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Mozart • Buchbinder

  • Lorenzo Giovati
  • 25 nov 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Roma, Auditorium Parco della Musica. 23 Novembre 2024.

Ci sono ruoli che richiedono una dedizione assoluta, un impegno che non ammette distrazioni o compromessi. Essere al tempo stesso direttore d’orchestra e solista rappresenta una sfida complessa, tanto più quando si affrontano pagine di Mozart, il cui equilibrio tra forma e profondità emotiva non lascia spazio a sproporzioni. Nella storia della musica non sono mancati artisti che si sono cimentati in questo duplice ruolo, ma pochi sono riusciti a lasciare un segno distintivo, eccellendo contemporaneamente come interpreti e come direttori. Tra essi, spicca Leonard Bernstein, genio assoluto, capace di unire il carisma direttoriale a una sensibilità pianistica tale da consegnarci incisioni memorabili, anche dei Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart. Lo stesso fece anche Mstislav Rostropovich al violoncello.


Tuttavia, il panorama è ben più complesso: spesso i direttori che scelgono la tastiera non riescono a distinguersi pienamente nell’interpretazione pianistica, mentre i solisti che tentano la strada della direzione d'orchestra possono lasciare la sensazione di una mancanza, di un vuoto, laddove il gesto direttoriale dovrebbe invece plasmare l’orchestra. In questo difficile equilibrio si colloca Rudolf Buchbinder, che, al concerto romano dedicato a tre Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, ha offerto una lezione di stile e di musicalità che difficilmente trova paragoni. Buchbinder è forse oggi il più completo esponente di questa duplice maestria (di cui sono affermate testimonianze le incisioni discografiche dei concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven da lui diretti e interpretati a Vienna): con un controllo assoluto sull’orchestra e un pianismo denso di chiarezza e di tecnica, ha dimostrato come sia possibile unire due mondi senza sacrificare nulla alla qualità interpretativa.


In occasione dei suoi concerti insieme all'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Rudolf Buchbinder ha diretto e interpretato i concerti 27, 21 e 20 di Wolfgang Amadeus Mozart, forse i più significativi. Il primo, che è in realtà "l'ultimo", segna, non solo la conclusione della produzione concertistica mozartiana, ma anche il suo momento di maggiore espressività ed introspezione. Il maestro Buchbinder ha saputo cogliere appieno la natura intima e riflessiva del Concerto n. 27 in si bemolle maggiore K. 595, offrendone un’interpretazione tecnicamente impeccabile e di rara profondità emotiva. La sua lettura è apparsa come un dialogo sommesso e ricco di sfumature, in cui il pianoforte, pur emergendo con chiarezza cristallina, non ha mai oscurato il delicato equilibrio con l’orchestra. La scelta di mantenere una potenza orchestrale misurata, quasi cameristica, ha sottolineato la natura intima del brano, che si pensa fosse destinato a rimanere confinato nell’ambito privato di Mozart, piuttosto che essere eseguito in un grande contesto pubblico. Degne di nota sono state le scelte stilistiche del maestro, che ha evitato ogni eccesso, conferendo all’esecuzione un senso di sobrietà e di eleganza. Questo approccio è emerso con particolare evidenza nelle ultime battute di ogni movimento: anziché indulgere in rallentandi o in sottolineature enfatiche, Buchbinder ha mantenuto una continuità ritmica impeccabile, creando un effetto di naturalezza e di raffinatezza che ben si è sposato con la trasparenza formale del concerto.


Nel Concerto n. 21 in do maggiore K. 467, Rudolf Buchbinder ha dato ulteriore prova della sua straordinaria maestria, unendo all’eleganza interpretativa una tecnica di altissimo livello. Questo capolavoro, tra i più celebri della produzione mozartiana, rappresenta la massima conflittualità nel rapporto tra pianoforte e orchestra: un dialogo che qui si trasforma in un confronto dinamico, in cui i due protagonisti sembrano rincorrersi e contrastarsi. Buchbinder ha saputo restituire pienamente questa complessità, mantenendo un perfetto bilanciamento tra i due piani sonori. Il suo gesto, essenziale, ma sempre preciso, ha guidato l'orchestra con sobrietà: a volte un movimento delle mani, altre un cenno della testa, sono bastati per mantenere una coesione impeccabile, lasciando spazio a un dialogo fluido tra pianoforte e orchestra. Il secondo movimento, il celebre Andante, è stato interpretato con una grazia e una levità quasi eteree, in cui gli archi si sono distinti per delicatezza. Il pianoforte, mai invadente, ha dialogato con l’orchestra in un tessuto sonoro che alternava trasparenza e calore. Di grande impatto è stato anche il contrasto tra la delicatezza del secondo movimento e la vitalità del terzo, l’allegro vivace assai, eseguito con slancio, ma senza mai cedere agli eccessi. Qui Buchbinder ha messo in luce, non solo la sua grandissima tecnica, ma anche una capacità interpretativa capace di esaltare il carattere risoluto e vivace del finale, senza perdere mai di vista l’equilibrio mozartiano. Un elemento che ha particolarmente colpito nell’esecuzione del maestro Buchbinder sono state le sue cadenze, lineari e coerenti all'interno del concerto, costruite nel pieno rispetto delle scritture e dello stile mozartiano, formalmente pulite ed eleganti e prive di qualsiasi eccesso. Ogni passaggio, perfettamente calibrato, sembrava prolungare con naturalezza il discorso musicale.


Il Concerto n. 20 in re minore K. 466 segna un punto di svolta nella concezione del rapporto tra pianoforte e orchestra. In questa straordinaria opera, il concerto non è più un semplice pretesto per mettere in mostra l’agilità del solista, ma si trasforma in un dialogo profondo, in cui i due protagonisti si confrontano su un piano di intensa drammaticità. È uno dei pochissimi concerti di Mozart in tonalità minore, e questo lo colloca in un territorio emotivo diverso, carico di tensione e pathos, elementi che il maestro Buchbinder ha saputo rendere con grande incisività. La sua direzione, precisa ed essenziale, ha plasmato un’orchestra tesa e drammatica, capace di esprimere il carattere dinamico del primo movimento. La cadenza, una delle più celebri, composta da Beethoven, è stata realizzata da Buchbinder con tecnica e precisione. Il secondo movimento, la celebre Romanza, è stato invece un momento di pura leggerezza. Il terzo movimento, con il suo carattere vivace e ritmicamente serrato, è stato interpretato con grande energia, ma senza mai perdere di vista l’eleganza mozartiana. Particolarmente brillante è stata la piccola cadenza finale, in cui Buchbinder ha interpolato con arguzia e raffinatezza il tema riconoscibilissimo del terzo movimento del Concerto per violino e orchestra di Mendelssohn. Questa scelta ha aggiunto un tocco di originalità che ha sorpreso per la sua intelligenza musicale.


L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha offerto una prestazione impeccabile, confermandosi all’altezza della straordinaria sensibilità di Buchbinder. Gli archi, coesi e leggerissimi, hanno saputo regalare momenti di grande raffinatezza, alternando trasparenza sonora ad una precisione ritmica scattante nei passaggi più dinamici. Fondamentale è stato il contributo del primo violino Carlo Maria Parazzoli, che, pur impegnato nel suo ruolo esecutivo, ha saputo mantenere con sguardi e movimenti una straordinaria coesione tra i musicisti, suggerendo attacchi con una direzione silenziosa, ma efficace, soprattutto nei momenti in cui Buchbinder, profondamente concentrato al pianoforte, non poteva offrire gesti direttoriali particolarmente espliciti. La sezione dei fiati, altrettanto precisa, ha arricchito l’esecuzione con un suono caldo e nitido. La scelta di eseguire questi capolavori con una grande orchestra, per qualità e per natura, ha inoltre sottolineato quanto queste formazioni possano valorizzare il repertorio mozartiano: se le orchestre da camera, pur forse filologicamente più vicine al suono settecentesco, spesso mancano di rotondità e morbidezza, l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia ha dimostrato come una compagine più ampia e sinfonica possa restituire al meglio la ricchezza emotiva e timbrica di queste pagine.


La serata, ospitata in una sala gremita e attenta, si è conclusa tra applausi entusiasti. La scelta di non concedere un bis, richiesto non per insoddisfazione, ma per prolungare il contatto con il talento del maestro Buchbinder, non ha minimamente attenuato l’impressione di aver assistito a un evento musicale di altissimo livello.



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