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Puccini secondo Muti

  • Lorenzo Giovati
  • 3 lug 2024
  • Tempo di lettura: 6 min

Lucca, Mura Storiche (in diretta su Rai 3). 28 Giugno 2024.

Il centenario della morte di Giacomo Puccini ha indotto numerosi teatri ed enti musicali a organizzare iniziative celebrative dell’immenso musicista toscano. A questa "chiamata" a raccolta, nazionale ed internazionale, non poteva ovviamente non rispondere la bellissima Lucca, città natale di Puccini, la quale ha proposto un concerto pucciniano diretto dal maestro Riccardo Muti, con un cast vocale di indubbio pregio. L’evento, voluto fortemente dal Ministero della Cultura e realizzato grazie alle collaborazioni della Città di Lucca e della Rai, è stato trasmesso su Rai 3 e in Mondovisione ed è stato strutturato, nella forma non certamente originale del recital, in modo da concedere ad ogni cantante l'esecuzione di due brani, tranne che per il soprano Eleonora Buratto, che ne ha eseguiti tre. Il palcoscenico è stato scenograficamente montato all'aperto, sotto le Mura storiche della città, ed è stato progettato con un ampio schermo dietro all'orchestra che proiettava alcune foto di Puccini o le famose copertine delle opere del maestro realizzate dalla casa editrice Ricordi. La serata è stata presentata dall'attrice Serena Autieri, che non ha brillato, ma forse non doveva nemmeno farlo, vista l’impostazione divulgativa dell’evento, per l’acutezza e la profondità delle sue considerazioni.


Il concerto si è aperto con il Capriccio Sinfonico, composto da Puccini quando ancora era negli anni del Conservatorio, molto ben interpretato dal maestro Muti, che ha imposto un tempo tendenzialmente lento, ma dinamiche mai prive di cantabilità e di preziosi dettagli.


Sono poi iniziate le esecuzioni solistiche delle arie di Puccini. La prima a cimentarsi, in Un bel dì vedremo da Madama Butterfly, è stata la soprano Eleonora Buratto. La bella voce della soprano mantovana, che riesce sempre a gestire il mezzo con grande professionalità, seppur abbia lasciato spazio a qualche incertezza nell'ultimo acuto (un poco crescente), insieme alle sue sempre curate interpretazioni, non sono state adeguatamente messe in risalto dal tempo scelto dal maestro Muti per l'esecuzione dell'aria, che è apparso un poco troppo veloce, tanto da generare qualche disagio alla cantante. 


Il tenore Luciano Ganci, che ha contato di seguito, ha esordito con Recondita armonia da Tosca. Il tenore romano ha confermato di possedere una voce bella e ben timbrata e ha dato sfoggio di una notevole capacità di fraseggio, sillabando perfettamente le parole, e di ottime intenzioni interpretative, come la concessione sentimentale su "tu ch'azzurro hai l'occhio". Nella parte conclusiva dell'aria si è inoltre ben districato, scontando un’incertezza solo nel  sei tu" conclusivo, anche in questo caso non aiutato dal tempo scelto da maestro Muti.


Dalle atmosfere romane di Sant'Andrea della Valle, il programma di sala ha quindi trasportato il pubblico nella fredda soffitta parigina di Rodolfo ne "La Boheme", con il tenore Dmitry Korchak, che ha cantato Che gelida manina. La bella voce e l’emissione franca del tenore russo ha messo in risalto molto bene le melodie pucciniane, seppur l'interpretazione sia risultata non del tutto convincente. Di gran classe è stata invece la direzione del maestro Muti, che è riuscito molto bene a dosare gli equilibri degli archi a servizio di un eccellente respiro musicale.


Si è fatto ritorno a Roma, precisamente a Palazzo Farnese, dove la freddezza (questa volta d'animo) del barone Scarpia, concede a Tosca l'opportunità di cantare Vissi d'arte. Venerdì sera questo capolavoro è stato eseguito dalla soprano Eleonora Buratto. La voce è stata, anche in questo caso, sempre bella e ben tornita. L'interpretazione però non ha nel complesso convinto, ma è risultata poco scavata e poco emotivamente coinvolta. Stessa impressione ha dato anche la direzione del maestro Muti, poco dilatata.


E’ stato poi il turno del tenore Francesco Meli, che ha eseguito Ch'ella mi creda da La Fanciulla del West, un’aria che gli si addice vocalmente, anche se il mezzo evidenzia qualche leggerissimo segno di usura nel registro acuto. L'esecuzione del tenore genovese è stata quindi pregevole. La buona performance vocale ha trovato un ottimo supporto musicale nella direzione del maestro Muti che ha "appesantito" un poco la musica, facendola risultare nel complesso ottima.  


Il tenore Dmitry Korchak e la soprano Mariangela Sicilia hanno quindi raggiunto il maestro Muti, rimasto sul podio, per eseguire il finale del primo atto de "La Boheme" ovvero O soave fanciulla. Entrambi hanno dimostrato una buona comprensione del brano e hanno saputo fraseggiare ottimamente. Vocalmente il tenore è stato pregevole. La soprano, per parte sua, è stata eccellente, dimostrando non solo ottima tecnica nell'acuto ma anche facilità di canto.


Nella pausa, per dare tempo ai cantanti di riprendersi, la presentatrice Serena Autieri è uscita sul palco, discorrendo delle eroine pucciniane (nella cui schiera Mimì è stata arruolata impropriamente) e per intervistare il maestro Muti. Alla domanda, molto generica, di regalare qualche nozione in più su Puccini, il maestro Muti ha ribadito il suo amore per il compositore lucchese, a cui ha però dedicato solo due incisioni discografiche: una di Tosca e una di Manon Lescaut, entrambe non memorabili, per un direttore che ha invece lasciato di altri musicisti testimonianze artistiche di valore assoluto, alcune delle quali destinate ad entrare nella storia dell’interpretazione. A parte questo, comunque, che può sorgere qualche legittimo dubbio sul reale amore del maestro Muti per Puccini, al di là delle inevitabili dichiarazioni di rito in un evento celebrativo, ed al di là del fatto che la sua scelta come direttore della serata si giustifica in ragione dei suoi soli conclamati meriti artistici, lo stesso maestro Muti si è disimpegnato benissimo, come gli è consueto, articolando considerazioni interessanti e alternandole con aneddoti di vita artistica, raccontati con la sue felice verve.


Mariangela Sicilia è poi ritornata sul palco per eseguire Donde lieta uscì da La Boheme. La soprano è stata vocalmente impeccabile, cantando con una tecnica ottima, dosando bene l'emissione e tenendo una  linea di canto sempre pulita. E' stata forse un poco eccessiva nel fraseggio, che è apparso un poco caricato.


E’ stato poi il turno del Senza Mamma da "Suor Angelica" eseguito dalla giovanissima soprano Lidia Fridman. La soprano ha dato sfoggio di una voce ambrata che poco si adatta al personaggio di Suor Angelica, che come dice la nome stesso, deve avere un timbro leggero e soave. Non per questo, però, la performance è stata scarsa. L'interpretazione è stata invece ottima e la tecnica vocale da grande soprano, soprattutto nell'acuto finale, mantenuto stabile e ottimamente intonato. La direzione profonda, scavata e armonicamente perfetta, del maestro Muti è stato un supporto eccellente.


Il programma ha poi deviato da Suor Angelica al Castel Sant'Angelo della Tosca, con il pittore Mario Cavaradossi, interpretato ancora una volta dal tenore Luciano Ganci, che ha cantato E lucevan le stelle. Il tenore romano si confermato in una nuova ottime prestazione vocale e interpretativa.


Lo ha seguito in scena il soprano Eleonora Buratto per eseguire l'unico brano dalla Turandot: Tu che di gel sei cinta. La sua voce è stata molto presente e ben modulata e intonata. L'interpretazione ha accentuato maggiormente il tormento di Liù, piuttosto che il suo dolore sommesso. Ha comunque convinto nell'insieme. Il maestro Muti ha fornito ancora una volta una lettura toccante della partitura musicale.


Il secondo brano sinfonico proposto nel concerto è stato il celeberrimo (e magnifico) intermezzo da  Manon Lescaut. L'interpretazione orchestrale del maestro Muti  ha messo in risalto la delicatezza delle melodie, forse con qualche eccesso sui toni bassi dell'orchestra (almeno questo hanno rilevato i microfoni Rai), segnando un’evoluzione matura rispetto all'incisione scaligera, già emersa nel bis dell'ultimo concerto con la Chicago Symphony Orchestra alla Scala. I tempi dell'esecuzione sono stati corretti e nel complesso il brano è risultato eccellente. Una nota di merito spetta anche alle parti soliste degli orchestrali, con particolare riferimento al primo violoncello.


Dopo un'altra intervista della presentatrice sull'orchestra Cherubini, il tenore Francesco Meli, la soprano Lidia Fridman, il maestro Muti e l'orchestra hanno eseguito tutto il quarto atto della Manon Lescaut. Ha decisamente primeggiato la splendida direzione del maestro Muti, che ha messo in risalto la modernità di alcuni passaggi e una potenza straordinaria dell'orchestra. La cura meticolosa di alcuni dettagli, come i contrasti tra forte e piano, i tempi e la soavità di alcuni passaggi. Decisamente all'altezza si sono rivelate le due voci, con particolare riferimento a quella di Lidia Fridman, che ha saputo valorizzare il fraseggio e modulare la voce quando necessario, dimostrando grande comprensione e ottima tecnica. Ha inoltre regalato un Sola, perduta, abbandonata di grande carisma e dall' intonazione perfetta. Il tenore Francesco Meli, per parte sua, ha impreziosito qualche passaggio con pregevoli alleggerimenti vocali, fornendo una performance nel complesso comunque valida.


L'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, fondata dallo stesso maestro Muti ormai vent'anni fa, è stata ampliata, per l'occasione, con altri orchestrali ex-membri fino al numero di 123 elementi ed ha suonato particolarmente bene durante tutto lo spettacolo.


Si è così concluso il concerto, tra l’inevitabile ovazione del pubblico. Un concerto, nel suo complesso, artisticamente pregevole, la cui chiara vocazione divulgativa e celebrativa lo ha reso però di limitato interesse per un appassionato.   

 

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