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Bernstein, Prokofiev e Copland • Pappano

  • Lorenzo Giovati
  • 11 set
  • Tempo di lettura: 3 min

Milano, Teatro alla Scala. 4 Settembre 2025.

Dopo l’apertura torinese di MiTo SettembreMusica, il festival che da anni unisce Milano e Torino in due settimane fitte di appuntamenti, anche la città meneghina ha inaugurato il proprio cartellone con un concerto di altissimo profilo. Sul palcoscenico del Teatro alla Scala sono tornati la London Symphony Orchestra e il maestro Antonio Pappano, protagonisti già lo scorso giugno nello stesso teatro. L’ensemble londinese ha dunque avviato da Milano una breve, ma intensa, tournée di quattro tappe, che proseguirà con programmi differenti a Torino, Stresa e Verona.


Il programma proposto a Milano, che a una prima impressione poteva sembrare eterogeneo, ha rivelato in realtà un filo conduttore limpido: il dialogo tra Europa e America, incarnato nelle figure di Bernstein, Prokofiev e Copland.


La serata si è aperta con un momento di raccoglimento: il sindaco Sala ha ricordato la scomparsa, avvenuta nel pomeriggio, di Giorgio Armani. Al grande stilista è stato dedicato un minuto di silenzio, seguito da un lungo applauso, che ha coinvolto l’intera sala.


Il maestro Pappano ha quindi dato inizio al concerto con l’Ouverture da Candide di Leonard Bernstein. In pochi minuti l’orchestra ha sprigionato un’energia scintillante e una grande freschezza ritmica, restituendo tutta l’ironia e la vitalità di un brano in cui il personaggio volteriano viene filtrato dall’occhio critico e giocoso del compositore americano. La London Symphony ha mostrato sin da subito la qualità della sua pasta sonora: archi compatti e flessibili, legni dal fraseggio levigato, ottoni brillanti e incisivi, il tutto guidato da una bacchetta attenta a non sacrificare mai la chiarezza dell’articolazione alla frenesia.


Il cuore della prima parte è stato il Concerto per pianoforte n. 2 di Sergej Prokofiev, pagina tra le più ardue del repertorio. Seong-Jin Cho vi si è cimentato con un virtuosismo che non ha mai ceduto alla mera esibizione, ma che si è sempre mantenuto saldo nella costruzione architettonica del discorso musicale. Il pianoforte, poderoso e denso di sonorità, ha brillato in particolare nel secondo movimento, una sorta di moto perpetuo diabolico, e nel quarto movimento, dove Cho ha saputo coniugare tecnica, potenza e lucidità. L’orchestra, diretta dal maestro Pappano, ha sostenuto il solista con saldezza e precisione, mantenendo un tessuto orchestrale sempre vivo e luminoso. Nei passaggi più lirici e contemplativi, l’accompagnamento ha rivelato un respiro narrativo ampio, senza mai perdere tensione.

Il bis del pianista, À la manière de Borodine di Ravel, ha costituito un momento di sospensione intima, facendo apprezzare un suono elegante e cesellato, legato anche al recente progetto discografico dell’artista per Deutsche Grammophon.


Nella seconda parte il maestro Pappano ha affrontato la monumentale Sinfonia n. 3 di Aaron Copland, la più ambiziosa del compositore americano e, insieme, una dichiarazione di identità musicale nazionale. Qui la London Symphony ha raggiunto la sua massima espressione. Nel primo movimento si sono intrecciati spunti elegiaci e aperture luminose, rese con grande plasticità timbrica; la scrittura di Copland, fatta di ampi respiri melodici e masse orchestrali possenti, ha trovato nel gesto di Pappano un interprete capace di tenere insieme monumentalità e trasparenza. Il secondo movimento, un allegro nervoso e spigoloso, ha rivelato un’orchestra agilissima, con contrasti dinamici netti e incisivi. Il culmine è giunto con il finale, costruito sull’inserimento della celebre Fanfare for the Common Man. Qui gli ottoni della London Symphony hanno dato prova di compattezza e solennità, intonando con assoluta precisione e rotondità di suono un tema che è divenuto simbolo della musica americana del Novecento. Pappano ha calibrato con attenzione la progressione verso l’apoteosi conclusiva, lavorando su equilibri interni e su dinamiche graduali. Il risultato è stato un finale di grande imponenza, ma al tempo stesso sorretto da una coerenza architettonica esemplare.


Il bis conclusivo, la variazione Nimrod dalle Enigma Variations di Elgar, è stato dedicato dal maestro Pappano a Giorgio Armani. La scelta non poteva essere più toccante: una pagina intrisa di nobile malinconia, interpretata con calore e profondità, anche se scandita su un tempo molto rapido, all’esatto contrario di quella, insuperabile, di Leonard Bernstein con l’orchestra della BBC.


La London Symphony Orchestra ha confermato di essere una delle compagini più complete e raffinate al mondo: archi corposi e duttili, fiati splendidi per timbro e intonazione, ottoni potenti e mai sopra le righe, percussioni incisive. Pappano, dal canto suo, ha mostrato ancora una volta la sua capacità di padroneggiare repertori diversissimi, imprimendo in ciascuno un’impronta personale fatta di energia, precisione e senso narrativo.


È stata una serata di grande musica.


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