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Shostakovich, Chopin e Beethoven • Pappano

  • Lorenzo Giovati
  • 14 set
  • Tempo di lettura: 3 min

Verona, Teatro Filarmonico. 7 Settembre 2025.

Prima di ritornare nei territori di Sua Maestà, la London Symphony Orchestra ha concluso la propria tournée italiana inaugurando il Settembre dell’Accademia Filarmonica di Verona, una rassegna che da trentaquattro edizioni porta nella città scaligera alcune tra le più prestigiose orchestre sinfoniche del mondo. Un appuntamento che, per continuità e qualità delle proposte, può essere considerato un riferimento quasi unico in Italia, secondo soltanto alle stagioni di ospitalità dei grandi teatri internazionali come la Scala di Milano. Al Teatro Filarmonico l’orchestra londinese si è presentata guidata dal suo nuovo direttore principale, Sir Antonio Pappano, accolto da un pubblico numeroso.


La prima parte del concerto ha avuto come protagonista la Nona Sinfonia di Shostakovich, eseguita nell’anno che segna i cinquant’anni dalla morte del compositore. Una scelta programmatica densa di significati, perché la Nona è forse la sinfonia più sorprendente di Shostakovich, quella che ha disatteso le aspettative di una conclusione trionfale della trilogia di guerra inaugurata con la Settima e proseguita con l’Ottava. Al posto di un grande affresco corale, il compositore ha consegnato al pubblico una partitura rapida, tagliente, percorsa da un’ironia corrosiva e organizzata in cinque movimenti, di cui gli ultimi tre collegati senza interruzione. Pappano ha messo in luce la natura paradossale della sinfonia, mantenendo sempre un controllo molto saldo dell’orchestra. Il primo movimento ha avuto una spiccata brillantezza, costruita su attacchi scattanti e su un fraseggio nervoso ma mai disordinato. Nel secondo è emersa la capacità del maestro di ottenere dai legni un canto levigato e sottile. Il terzo, con gli interventi della tromba, si è distinto per precisione e compattezza, mentre il quarto ha offerto il momento di maggiore introspezione: il fagotto, spinto verso i registri estremi, ha trovato un equilibrio sonoro difficile ma eseguito con sorprendente naturalezza. Da sottolineare anche la qualità del suono del trombone e della tuba, imponenti senza mai risultare sgraziati. Il quinto movimento ha restituito tutta l’energia di questa pagina, trascinante e travolgente fino alla chiusura.


La seconda parte si è aperta con il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Chopin, affidato a Seong-Jin Cho. Il pianista sud-coreano ha mostrato un pianismo fluido e raffinato, sostenuto da una tecnica impeccabile che gli ha permesso di affrontare le difficoltà del brano senza alcuna esitazione. Il suo approccio è stato elegante, privo di eccessi sentimentali, quasi distaccato sul piano emotivo, ma comunque sempre coerente. È emerso con chiarezza il dialogo tra solista e orchestra, merito anche di Pappano che ha curato con attenzione i tempi e le proporzioni del fraseggio, evitando di coprire il pianoforte e trovando un equilibrio dinamico molto naturale. Il secondo movimento ha brillato per cantabilità e trasparenza, mentre il rondò conclusivo si è imposto per agilità e leggerezza, pur senza cercare effetti virtuosistici di superficie.


Come bis, Cho ha scelto il Valzer op. 64 n. 1 di Chopin, eseguito con estrema rapidità e brillantezza, quasi a sottolineare la leggerezza danzante che costituisce una delle sue cifre stilistiche più riconoscibili.


Il programma ufficiale si è concluso con la Quinta Sinfonia di Beethoven, pagina inevitabile eppure sempre difficile da restituire nella sua urgenza espressiva. Pappano ha optato per una lettura solida e ben costruita, senza cercare rivoluzioni interpretative. Nel primo movimento si sono avvertiti alcuni problemi di coesione tra le sezioni, soprattutto tra ottoni e archi, ma la tensione drammatica è stata mantenuta e l’architettura complessiva è apparsa chiara. Il secondo movimento è risultato cantabile e ben condotto, anche se non ha raggiunto la massima varietà di sfumature nei pianissimi. Il terzo ha avuto compattezza e un disegno formale ben calibrato, soprattutto nel passaggio di collegamento al quarto movimento, dove l’impeto beethoveniano è iniziato a emergere con efficacia. Il finale ha messo in luce la precisione degli attacchi e una gestione equilibrata delle dinamiche, evitando di cadere in eccessi nervosi. Nonostante qualche squilibrio negli ottoni, troppo squillanti, e archi non sempre omogenei, l’esito è stato comunque di grande impatto. Pappano ha scelto un Beethoven saldo, senza ricercare sonorità artificialmente gonfiate, ma privilegiando il senso della costruzione e la chiarezza dei piani sonori.


Il pubblico, già conquistato dall’esecuzione shostakoviana, ha tributato applausi calorosissimi, ai quali Pappano ha risposto con un bis ormai divenuto una sua firma: la variazione Nimrod dalle Enigma Variations di Elgar, proposta con un suono morbido e levigato.


Nel complesso, la London Symphony Orchestra ha dimostrato una versatilità straordinaria. In Shostakovich il suono è stato luminoso e pungente, capace di incarnare il sarcasmo e la vitalità della partitura. In Chopin ha mostrato finezza e senso del dettaglio, seguendo con grande attenzione le linee del solista. In Beethoven ha affrontato qualche difficoltà di omogeneità, soprattutto negli ottoni e negli archi, ma ha comunque garantito un’esecuzione solida e di grande respiro.


L’inaugurazione del Settembre dell’Accademia è stata dunque affidata a un concerto di altissimo livello.


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