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Prokofiev e Tchaikovsky • Zangiev

  • Lorenzo Giovati
  • 12 minuti fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Firenze, Teatro del Maggio. 15 Maggio 2025

Nella Sala Zubin Mehta del Teatro del Maggio, in seno all’87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, si è tenuto un concerto dalla programmazione intrigante, affidato a due interpreti giovanissimi, ma già affermati: il pianista Alexander Gadjiev e il direttore Timur Zangiev. Un’accoppiata che ha fatto scintille su un programma molto ambizioso: il Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra di Sergej Prokofiev e, a seguire, la Sinfonia n. 6 “Patetica” di Tchaikovsky.


Il concerto di Prokofiev è una partitura impervia e spigolosa. A differenza della brillante accessibilità di Pierino e il lupo, qui Prokofiev si muove su un terreno ben più aspro e radicale: non stupisce che la prima esecuzione, nel 1913, sia stata accolta da fischi e commenti poco lusinghieri, al punto che l’opera scomparve per decenni dai programmi concertistici. Parte del motivo è da ricercarsi nella sua proverbiale difficoltà tecnica, soprattutto per la parte pianistica: una sfida che Alexander Gadjiev ha affrontato con lucidità, energia e, soprattutto, con un rigore musicale di altissima classe. Particolarmente impressionante la lunga cadenza che conclude il primo movimento: Gadjiev l’ha attraversata con controllo granitico, senza mai sacrificare la chiarezza e l’articolazione alla velocità.

Dal podio, Timur Zangiev ha garantito un accompagnamento sempre misurato, vigile e partecipe. L’equilibrio tra solista e orchestra non è mai stato messo in discussione, grazie a un dosaggio attento dei volumi e a una gestione degli attacchi che ha messo in risalto le strutture ritmiche. senza mai coprire il pianoforte. L’intesa tra i due è stata notevole e l’esecuzione ha brillato su entrambi i fronti.


Al termine della prima parte, Gadjiev ha concesso ben tre bis: l’Andante con moto dalle 6 Bagatelle op. 126 di Beethoven, la Mazurca in la minore op. 68 n. 2 di Chopin, e un terzo brano non identificato. Un trittico di brevi brani tutti eseguiti alla perfezione.


Nella seconda parte del concerto, la Patetica di Tchaikovsky ha trovato in Timur Zangiev un interprete di rara maturità. Zangiev, già applaudito alla Scala per Evgenij Onegin e La dama di picche, ha confermato il suo profilo di direttore giovane, ma profondamente carismatico, dotato di un gesto nitido e soprattutto di una forte personalità interpretativa. La sua lettura non è mai stata scontata: il primo movimento ha evidenziato con chiarezza la frattura tra l’introversione dolorosa dell’Adagio iniziale e l’irruenza concitata della sezione centrale, che Zangiev ha spinto con coraggio fino al limite della velocità per poi ripiegare in un punto di massima intensità lento e teso. Nel secondo movimento, impostato su un tempo camminato, la cantabilità è emersa con grazia, sostenuta dalla morbidezza degli archi e da un controllo dinamico che, pur con qualche libertà, ha evitato ogni staticità. Il terzo movimento è stato travolgente: eseguito con energia e precisione, ha suscitato – come spesso accade – applausi intempestivi prima della vera conclusione, un’abitudine tanto fastidiosa, quanto in via di diffusione. Il Finale è stato condotto con tensione crescente e un senso di angoscia trattenuta. Le ultime battute, dilatate e sofferte, hanno lasciato un’impressione di stanchezza emotiva voluta, cercata, splendidamente comunicata.


L’Orchestra del Maggio Musicale ha risposto con grande compattezza: violini precisi, violoncelli dal timbro vellutato, ottoni potenti e percussioni puntuali. Qualche passaggio nel primo movimento della Patetica ha visto gli archi parzialmente sovrastati dalla massa sonora degli ottoni, problema che si potrebbe affrontare solo con un riequilibrio di organico o un ulteriore affinamento dei volumi. Ma si tratta di un dettaglio in un’esecuzione di alto profilo, che ha messo in luce l’ottima forma dell’ensemble.


In sintesi, un concerto coraggioso e centrato, che ha saputo valorizzare due giovani interpreti promettenti e già saldamente in possesso dei mezzi necessari per affrontare un repertorio tutt’altro che facile.



 

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