dal Verme e l’Orchestra Sinfonica di Milano, che ha la propria sede all’Auditorium di Largo Gustav Mahler. Quest’ultima ha scelto di inaugurare la nuova stagione sinfonica in un contesto, tanto illustre, quanto impegnativo, il Teatro alla Scala, sotto la guida del loro direttore principale Emmanuel Tjeknavorian.


Sulla carta, il programma sembrava destinato a una serata di grande musica. In realtà, l’esito si è rivelato meno felice del previsto, lasciando spazio a un’impressione di generale monotonia, più vicina a una corretta esecuzione di routine che a un evento da ricordare.


La prima parte del concerto era dedicata al Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di Johannes Brahms, affidato al tocco esperto di Rudolf Buchbinder. Il pianista austriaco ha confermato ancora una volta le sue qualità: sonorità limpide, tocco ricercato, capacità di introspezione e una padronanza tecnica che gli permette di trasformare ogni pagina in un racconto musicale personale e coerente. La sua lettura del concerto è stata nobile, ricca di dettagli e di finezze timbriche, capace di restituire, tanto la solennità della scrittura brahmsiana, quanto i momenti più intimi e lirici.


Diverso è il discorso per la direzione di Tjeknavorian, che non è riuscito a cogliere fino in fondo la profondità della partitura. La sua lettura si è presentata piuttosto uniforme nei tempi e nelle dinamiche, con un fraseggio orchestrale praticamente assente, che raramente ha trovato slancio o respiro. Alcuni passaggi sono apparsi piatti, soprattutto nel primo movimento, mentre il secondo, affrontato con un andamento sorprendentemente rapido, è sembrato privato del suo carattere contemplativo, snaturato nella sua intima spiritualità. Non sempre l’intesa con Buchbinder è poi parsa salda: a tratti, l’orchestra è sembrata più un contorno neutro che un vero interlocutore dialogante, lasciando il solista quasi isolato nella sua raffinata lettura.


Molto apprezzato, invece, è stato il bis del pianista: un delizioso arrangiamento dalle musiche di Johann Strauss II, in occasione del bicentenario della nascita del compositore viennese. Qui Buchbinder ha mostrato un lato più leggero e scintillante della sua arte, con eleganza e senso del colore.


La seconda parte della serata era interamente dedicata alla Sinfonia n. 5 di Tchaikovsky, pagina che richiede, più di altre, una visione chiara e unitaria, capace di coniugare tensione drammatica e cantabilità lirica. Purtroppo, la direzione di Tjeknavorian anche in questo caso non ha convinto; anzi ha messo in luce limiti evidenti, tanto sul piano interpretativo, quanto su quello del controllo sonoro. Il primo movimento è risultato privo di una reale architettura. L’andamento è parso scorrere inerte, come una sequenza di episodi non collegati tra loro: è mancato il respiro del fraseggio, l’idea di un disegno narrativo che guidasse lo sviluppo.

Il secondo movimento, cuore lirico della sinfonia, è stato forse il punto più debole della lettura. Qui Tchaikovsky consegna all’orchestra alcune delle pagine più struggenti del suo intero repertorio sinfonico, ma l’esecuzione è apparsa frammentata, discontinua, priva di coerenza interna. Ne è risultato un discorso incapace di suscitare emozione.

Il terzo movimento, affidato a un elegante valzer, avrebbe potuto offrire un momento di leggerezza e respiro. Tuttavia, vi è mancata la grazia del fraseggio. La scrittura è stata restituita in maniera diligente, ma spenta.

Il quarto movimento, infine, avrebbe dovuto rappresentare il punto culminante della sinfonia, con la sua tensione drammatica che si scioglie in una sorta di finale trionfo catartico. Invece, si è risolto in un’esecuzione piatta e monocorde, che non ha mai trovato un vero slancio propulsivo.

Nel complesso, una lettura che ha mancato il bersaglio e che è stata incapace di rendere giustizia a una sinfonia che chiede passione, dramma e poesia in egual misura.


Anche l’Orchestra Sinfonica di Milano non è sembrata sempre al massimo delle proprie possibilità. Gli archi hanno mostrato qualità di intonazione e un bel velluto sonoro, ma con una proiezione piuttosto contenuta che li ha resi meno incisivi del necessario. Gli ottoni hanno attraversato una serata difficile, con corni e trombe perennemente incerti sull'intonazione e la rotondità del suono, mentre i tromboni sono risultati molto ruvidi. I fiati, pur corretti, non hanno brillato per morbidezza.


Nonostante questi limiti, il pubblico ha accolto con calore l’esecuzione, tributando applausi prolungati e generosi. Una risposta forse generosa, a fronte del reale valore artistico della serata.


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