Madama Butterfly • Petrenko
- Lorenzo Giovati
- 2 mag
- Tempo di lettura: 8 min
Berlino, Philharmonie (in diretta sulla Digital Concert Hall). 27 Aprile 2025.
Quest’anno i Berliner Philharmoniker hanno calcato per l’ultima volta il palco della Philharmonie di Baden-Baden in occasione del tradizionale Festival di Pasqua: dal 2026, infatti, l’orchestra farà ritorno a Salisburgo, dopo lo scandalo finanziario che, anni fa, ne aveva segnato l’allontanamento dalla città austriaca. Come da consuetudine, il Festival pasquale rappresenta per i Berliner l’occasione di proporre un’opera lirica, affidata al loro direttore principale Kirill Petrenko. Dopo La dama di picche, Die Frau ohne Schatten ed Elektra, il repertorio è virato quest’anno verso un titolo italiano: Madama Butterfly di Giacomo Puccini. Sempre com’è ormai prassi, dopo le recite a Baden-Baden lo spettacolo si è trasferito alla Philharmonie di Berlino, senza regia per ovvie ragioni, trattandosi di un auditorium, e mantenendo invariata la compagnia di canto, l’orchestra e il direttore. Anche il pubblico più lontano ha così potuto seguire la produzione grazie alla Digital Concert Hall, approfittando dell’eccellente qualità audio garantita dai microfoni, pur con la consapevolezza che lo streaming, per quanto curato, non può mai restituire appieno l’esperienza della rappresentazione dal vivo.
Il primo elemento a rendere memorabile questa Madama Butterfly è stata la direzione superlativa del maestro Kirill Petrenko, che ha riconfermato, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la sua naturale predilezione per il repertorio lirico. In Puccini, Petrenko trova un terreno ideale per coniugare la sua precisione tecnica a un'intensità espressiva sempre vigile, mai compiaciuta. La sua bacchetta guida l’orchestra con una tensione costante, scolpendo ogni attacco con una nettezza quasi chirurgica (indimenticabile, ad esempio, l’ingresso dell’orchestra subito dopo la frase di Sharpless “Che fareste, Madama Butterfly, s’ei non dovesse ritornar più mai?”), un momento reso agghiacciante per nitidezza e per tempismo, in cui l’orchestra è parsa quasi ruggire in risposta al dramma. Petrenko ha esibito un controllo assoluto delle masse sonore, che ha gestito con potenza, ma anche con finezza strutturale. Nei momenti di maggiore impatto, come il finale del primo atto, l’arrivo della nave nel secondo o l’intermezzo sinfonico, l’orchestra dei Berliner Philharmoniker ha suonato con una densità, una compattezza e una potenza timbrica tali da evocare, per impatto e scultura del suono, la storica incisione di Herbert von Karajan. È stato soprattutto nell’equilibrio tra l’esplosione sonora e la sua calibratura interna che Petrenko si è avvicinato al modello karajaniano: l’attenzione riservata al registro dei corni, all’equilibrio fra ottoni e archi e alla solidità delle percussioni ha concorso a generare un effetto monumentale, ma sempre leggibile e musicalmente motivato. Eppure, questo vigore non ha intaccato mai le pagine più liriche e più raccolte: Petrenko è stato abilissimo nel lasciar respirare la frase musicale, nel seguire la voce senza costringerla, nel cesellare arcate dinamiche che ha dato profondità alla scrittura pucciniana. La transizione tra i registri, tra la violenza del dramma e la malinconia dell’introspezione, è sempre stata fluida, governata con maestria e con grande intuito teatrale. Splendido è stato anche il momento dell’arrivo della nave, in cui Petrenko ha costruito un crescendo progressivo e inesorabile, spingendo sull’accelerazione ritmica e sull’intensificazione timbrica senza mai perdere il controllo del disegno complessivo: il risultato è stato una sequenza emotivamente travolgente, nella quale l’orchestra è diventata puro teatro. Straordinario, poi, il finale: dopo il suicidio di Cio-Cio-San, Petrenko ha retto la lunga nota sospesa prima dell’accordo conclusivo con un senso della tensione drammatica quasi insostenibile. Solo allora, l’accordo risolutivo è giunto, netto e improvviso, come un colpo di lama. Se si può avanzare una lieve riserva, è proprio nel segmento finale: dopo il suicidio, la coda orchestrale è apparsa forse un po’ affrettata, priva di quel pathos dilatato e straziante evocabile con tempi più distesi e travolgenti. Nel complesso, è stata una direzione che ha colpito per la sua autorità musicale, per la tensione ininterrotta e per la capacità di rendere ogni dettaglio parte integrante di un discorso unitario, teso e incandescente.
Un ruolo decisivo nel successo musicale della serata l’hanno avuto naturalmente i Berliner Philharmoniker, protagonisti di una prova di altissimo livello che ha conferito a Madama Butterfly una dimensione sonora di opulenza e raffinatezza rare. Gli archi ha steso un tessuto vellutato; i fiati, impeccabili per intonazione e fraseggio, ha saputo emergere con eleganza nei momenti più lirici o drammatici, mentre le percussioni sono sempre state incisive,ma mai invasive. Ma è stata soprattutto la sezione dei corni a impressionare per potenza e per rotondità: presenti, autorevoli, eppure sempre fusi nel disegno complessivo, capaci di evocare, nei momenti più solenni o tragici, un senso di ampiezza. È stata una lettura che si è distinta per la sua impostazione sinfonica, resa possibile proprio dalla qualità strumentale e dalla versatilità dei Berliner, capaci di adattarsi ad ogni passaggio dell’opera, dalla delicatezza del duetto amoroso alla violenza del finale, con coerenza timbrica e pieno dominio espressivo. Questo livello di resa orchestrale, francamente, rimane oggi prerogativa di pochissime compagini sinfoniche al mondo.
La compagnia di canto, per parte sua, non poteva essere assemblata in modo più oculato.
Prima tra tutti, la Cio-Cio-San di Eleonora Buratto, che ha confermato in modo ancor più deciso quanto il repertorio pucciniano sembri ormai essere il suo terreno d’elezione. La scrittura vocale di Madama Butterfly, impervia, spietatamente esigente nel coniugare lirismo e drammaticità, forza e delicatezza, sembra adattarsi perfettamente alla voce della Buratto, che vi si muove con una padronanza ammirevole. Il timbro luminoso, il controllo del fraseggio, la sensibilità con cui plasma ogni inflessione musicale hanno reso la sua interpretazione uno dei momenti più alti della produzione. La Buratto canta oggi Puccini con una pienezza e una lucidità che poche altre interpreti contemporanee possono vantare. A impressionare non è soltanto la qualità della voce, levigata, compatta, priva di asprezze anche nei passaggi più esposti, ma soprattutto l'intelligenza musicale e scenica che guida ogni scelta espressiva. Tutto è organicamente inserito nella costruzione di un personaggio sfaccettato, vivo, straziante nella sua compostezza. La sua Butterfly non è, né la bambola docile, né la donna isterica: è una giovane ragazza che si aggrappa all’amore con una dignità silenziosa e una forza tragica che si rivela a poco a poco, fino al culmine del sacrificio finale. “Un bel dì vedremo”, l’aria più celebre, è stata risolta con grande autorità e profondità emotiva, esattamente come il commovente finale. La linea vocale, sempre ben sostenuta, si è distesa in un arco narrativo che ha escluso ogni compiacimento e ha cercatoinvece una verità intima, introversa. Ogni parola è stata scolpita con cura, ma mai caricata di manierismi: si è avvertita una tensione contenuta, un dolore che si affaccia appena, come trattenuto fino al limite. L’equilibrio fra controllo tecnico e abbandono lirico ha attraversato tutta la sua prova, anche nei duetti con Pinkerton o nelle scene più drammatiche del secondo atto. Se qualche acuto si è mostrato talvolta un po’ forzato, come quello che ha chiuso il primo atto, sostenuto con evidente sforzo, si è trattato di piccole imperfezioni che non incrinano minimamente la pregevolezza dell’interpretazione. Il registro centrale, morbido, corposo, di un colore intensamente umano, resta il fulcro sonoro ed espressivo della sua performance. Alla base di tutto, vi è una profonda comprensione del linguaggio pucciniano, che la Buratto restituisce con grande qualità.
Un altro interprete che ha ormai reso il repertorio pucciniano una delle sue aree di maggior prestigio è Jonathan Tetelman, anche lui già protagonista nella Tosca romana prima ricordata, in cui aveva lasciato un’impressione più che positiva nel ruolo di Cavaradossi. In questa Butterfly ha vestito i panni di Benjamin Franklin Pinkerton, un ruolo che sembra calzargli ancora meglio, non solo per caratteristiche vocali, ma anche per temperamento interpretativo. La sua voce, sempre timbrata con chiarezza, luminosa e ben proiettata, si è imposta fin dalle prime battute per sicurezza e per smalto, con un’emissione solida che non ha persomai di rotondità, nemmeno nei passaggi più impervi. Nella prima parte dell’opera, il suo Pinkerton ha avuto una spavalderia eroica, un accento deciso, ma sempre musicalmente controllato. Nella seconda parte, invece, Tetelman si è rivelato capace di sfumare l’espressione in una direzione più umana e partecipe, cogliendo il tormento e il rimorso che si affacciano nel personaggio solo troppo tardi. Particolarmente degna di nota l’esecuzione di Addio, fiorito asil, cantata con una precisione vocale notevolissima e con un’emotività trattenuta, ma sincera, mai esibita, che è riuscita a commuovere, senza scadere nel patetico. L’intonazione è stataimpeccabile, le dinamiche ben calibrate, l’emissione sempre omogenea. Ne è risultato un Pinkerton, non soltanto vocalmente irreprensibile, ma anche umanamente convincente, in cui l’interpretazione musicale si è sposata con un’intelligenza teatrale sempre più matura.
Tassis Christoyannis ha offerto uno Sharpless solido e credibile, restituendo con misura e partecipazione emotiva un personaggio spesso trascurato, ma qui valorizzato con intelligenza e coerenza. Il timbro caldo e ben proiettato, l’intonazione sicura e la linea di canto pulita hanno conferito autorevolezza alla figura del console, tratteggiata con discrezione e senso del dramma. Pur senza cercare effetti o sottolineature eccessive, Christoyannis ha saputo essere interiormente coinvolto, specie nelle scene del secondo atto, in cui la sua presenza si è fatta più dolente e umana. Se il fraseggio avrebbe potuto, in certi passaggi, essere più rifinito e affettuoso, soprattutto nei confronti di Cio-Cio-San, l’impressione complessiva è stata comunque quella di un’interpretazione solida, sentita e musicalmente centrata.
Teresa Iervolino ha tratteggiato una Suzuki partecipe e convincente, offrendo un’interpretazione intensa. Dotata di una voce ambrata, dal timbro ricco e morbido, il mezzosoprano ha messo in luce una notevole sensibilità musicale, con un’attenzione al fraseggio sempre curata e pertinente. Ogni intervento era cesellato con precisione e con gusto, mai abbandonato all’automatismo o alla semplice funzione narrativa. La sua Suzuki non si è limitata a un ruolo di spalla: ha accompagnato e sostenutoCio-Cio-San con un’intensità silenziosa, che si è tradotta in un canto partecipe, vibrante di affetto. Nelle scene del secondo atto, soprattutto nel duetto “Scuoti quella fronda di ciliegio” e nella preparazione dell’attesa per l’arrivo della nave, la Iervolino ha saputo fondere calore vocale e partecipazione emotiva in modo molto efficace
.
Eccellente è stata anche la prova di Didier Pieri nei panni di Goro, un ruolo che si adatta perfettamente alla sua vocalità chiara, ben proiettata e incisiva. Pieri ha dimostrato ancora una volta di essere un interprete di spicco in quei ruoli spesso etichettati come “minori”, ma che, nella costruzione teatrale complessiva, rivestono invece un’importanza tutt’altro che marginale. Il suo Goro è stato vivido, con una perfetta calibratura tra il servilismo interessato e una sottile vena di sarcasmo.
Tutti i comprimari hanno offerto prove efficaci, contribuendo con precisione e professionalità all’equilibrio dell’esecuzione. Aksel Daveyan ha delineato un Principe Yamadori elegante. Giorgi Chelidze ha dato spessore al breve, ma significativo, intervento del Bonzo, imponendosi con un registro grave autorevole e ben proiettato. Lilia Istratii ha restituito una Kate Pinkerton misurata e partecipe. Jasurbek Khaydarov e Georg Streuber, nei ruoli del Commissario imperiale e dell’Ufficiale dello stato civile, si sono distinti per precisione, chiarezza e piena funzionalità drammatica. Tutti gli interpreti si sono inseriti con equilibrio e consapevolezza nel tessuto musicale, dimostrando attenzione al dettaglio e un perfetto senso dell’insieme.
Ultima, ma non certo per importanza, vi infine stata la straordinaria prestazione del Rundfunkchor Berlin, con una menzione speciale alla sezione femminile. Il celebre coro a bocca chiusa è stato reso con rara raffinatezza: il legato perfetto, la morbidezza del suono, l’omogeneità timbrica e la delicatezza nelle sfumature dinamiche hanno creato un’atmosfera sospesa. La compattezza dell’ensemble, unita all’attenzione alla parola e alla linea musicale, ha confermato ancora una volta il livello altissimo di questo coro.
A conclusione di questa straordinaria Madama Butterfly, è rimastal’impressione di un progetto musicale curato in ogni dettaglio e realizzato da interpreti di altissimo livello. Con il ritorno a Salisburgo ormai alle porte e la possibilità concreta che il prossimo Festival di Pasqua segni l’inizio di un nuovo Ring wagneriano firmato Petrenko, le aspettative non potrebbero essere più alte.