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Brahms e Mahler • Mengoli

  • Lorenzo Giovati
  • 25 set
  • Tempo di lettura: 3 min

Bologna, Teatro Manzoni. 16 Settembre 2025.

Reduce dal recente impegno milanese, il maestro Giuseppe Mengoli è salito sul podio bolognese per inaugurare la stagione sinfonica del Teatro Comunale dopo la pausa estiva. La sua presenza si è rivelata determinante per la riuscita di un concerto che, pur con i limiti palesati dall’orchestra, ha avuto nella direzione la vera forza trainante.


La prima parte del programma era dedicata al Doppio Concerto di Brahms, pagina complessa e di raro equilibrio, che richiede da parte del direttore, non solo rigore, ma anche una fine sensibilità nel tenere insieme solisti e orchestra. Il maestro Mengoli ha guidato il concerto con una chiarezza esemplare, evitando ogni eccessiva rigidità e mantenendo un controllo costante delle dinamiche. Il primo movimento è risultato sicuro, compatto, privo di sbavature. Il secondo si è distinto per l’attenzione al fraseggio e per la naturalezza espressiva. Il finale ha trovato infine nel maestro un interprete vigile e incisivo, capace di dare slancio ritmico e visione d’insieme, lavorando con cura sulle legature e sulla coerenza formale.


A ciò si sono aggiunti i due solisti, Marco Rizzi al violino ed Enrico Bronzi al violoncello: artisti di indiscussa statura, che hanno offerto una lettura di altissimo livello. Coesi, eleganti, sempre in ascolto reciproco e mai autoreferenziali, hanno saputo creare un dialogo, vivo sia tra loro, che con l’orchestra. Il suono, curato e tornito, è stato sempre sostenuto da una tecnica irreprensibile e da un’intelligenza musicale indiscutibile. Raffinato è stato anche il bis: il quarto movimento della Sonata per violino e violoncello di Ravel, reso con leggerezza e con una complicità palpabile.


La seconda parte della serata ha visto protagonista la Sinfonia n. 1 di Mahler, terreno spesso insidioso, che il maestro Mengoli ha affrontato con un approccio pregevolmente personale, senza mai scivolare nella comoda convenzionalità. Fin dall’incipit, misterioso e nebuloso, ha reso chiaro il disegno interpretativo: un lavoro di cesello sulla trama orchestrale, con tempi sempre calibrati e mai scontati. Il primo movimento ha saputo unire la dimensione sospesa dell'inizio a uno sviluppo cantabile e fluido, mantenendo tensione interna e coerenza narrativa. Il secondo movimento è apparso vivido e trascinante, sorretto da un ritmo sicuro e da una scansione impeccabile negli attacchi; le variazioni dinamiche hanno messo in evidenza una mano capace di sorprendere, senza tradire lo spirito della partitura. Nel terzo movimento, il maestro Mengoli ha scelto un passo più lento, accentuando l’aspetto lugubre della marcia funebre, così da restituirne felicemente il carattere di  grottesco contrasto. Lo slancio del finale, esplosivo e incandescente, è stato al tempo stesso tenuto sotto controllo nelle sezioni più tempestose e ricco di intensità meditativa nelle parti maggiormente liriche. È emersa, in sintesi, una visione coerente e matura, frutto di una visione interpretativa solida e consapevole. Il maestro Mengoli ha confermato quindi di possedere un linguaggio musicale già personale e riconoscibile, qualità non scontata in un giovane direttore.


Assai meno convincente si è purtroppo rivelata la prestazione dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Gli archi, come da tradizione, hanno garantito un livello adeguato (soprattutto in Brahms), esprimendo un suono morbido e in diversi momenti anche espressivo. Così come le percussioni che hanno fornito una prova sicura. Ben altra è stata invece la prestazione dei fiati, i quali hanno confermato la persistenza dei limiti endemici di questa orchestra, sebbene essa sia espressione stabile di una realtà teatrale ricca di storia e di dignità, parte integrante di una città che ben meriterebbe un’elevazione del livello qualitativo della sua compagine più rappresentativa: legni imprecisi negli attacchi e sovente non saldi nell’intonazione, ottoni non morbidi e privi di rotondità nel suono, soprattutto nelle trombe, corni non di rado approssimativi e senza la compattezza necessaria. In Mahler tali limiti non sono di poco rilievo.


In conclusione, pertanto, ciò che ha reso pregevole il concerto è stata indubbiamente la personalità interpretativa del maestro Mengoli, che si è confermato un direttore di sicuro avvenire, la quale ha consentito una piena riuscita della serata, nonostante i limiti di una prestazione orchestrale che non gli ha sempre risposto in modo adeguato. 


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