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Winterreise • Goerne

  • Lorenzo Giovati
  • 15 ott
  • Tempo di lettura: 2 min

Milano, Teatro alla Scala. 5 Ottobre 2025.

Frutto di una maturità estrema, Winterreise è uno dei vertici assoluti del Lied romantico. In questi ventiquattro canti su testi di Wilhelm Müller, Schubert costruisce un viaggio interiore nella desolazione, nella memoria e nel gelo dell’anima. È una partitura di silenzi e di respiri sospesi, dove ogni parola è tradotta in suono con precisione dolorosa. L’inverno di Schubert non è solo una stagione, ma una condizione esistenziale: l’esilio dell’uomo dal calore dell’amore e della vita.


Alla Scala, Mathias Goerne, tra i più rinomati interpreti di questo repertorio, ha proposto il ciclo accompagnato da David Fray, in sostituzione di Maria João Pires, indisposta. Un concerto, sulla carta, di grande interesse, ma dall’esito altalenante. Goerne, pur forte di un’esperienza profonda nel Lied schubertiano, è apparso vocalmente incerto: il timbro, mai limpido, ha oscillato irrisolto tra accenti tenorili, baritonali e bassi, seguendo una linea talvolta confusa, nella quale si smarriva la coerenza del fraseggio. Nei primi numeri, e in particolare nel Gute Nacht iniziale, l’artista è sembrato disorientato, arrivando persino a indicare con un gesto di rimprovero alcuni spettatori di un palco, senza apparente motivo.


Questa instabilità vocale e interpretativa ha segnato gran parte della prima sezione del ciclo, con un canto a tratti forzato e privo di continuità nel respiro. Poi, un mutamento sottile, ma percettibile, si è compiuto: dall’ottavo al dodicesimo Lied (Rückblick, Irrlicht, Rast, Frühlingstraum), l’espressione si è fatta più raccolta, più introspettiva; la voce, pur sempre velata, ha acquisito una tinta più coerente con lo smarrimento assorto del viandante. Nel Lied conclusivo, Der Leiermann, Goerne ha finalmente toccato la dimensione più autentica del ciclo: il timbro scavato, quasi disincarnato, ha restituito il gelo metafisico del finale, in un sussurro che ha avuto la forza di un silenzio definitivo.


Merito non secondario va al pianismo raffinato di David Fray, che ha accompagnato la voce con tocco leggero e con limpida articolazione, restituendo ai paesaggi schubertiani una trasparenza cameristica. Il suo suono, preciso ma mai rigido, ha sostenuto con eleganza anche i momenti più difficili dell’esecuzione vocale, illuminando con discrezione le ombre del ciclo.


Un Winterreise interessante, dunque, ma non sempre coerente: più convincente sul piano pianistico e interpretativo nella seconda parte, segnato però da limiti vocali che hanno impedito a Goerne di condurre fino in fondo il suo viaggio nell’inverno schubertiano.


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