Tchaikovsky e Brahms • Bolton
- Lorenzo Giovati
- 20 mag
- Tempo di lettura: 3 min
Parma, Auditorium Paganini. 17 Maggio 2025.
Mentre la stagione della Filarmonica Toscanini si avvia verso la sua conclusione, il concerto diretto da Ivor Bolton, presentato anche la sera precedente all’Auditorium Manzoni di Bologna per commemorare gli 80 anni dalla Liberazione, ha offerto una serata piacevole, ricca di bella musica. Un programma impegnativo, costruito su due pilastri del repertorio tardo-romantico, che ha chiesto tanto all’orchestra e ai suoi interpreti, ma che ha saputo restituire momenti di partecipata musicalità.
A inaugurare la serata è stato il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in si bemolle minore op. 23 di Tchaikovsky, pagina tanto celebre, quanto impervia, affidata alla pianista Yulianna Avdeeva, vincitrice nel 2010 del Concorso Chopin di Varsavia, seconda donna a imporsi nella storia del premio, dopo l’inarrivabile Martha Argerich. Fin dalle prime battute, la Avdeeva ha messo in mostra una tecnica straordinaria, capace di affrontare con naturalezza la vertiginosa scrittura del compositore russo. Nulla, nel suo pianismo, è apparso lasciato al caso: grande velocità sempre governata da un controllo impeccabile, da una chiarezza del tocco che ha valorizzato ogni frase, anche nei passaggi più virtuosistici. Il momento più felice della sua lettura è forse da individuare nel secondo movimento, in cui l’interpretazione si è fatta più raccolta, intima, con un senso del tempo e della cantabilità che ha restituito alla pagina un respiro sognante e delicato, senza mai scivolare nel sentimentalismo. Il primo movimento ha avuto forza d’impatto e saldezza formale, mentre il terzo, pur non particolarmente trascinante, è risultato sempre ordinato e ben costruito.
Dal podio, Bolton ha guidato la Filarmonica Toscanini con naturalezza e senso del disegno generale. La sua lettura del Concerto non si è distinta per particolare raffinatezza o per sottigliezze timbriche, ma ha mostrato una concezione solida, sempre chiara e coerente. Gli attacchi sono stati puntuali, i tempi ben calibrati, specie nel secondo movimento, anche se alcune sfumature sembravano suggerite, più che realmente realizzate. L’impressione è che in alcuni passaggi l’orchestra non sia riuscita a restituire del tutto le intenzioni del direttore, specialmente per quanto riguarda le dinamiche più sottili. La sezione dei fiati è stata talvolta troppo esposta, con un equilibrio che ha rischiato di compromettere l’unità timbrica complessiva.
In un gesto di grande sensibilità e coerenza con il contesto commemorativo della serata, Yulianna Avdeeva ha proposto come bis una Mazurka di Wladyslaw Szpilman, compositore ebreo polacco rinchiuso nel ghetto di Varsavia, dove scrisse quel brano. Il suo diario, come noto, ispirò il film Il pianista. L’esecuzione, dal gusto chopiniano, è stata sobria, intensa e perfettamente rifinita.
La seconda parte del concerto è stata interamente occupata dalla Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 di Johannes Brahms, pagina dall’apparente luminosità, ma percorsa da una densità formale e strutturale che richiede equilibrio, trasparenza e tensione. L’interpretazione di Bolton ha mostrato solidità architettonica e cura del dettaglio, ma non ha sempre brillato per coerenza stilistica o per profondità poetica. A tratti, è sembrata mancare un’idea unitaria, una visione capace di attraversare con coerenza tutti i quattro movimenti.
Il primo movimento (Allegro non troppo) è stato condotto con passo morbido e cauto, evitando ogni retorica e mantenendo un profilo sobrio. Tuttavia, questa scelta ha finito per appiattire alcune tensioni interne, rendendo il discorso musicale meno coinvolgente di quanto avrebbe potuto essere. Il secondo movimento (Adagio non troppo), affidato all’inizio ai violoncelli, ha evidenziato alcune fragilità dell’orchestra: i suoni sono apparsi ruvidi, il timbro poco pieno, e l’intonazione non sempre precisa nei corni. Il terzo movimento (Allegretto grazioso), con i suoi contrasti tra lirismo e leggerezza, è sembrato il momento più riuscito della sinfonia, grazie a una direzione più fluida e a un fraseggio finalmente più arioso. Il finale (Allegro con spirito) ha mostrato energia e senso del ritmo, con un tempo rapido ma ben sostenuto, che ha chiuso la sinfonia con vivacità e slancio.
Dal punto di vista orchestrale, la Filarmonica Toscanini si è dimostrata preparata e precisa negli attacchi, ma ha confermato una certa carenza timbrica: il suono degli archi, in particolare, è apparso spesso poco presente e poco sfumato. I violoncelli mancavano della rotondità necessaria, specie nei momenti lirici. I corni hanno mostrato alcune incertezze d’intonazione, mentre le percussioni e i tromboni si sono distinti per precisione e compattezza.
In definitiva, un concerto comunque solido e ben costruito, con un primo tempo di forte impatto grazie alla qualità della solista e una seconda parte meno centrata ma comunque interessante.