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Brahms e Mahler • Eschenbach

  • Lorenzo Giovati
  • 6 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Parma, Auditorium Paganini. 10 Maggio 2025.

All’Auditorium Paganini di Parma, sold out, cioccolatini di Ernst Knam e atmosfera di festa per il concerto che ha celebrato i cinquant’anni della Filarmonica Arturo Toscanini, sesta orchestra italiana per longevità. Un traguardo significativo, accolto con entusiasmo dal pubblico e sottolineato, già in apertura di serata, dagli interventi istituzionali del sovrintendente Ruben Jais, dell’assessore regionale alla cultura Gessica Allegni, dell’assessore comunale e vicesindaco Lorenzo Lavagetto e del presidente della Fondazione Paolo Pinamonti. La presenza sul podio del maestro Christoph Eschenbach, nome storico della direzione d’orchestra, ha conferito alla celebrazione un prestigio ulteriore, affiancato al pianoforte dal giovane, ma affermato Vadym Kholodenko.


Il programma si è aperto con il Concerto per pianoforte n. 2 di Johannes Brahms, pagina monumentale e insidiosa, che ha ricevuto un’esecuzione corretta, ma non particolarmente ispirata. La direzione del maestro Eschenbach è apparsa sin dall’inizio piuttosto meccanica, pur mantenendo coerenza e solidità nella tenuta complessiva. L’impressione è stata però quella di una lettura a tratti sbiadita, carente di quelle sfumature timbriche e di quell’ariosità orchestrale che Brahms ha saputo magistralmente evocare. Il terzo movimento ha mostrato alcune fragilità: gli interventi del violoncello solista non sono sempre risultati né morbidi né vellutati, con incertezze d’intonazione. Va invece segnalata positivamente l’esecuzione del secondo movimento, più deciso e ben tenuto. Meno riuscita, infine, la coda del primo movimento, in cui si è verificato un momento di vuoto dovuto a una temporanea perdita di controllo della sezione dei fiati, che non ha attaccato come previsto. Kholodenko ha offerto prova di energia e di tecnica, mostrando una personalità decisa, anche se talvolta la foga e la velocità hanno sacrificato la chiarezza dell’articolazione e la definizione delle note. Al termine dell’esecuzione, il pianista ha regalato al pubblico un bis dalle atmosfere danzanti, dal sapore quasi chopiniano.


La seconda parte della serata era dedicata alla Sinfonia n. 1 “Titano” di Gustav Mahler. Ed è stato proprio qui che le vulnerabilità della serata sono emerse con maggiore evidenza. L’apertura del primo movimento, sebbene inizialmente ben tratteggiata, ha subito sofferto il limite di una direzione eccessivamente meccanica nei tempi, una caratteristica che ha finito per condizionare tutta la sinfonia. La sezione finale dello stesso movimento ha vissuto un momento critico: dopo i primi colpi di timpano, i fiati non sono intervenuti come previsto; il timpano ha quindi ripetuto l’attacco, seguito questa volta dai fiati, ma nell’ultima battuta i due elementi non si sono sincronizzati, generando un effetto scomposto. Il secondo movimento non ha convinto: la sua scansione è apparsa nuovamente troppo meccanica, e il trio centrale è mancato di flessibilità agogica. Il terzo movimento ha risentito di una scelta agogica invece eccessivamente rapida. Mahler, nella partitura, indica con precisione un tempo di 60 bpm per questo movimento: una prescrizione che, se rispettata, permette di far emergere il carattere grottesco della marcia funebre e di lasciare spazio all’apertura luminosa della sezione centrale dei violini. Il tempo scelto da Eschenbach ha invece sacrificato entrambe queste potenzialità. Il quarto movimento è infine risultato il più problematico: l’impressione è stata quella di una generale precarietà, con attacchi spesso poco precisi e momenti frequenti di disallineamento tra le sezioni. I corni, in particolare, non hanno offerto una prestazione convincente, soprattutto nel finale, in cui le intonazioni incerte hanno indebolito l’impatto complessivo. I momenti più distesi del movimento, soprattutto il secondo, che dovrebbe fungere da ponte emotivo verso l’esplosione finale, sono apparsi freddi e poco partecipati. Il gesto del maestro Eschenbach non è quasi mai risultato chiaramente leggibile, il che ha inevitabilmente inciso sulla compattezza dell’esecuzione. L’impressione generale, quindi, è stata quella di un’esecuzione sempre al limite, in bilico tra l’equilibrio e la perdita di coesione, con troppi attacchi incerti e una sensazione costante di instabilità.


Va detto che l’orchestra non può essere del tutto responsabilizzata per l’esito interlocutorio della serata. Si è avvertita infatti la sua fatica a trovare sintonia con il gesto direttoriale poco nitido. Emblematico, nel quarto movimento, è stato il momento in cui le viole non hanno risposto a un attacco del direttore, costringendolo a ripeterlo con insistenza. La Filarmonica Toscanini, pur in questo contesto non facile, ha però mostrato alcune buone qualità: i violini hanno offerto un suono vellutato, e i tromboni, spesso in secondo piano, hanno dato prova di solidità superiore alla norma.


Una serata che, per la sua importanza simbolica e per il valore dei nomi coinvolti, resta di rilievo. Tuttavia, il prestigio e il clima di festa non sono bastati a compensare le difficoltà di un concerto che, pur avendo alcuni momenti riusciti, ha lasciato l’impressione di una macchina orchestrale dalla guida incerta.



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