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Schumann, Mozart e Brahms • Petrenko

  • Lorenzo Giovati
  • 26 giu
  • Tempo di lettura: 4 min

Milano, Teatro alla Scala. 15 Giugno 2025.

È approdato a Milano l’ultimo concerto della stagione 2024/2025 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, guidata Kirill Petrenko. Una serata importante, sold out già da tempo, suggellato da un tour dell’orchestra romana in una delle sale più prestigiose al mondo, accolta da applausi convinti e fragorosi.


L’ouverture da Manfred op. 115 di Schumann ha aperto il concerto con un impatto quasi dirompente. Composta nel 1848 come parte di una colonna sonora orchestrale ispirata al poema drammatico di Byron, quest’ouverture è una pagina intensa, travagliata, frutto della fascinazione schumanniana per la figura dell’eroe romantico tormentato, in bilico tra colpa e redenzione. Petrenko ne ha esaltato fin dai primi accordi l’aspetto più drammatico e imprevedibile: gli attacchi iniziali, spiazzanti e tesi, hanno imposto subito un clima di urgenza narrativa. La direzione si è mantenuta concitata, energica, sostenuta da una coesione orchestrale impeccabile, con dinamiche attentamente scolpite e una tensione interna costantemente alimentata.


A seguire, la Sinfonia concertante in Mi bemolle maggiore K. 297b di Mozart, un’opera la cui genesi è tutt’altro che limpida. Composta probabilmente nel 1778 durante il soggiorno parigino del compositore, la partitura andò perduta dopo la prima esecuzione e l’attuale versione si basa su una trascrizione ritrovata e successivamente adattata. La pagina, concepita per quattro fiati solisti (oboe, flauto, corno e fagotto), nasce originariamente con il flauto al posto del clarinetto (successivamente è stata ritrovata una copia non autografa che introduceva il clarinetto). La versione proposta in concerto è stata quella più aderente alla prima versione rinvenuta, che privilegia l’organico con il flauto.


Protagonisti di questa esecuzione sono stati Francesco Di Rosa (oboe), Andrea Oliva (flauto), Andrea Zucco (fagotto) e Alessio Allegrini (corno): prime parti di assoluto spicco dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia e alcuni di loro già membri dell’Orchestra della Scala. I quattro solisti hanno dato vita a un dialogo esemplare, orchestrato con grande precisione e naturalezza. Il fraseggio è risultato sempre elegante, l’articolazione nitidissima, la qualità timbrica perfettamente omogenea. Ma ciò che ha davvero colpito è stata la loro resistenza fisica e tecnica: Mozart non concede loro attimi di pausa, eppure sono riusciti a mantenere un livello di velocità, lucidità e precisione impeccabile per tutta la durata della partitura. Un equilibrio difficilissimo da ottenere, che i quattro interpreti hanno raggiunto con maestria assoluta.


La direzione del maestro Petrenko si è mostrata in questa occasione meno levigata del solito, con una vitalità quasi impetuosa. Alcune frasi avrebbero potuto forse beneficiare di maggiore morbidezza e fluidità, ma l’interazione con i solisti è stata ineccepibile, sempre attenta e calibrata. Nei movimenti estremi, la precisione ritmica e la cura delle entrate hanno raggiunto un livello altissimo, dando l’impressione di un meccanismo perfetto. L’esecuzione, nel suo complesso, è stata eccellente: suono levigatissimo e padronanza tecnica assoluta.

Nella seconda parte, la Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 di Johannes Brahms ha trovato in Petrenko un interprete di grande spessore. È noto quanto questa sinfonia, considerata da molti l’erede diretta della Nona beethoveniana, ponga interrogativi interpretativi complessi, oscillando tra slancio tragico, architettura imponente e momenti di intimo lirismo.


Petrenko ha optato per attacchi decisi e nervosi, mantenendo un gesto chiaro e controllato. Il primo movimento si è distinto per l’ampiezza dei contrasti dinamici e per l’energia dei passaggi più drammatici, che hanno trovato un efficace equilibrio con le sezioni più distese. L’esecuzione è apparsa solida e ben costruita, con una tensione interna costantemente presente. Il secondo movimento, pur ben eseguito, è sembrato leggermente rigido nel respiro e meno morbido nel fraseggio. Il terzo ha convinto per leggerezza e slancio, mantenendo un tono brillante e scorrevole. L’ultimo tempo ha rappresentato il culmine della serata: una lettura travolgente, fondata su un crescendo teso e progressivo che ha condotto a un finale esplosivo. I contrasti si sono fatti ancora più marcati, ma sempre sorretti da una lucidità formale impeccabile. Il suono dell’orchestra, pieno e potente, ha contribuito a rendere l’esito conclusivo particolarmente impressionante.


L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha offerto una prova di grande solidità e raffinatezza. Il suono è stato poderoso, ma sempre ben controllato, gestito con rigore e lucidità. Le percussioni hanno scolpito con nitidezza ogni accento, gli archi hanno mostrato leggerezza e omogeneità timbrica, con un suono vellutato e una precisione esemplare anche nei passaggi in pizzicato. I fiati hanno mantenuto coesione e brillantezza, ma è stata soprattutto la sezione degli ottoni a brillare per potenza, intonazione e brillantezza sonora, contribuendo in modo decisivo all’impatto drammatico e alla profondità dell’intera esecuzione. Un livello orchestrale altissimo, che ha reso pienamente giustizia alla direzione di Petrenko e alla complessità del programma. Una menzione speciale va a Carlo Maria Parazzoli, primo violino dell'orchestra, che ha incantato il pubblico con i suoi interventi da solista nel secondo movimento della sinfonia di Brahms.


Il pubblico ha invocato un bis con convinzione, ma Petrenko non ha ceduto. Nessun brano aggiuntivo, ma la chiara sensazione di aver preso parte a una serata di altissimo valore artistico. Un’esperienza che resterà a lungo nella memoria degli ascoltatori per intensità, qualità e coerenza interpretativa. Un modo sontuoso di concludere la stagione.


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