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Wagner • Currentzis

  • Lorenzo Giovati
  • 12 nov
  • Tempo di lettura: 4 min

Rotterdam, De Doelen. 7 Novembre 2025.

Può essere Vienna, Verbier, Rotterdam, Parigi, Salisburgo, Roma o Barcellona: per sentire Teodor Currentzis ogni viaggio vale la pena di essere fatto, anche il più lungo. Nuovamente in tournée con la “sua” Utopia, il maestro ha fatto tappa nei Paesi Bassi per presentare un programma, tanto audace quanto emblematico della sua estetica: il Ring ohne Worte di Richard Wagner, nella geniale e visionaria sintesi orchestrale di Lorin Maazel.


Già dall’inizio, l’atmosfera della serata ha assunto il carattere dell’eccezionalità. In segno di una particolare attenzione verso i talentuosi direttori d’orchestra emergenti, il maestro Currentzis ha scelto a sorpresa di far aprire il concerto al giovane direttore Giuseppe Mengoli, secondo direttore di Utopia e violinista dell’orchestra, che ha diretto e interpretato Arena di Magnus Lindberg. Una scelta tutt’altro che scontata: presentarsi al pubblico con un brano contemporaneo, anziché rifugiarsi in pagine più note, è forse la sfida più ardua per un direttore in ascesa. Il maestro Mengoli l’ha affrontata con una maturità sorprendente, già mostrata nei suoi recenti concerti italiani, rivelando un controllo totale e carismatico dell’orchestra, una cura sapiente del colore e delle dinamiche e una sensibilità nel fraseggio che ha evocato a tratti un calore mahleriano. La sua lettura di Arena non si è limitata alla pura esecuzione, ma è riuscita a creare un percorso narrativo coinvolgente, denso di tensione e di chiaroscuri, quasi a prefigurare, con sorprendente affinità, gli ultimi bagliori crepuscolari del Götterdämmerung. Una direzione che ha rivelato un talento autentico.

Poi, terminata la sua esibizione, il maestro Mengoli è tornato al suo posto tra i primi violini e sul podio è salito il maestro Teodor Currentzis.


Il Ring ohne Worte è, di per sé, un esperimento straordinario. Lorin Maazel lo concepì nel 1987 in collaborazione con i Berliner Philharmoniker come un tentativo di restituire l’essenza della tetralogia wagneriana in forma puramente orchestrale: spogliare la partitura della voce senza intaccarne la tensione drammatica e la coerenza narrativa. L’idea, nata già negli anni Sessanta in un dialogo con Wieland Wagner, si fondava sulla convinzione che l’universo del Ring possedesse in sé una sua autonomia sinfonica, che la sola orchestra potesse raccontarne la vicenda e i simboli attraverso la trasformazione dei leitmotive. Per realizzare questa sintesi, Maazel si impose quattro regole ferree: 1) la partitura doveva mantenere un flusso continuo e cronologico, dal Rheingold al Götterdämmerung; 2) le transizioni dovevano essere armonicamente e formalmente giustificabili, nel pieno rispetto della grammatica wagneriana; 3) le linee vocali potevano essere integrate solo se già raddoppiate da uno strumento o perfettamente trasferibili a un timbro orchestrale; 4) ogni nota doveva essere di Wagner, senza alcuna interpolazione esterna.


Un progetto di tale complessità mette a severa prova la lucidità del direttore, il quale è chiamato, non solo a governare la massa sonora, ma a dar forma a un racconto musicale coerente, capace di evocare i grandi snodi drammatici dell’opera senza bisogno della parola. Ed è qui che il maestro Currentzis ha trovato la sua dimensione ideale.

Il maestro non propone mai soltanto musica: propone un’idea. Dietro ogni sua interpretazione vi è una visione, un pensiero formale ed emotivo che restituisce alla partitura la sua essenza più profonda. Nel Ring ohne Worte la sua lettura è stata di un rigore assoluto, quasi ascetica nella concentrazione, ma animata da un’intensità che si è percepita in ogni gesto. Nell’attacco del Rheingold dai contrabbassi è emersa un’onda sonora che è sembrata respirare, crescere, mutare di consistenza, come se l’orchestra stessa si stesse risvegliando da un lungo sonno. Nessun effetto gratuito, nessun compiacimento atmosferico: solo la costruzione implacabile di un mondo sonoro che si plasma da sé.

Nei passaggi del Die Walküre la materia musicale si è fatta più terrena, densa di tensioni interne. La scena di Siegmund e Sieglinde, affidata a un violoncello solista di estrema delicatezza, è stata resa con una dolcezza fragile, come sospesa tra amore e destino. Poi, la Cavalcata delle Valchirie, muscolare, serrata, eppure lucidamente costruita, ha rivelato il controllo millimetrico di Currentzis sui tempi e sulle masse orchestrali. Ogni sezione è apparsa perfettamente bilanciata, ogni accento pesato con rigore.

Nel Siegfried è stato raggiunto il momento più poetico della sua narrazione. Il dialogo con l’uccellino è emerso come un episodio di sospesa leggerezza, disegnato da legni sottilissimi e da un’orchestra che ha respirato in trasparenze. Ma subito dopo, l’apparizione di Fafner ha spezzato quella fragile luminosità con un’irruzione cupa, quasi tellurica: un suono grave e viscerale, plasmato da Currentzis con tensione drammatica e con una precisione incredibile.

Il Götterdämmerung, infine, ha rappresentato il compimento di un arco drammatico perfetto. Dalla passione febbrile di Brünnhilde al viaggio di Siegfried sul Reno, fino a una Marcia funebre di densità quasi titanica, Currentzis ha condotto l’orchestra con un’energia visionaria, capace di rendere la tragedia finale una catastrofe travolgente. Il crollo del Walhalla è diventato un atto di purificazione sonora: un dissolversi nella luce, che la visione del maestro ha lasciato morire lentamente in un silenzio sospeso, quasi metafisico.


Utopia, sotto la sua guida, ha riconfermato il proprio status di orchestra straordinaria, un vero laboratorio sonoro di perfezione e di pensiero. L’omogeneità degli archi, la lucidità dei legni, la potenza degli ottoni e la precisione delle percussioni hanno formato un tessuto orchestrale dalla rotondità invidiabile, capace di passare dalla violenza tellurica al filamento sonoro impercettibile. È un’orchestra che non suona “per” Currentzis, ma “con Currentzis”: ogni gesto del maestro trova immediata risonanza in un suono che respira con lui, vivo e palpitante. Incredibili per perfezione il trombone del Rheingold e il clarinetto del Götterdämmerung. Ciò che ha colpito non è stata solo la perfezione tecnica, ma la tensione spirituale che ha attraversato ogni pagina. In questo Ring ohne Worte non c’è stata teatralità esteriore, ma vi è stata la percezione di una drammaturgia interiore che ha pulsato in ogni nota.


Più che un concerto, quella di Rotterdam è stata un’esperienza totale: una fusione di pensiero, energia e suono, in cui l’utopia del maestro si è fatta realtà tangibile. Un evento che rimarrà impresso per la straordinaria grandezza artistica di Teodor Currentzis, per la meravigliosa bravura della sua Utopia e per la preziosa presenza del giovane Giuseppe Mengoli, la cui promessa si è già fatta realtà.


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