top of page

Un Ballo in Maschera • Steinberg

  • Lorenzo Giovati
  • 14 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

Napoli, Teatro di San Carlo. 4 Ottobre 2025.

Un Ballo in maschera “splendidissimo”, come lo definisce ironicamente lo stesso Oscar nell’opera, avrebbe dovuto registrare il tutto esaurito al Teatro di San Carlo di Napoli. La realtà, però, è stata inaspettatamente diversa: platea e palchi con numerosi posti liberi, un pubblico non molto partecipe e uno spettacolo che, pur corretto e curato in ogni suo elemento, non ha lasciato il segno profondo che era legittimo attendersi. Un allestimento bello, ma lontano dall’essere indimenticabile.


La responsabilità principale di questa riuscita parziale va ravvisata nella direzione del maestro Pinchas Steinberg, che ha guidato l’orchestra con mestiere, ma con un approccio greve e talvolta scontato. La sua concertazione, quasi troppo spesso priva di eleganza e di respiro teatrale, ha finito per appiattire le tensioni drammatiche e per non restituire la brillantezza di una partitura che vive di contrasti. I tempi, pur se accuratamente controllati, hanno mancato di spinta interna capace di creare tensione e i dosaggi orchestrali si sono rivelati non di rado sbilanciati: gli archi, pur di buona fattura, sono stati coperti da ottoni poco raffinati. Il risultato complessivo è stato un suono orchestrale massiccio, mai trasparente, mai duttile, mai raffinato, che raramente ha trovato l’equilibrio con le voci. Una direzione così atteggiata non ha quindi aiutato le grandi personalità presenti sul palcoscenico, che avrebbero meritato un sostegno più flessibile e più ispirato. Ed è stato davvero un peccato perché il parterre degli artisti presenti avrebbe permesso, se il teatro avesse compiuto una più felice scelta in buca, di proporre uno spettacolo di ben più elevato livello complessivo.   


Non migliore è apparsa la prova del coro, preparato dal maestro Fabrizio Cassi, che ha offerto una prestazione caratterizzata da uno scarso volume e da una coesione limitata.

Nel ruolo di Riccardo, Piero Pretti ha confermato la sua solida professionalità, mostrandosi ancora una volta un interprete affidabile, dotato di una voce piena, ben proiettata e omogenea, di un’ottima intonazione e di una presenza scenica disinvolta. Pretti ha cantato con eleganza e con gusto, dimostrando padronanza del ruolo e una linea di canto sempre nobile. Vi è che, non brillando il suo canto di una naturale espressività, Pretti avrebbe necessitato di un ben diverso sostegno orchestrale, che lo sostenesse nell’impegno di restituire un Riccardo completo e più sfaccettato. Ciò non è però avvenuto, con l’esito che il personaggio è risultato, sì credibile, ma non pienamente compiuto. 


Grande attesa vi era poi per il debutto di Anna Netrebko nel ruolo di Amelia. Le ovazioni calorose del pubblico, inevitabili davanti al carisma di una vera diva, non hanno però trovato corrispondenza in una prova pienamente convincente. La Netrebko conserva fascino scenico e presenza magnetica, ma vocalmente la sua prestazione è apparsa discontinua: il registro grave, sempre dilatato e scuro fin quasi a raggiungere i toni di un mezzosoprano, ha non di rado perso smalto; gli acuti, invece, hanno difettato in leggerezza e in controllo nel fiato. Talvolta il fraseggio è risultato poco scolpito e la dizione non sempre è stata chiara, dando l’impressione di un ruolo non completamente assimilato. Restano certamente la grande classe, oggi mediata dall’esperienza, ma l’impressione generale è quella di una voce che inizia a mostrare, almeno in questo ruolo, i segni del tempo e di una cantante che, pur rimanendo una grande artista, ha attenuato la sua capacità di fare la differenza in un contesto di altissimo livello.


Al contrario di Ludovic Tézier, che invece ha offerto una prova esemplare nei panni di Renato. Tézier rimane ancor oggi, sebbene il tempo trascorra anche per lui, un artista di rara eleganza, capace di fondere perfettamente il canto e la parola in una linea di fraseggio nobile e intensa. Ogni accento, nella sua interpretazione, è parso studiato, ogni sfumatura cesellata con gusto e precisione. La voce, ampia e luminosa, si è mantenuta sempre intonata e potente, con un controllo esemplare del legato e con un timbro di inconfondibile bellezza. Ciò gli ha permesso di dar vita a un’interpretazione che ha unito profondità e misura, confermandolo come uno dei massimi baritoni (verdiani e non) della scena odierna.


Meritevole di lode è stata anche la Ulrica di Elizabeth DeShong, dotata di un timbro corposo e ben proiettato. I gravi non sempre profondi, ma i medi e gli acuti erano saldi, controllati e puliti.


Meno persuasiva è stata invece Cassandre Berthon nel ruolo di Oscar: la sua voce, pur intonata, è apparsa sin dalle prime battute troppo esile per sostenere la brillantezza e la leggerezza che sono richieste dal personaggio.


Assolutamente sottotono, invece, si sono rivelati i due congiurati Sam e Tom, interpretati rispettivamente da Romano Dal Zovo e Adriano Gramigni. Più adeguati, seppur sempre modesti, il Silvano di Maurizio Bove e il Giudice di Massimo Sirigu, entrambi precisi e professionali nei rispettivi ruoli di fianco.


La regia di Massimo Pizzi Gasparon Contarini, con le scene firmate da Pierluigi Samaritani, si è confermata tradizionale, elegante e perfettamente coerente con l’impianto musicale. Nessuna sorpresa né rilettura, ma un racconto fedele e rispettoso, di gusto classico, che ha accompagnato, senza mai disturbare.


In conclusione, uno spettacolo che ha gravitato  su individualità di alto livello, ma che, nel suo insieme, è stato incapace di trovare un’autentica coesione. Un Ballo in maschera che ha promesso più di quanto ha saputo mantenere.


  • Instagram
  • Facebook

Powered and secured by Wix

bottom of page