Tosca • Harding
- Lorenzo Giovati
- 29 ott 2024
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 4 nov 2024
Roma, Auditorium Parco della Musica. 26 Ottobre 2024.
Valeva il viaggio, la Tosca che ha avuto esecuzione in forma di concerto sabato sera all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e che ha, non solo inaugurato la stagione concertistica corrente, ma anche suggellato la conclusione dell’era, durata circa un ventennio, del maestro Antonio Pappano come direttore musicale e l’inizio della reggenza del maestro Daniel Harding come suo successore.
La serata è stata particolarmente emozionante anche per la presenza in sala del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha poi ricevuto l’omaggio e il saluto del maestro Harding, dopo il Te Deum.
Protagonista della serata è stata indubbiamente Eleonora Buratto, che, mettendo a frutto sapientemente la sua ormai grande esperienza, sia nel repertorio verdiano, sia in quello pucciniano, ha saputo regalare al personaggio di Tosca una profondità emotiva e una padronanza tecnica oggi difficilmente superabili. Questa produzione ha segnato la sua seconda interpretazione del ruolo, e, sebbene si trattasse della prima esecuzione in Italia e in forma concertata, la sua performance ha catturato ogni sfumatura del personaggio. Al netto di una lieve incertezza nell'acuto fuori scena del secondo atto e di una microscopica sbavatura alla fine di un "Vissi d'arte" splendido, che paiono davvero ininfluenti sulla valutazione complessiva, la Buratto ha offerto una prestazione di altissimo livello. La sua voce, dal timbro limpido, corposo e cristallino, ha saputo adattarsi perfettamente ai passaggi più delicati e ai momenti di maggiore intensità drammatica. Ogni frase è stata scandita con una cura estrema per il dettaglio e con colori sempre appropriati, così da donare al personaggio una dimensione espressiva che raramente si riscontra in esecuzioni concertate. Una delle caratteristiche più affascinanti della sua vocalità è stata la capacità di gestire ogni registro con facilità, passando senza sforzo da toni morbidi e delicati a accenti più veementi e incisivi. Questo ha trovato il suo apice nel secondo atto, in cui la Buratto ha gonfiato alcune frasi chiave, conferendo loro una densità emotiva palpabile. La sua interpretazione è stata così coinvolgente da trascendere la mancanza della regia e da regalare al pubblico una Tosca completa, intima e indimenticabile. La Buratto ha saputo inoltre gestire con grande maestria i momenti di più intensa liricità, come nel celebre “Vissi d’arte”, dove ha dimostrato un controllo eccezionale della linea di canto e una capacità di modulare la voce che hanno conferito al brano una delicatezza commovente, restituendogli la dimensione sua propria di aria dolente, senza mai però scadere nel sentimentalismo.
Nei panni del pittore Mario Cavaradossi si è calato il tenore cileno, ormai di fama internazionale, Jonathan Tetelman, particolarmente apprezzato nel repertorio pucciniano, come testimoniano le sue numerose incisioni per la prestigiosa Deutsche Grammophon. La sua voce, splendidamente timbrata e dotata di un brillante squillo, possiede una notevole duttilità, qualità che Tetelman ha saputo sfruttare appieno, offrendo un’interpretazione di grande impatto. La sua intonazione è stata impeccabile, dimostrando un rigore tecnico che si è unito a una profonda sensibilità interpretativa, soprattutto nei momenti più drammatici del secondo e terzo atto. L’interpretazione di Tetelman si è rivelata particolarmente raffinata nei momenti di maggiore intensità emotiva, in cui è emersa una cura notevole per il fraseggio e una capacità di immedesimazione nel personaggio. Un poco meno convincente è stato invece il suo canto nel primo atto, durante il quale ha un poco stentato a piegare il suo sontuoso mezzo vocale, prima all’intimità di “Recondita armonia”, per cui sarebbero stati auspicabili una maggior morbidezza e accenti più lievi, poi alla sensualità del duetto con Tosca, gestito con un’eccessiva rigidità. In questo brano, Cavaradossi canta il proprio amore per Tosca in un contesto sacro, e, in tale ambientazione, un canto più dolce e contenuto avrebbe reso maggior giustizia alla scena. Ciò non ha però compromesso la qualità complessiva della sua interpretazione. Con il progredire dell’opera, Tetelman ha anzi dimostrato una crescente padronanza espressiva e una sensibilità di modulazione più accurata, specialmente nell’atto di Castel Sant'Angelo, in cui ha saputo infondere alla voce una morbidezza struggente, regalando al pubblico una versione di Cavaradossi, tanto eroica, quanto fragilmente umana. Qui, il suo canto è stato attraversato da una sottile vulnerabilità, rendendo toccante il famoso “E lucevan le stelle” e sottolineando la rassegnazione del personaggio di fronte al proprio destino.
Il baritono Ludovic Tézier, che aveva fatto preoccupare il pubblico dopo l’annuncio di un'indisposizione che lo aveva colpito e che lo aveva costretto a rinunziare alla recita di giovedì, è tornato con forza a incarnare il barone Vitellio Scarpia. E lo ha fatto in maniera impeccabile, da grande cantante e da intelligente interprete quale è. La sua presenza vocale è stata imponente fin dal suo ingresso in scena e il pubblico ha potuto apprezzare uno Scarpia assolutamente perfetto: complesso e stratificato, lontano dai cliché che tendono a caratterizzarlo come un semplice villain burbero e truce o, peggio, come un Orco di maniera. Tézier è, a ragione, considerato tra i migliori Scarpia del panorama operistico mondiale contemporaneo, e la sua interpretazione ha confermato pienamente questo riconoscimento. Il baritono francese ha saputo interpretare Scarpia, non solo come un soggetto malvagio, ma come un personaggio di rango nobiliare, quale è realmente al di là delle sue azioni, dotato di un’astuzia raffinata e di una malvagità velata da una patina di falsa aristocrazia. Con un approccio che richiama alla memoria il grande Renato Bruson, Tézier ha impersonato un personaggio viscido, subdolo, capace di un’agghiacciante compostezza. Questa scelta stilistica è emersa in particolare nel Te Deum, in cui la sua voce, avvolgente e potente, ha dominato la scena, creando un contrasto inquietante tra la solennità religiosa del coro e la crudeltà insita nel suo personaggio, fatta emergere sempre con moderazione tramite qualche accento più marcato. La scena con Cavaradossi nel secondo atto è stata un altro momento di grande intensità. Tézier ha reso perfettamente la combinazione tra il sadismo e la mellifluità del barone, bilanciando trasporto e ferocia in modo da mantenere il personaggio sempre credibile e mai caricaturale. Qui, la sua voce ha rivelato una straordinaria gamma di sfumature, passando da toni insinuanti e ingannevoli ad esplosioni di pura rabbia e di desiderio di potere. La bellissima voce di Tézier, duttile e straordinariamente potente, ha giocato un ruolo cruciale in questa interpretazione. Anche dopo l'indisposizione, il baritono francese ha sfoggiato un controllo impeccabile del fraseggio e un'intonazione cristallina, con un timbro caldo che ha riempito la sala. La sua padronanza tecnica gli ha permesso di giocare con le dinamiche vocali, rendendo la sua interpretazione una lezione di maestria vocale e di stile.
Attorno ai protagonisti è poi gravitata un’eccellente compagine di altri artisti, tutti eccellenti e consapevoli dei loro ruoli. L’unico nome un po’ più conosciuto, forse, rispetto agli altri, anche perché già presente l’anno scorso nel cartellone dell’Accademia come basso nella Messa da Requiem di Verdi con il maestro Pappano, è quello di Giorgi Manoshvili, che, reduce da un’Attila in terre verdiane, ha impersonato il ruolo di Cesare Angelotti. Manoshvili, che si può definire quasi "sprecato" per un ruolo così ridotto, si è prodigato con grande serietà interpretativa ed eccellente tecnica di canto, sfoggiando la sua bella voce intonata ed elegante.
Anche Davide Giangregorio è apparso perfetto nel ruolo del Sagrestano, eseguito senza gli accenti "buffi", spesso marcati in modo eccessivo o inappropriato, e con serietà ed eleganza, oltre che con ottima voce e notevole intonazione. Molto bravo è stato anche Nicolò Ceriani come Sciarrone, reso con austerità e professionalità.
Hanno completato bene il cast anche Costantino Finucci (Un Carceriere) e Alice Fiorelli (Un pastore).
Altro punto di forza della serata è stato infine il maestro Daniel Harding, nel suo debutto in Tosca, a cui ha portato una lettura profondamente personale e distinta rispetto a quella del suo predecessore Antonio Pappano, differenziandosi soprattutto per la costruzione della tensione narrativa e per la resa orchestrale diversamente raffinata. Il maestro Harding ha proposto una lettura minuziosa e attenta al dettaglio, mettendo a frutto la sua esperienza di sinfonista e dimostrando grande padronanza nella gestione di ogni sezione strumentale. Questa meticolosità si è tradotta in un'orchestrazione ricca di sfumature e in una direzione che ha garantito coesione impeccabile anche nei momenti di maggiore complessità. La scelta dei tempi, tendenzialmente dilatati e scanditi con precisione assoluta, ha donato alla partitura un respiro apprezzabilmente nuovo, spezzato solo da qualche sporadico accelerando. Il suono orchestrale, sempre nitido e intenso, ha trasmesso una tensione continua, riuscendo a sostenere la narrazione anche in assenza di un apparato scenico su cui appoggiarsi.
L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha confermato ancora una volta di essere, a ragione, tra le migliori orchestre italiane, se non la migliore in assoluto, grazie a una versatilità che le consente di brillare anche in un repertorio che esula dalla tradizionale programmazione sinfonica. La sua capacità di esaltare le qualità melodiche di Puccini ha contribuito in modo determinante ad una Tosca ricca di colori e intensità, più viva e avvolgente di quanto spesso accade nelle esecuzioni delle orchestre in buca. In questo contesto, la resa orchestrale ha assunto un ruolo di protagonista assoluto. Eccellenti sono state le sezioni degli archi, morbidissimi in ogni passaggio, e degli ottoni, potenti e perentori. In particolare, nel Te Deum la prestazione degli ottoni è stata resa ancora più travolgente da alcuni "rinforzi" di corni e tromboni posizionati in prossimità del coro.
Un elogio speciale merita anche il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, preparato dal maestro Andrea Secchi, la cui prestazione è stata semplicemente superlativa. Potente, preciso e capace di una coesione rara, il coro ha raggiunto il culmine nel maestoso Te Deum, un momento in cui la sala è stata letteralmente travolta dalla potenza e dalla tensione della musica, in una resa che ha saputo rendere giustizia alla solennità del momento.
L'intera serata, di fatto, è stata un successo eccezionale e assolutamente meritato, un degno coronamento di queste tre recite di questa Tosca, costruita e realizzata come meglio non si potrebbe fare ai giorni nostri. Il pubblico ha tributato ai protagonisti interminabili applausi, non di rado, però, iniziati troppo precocemente, tanto da interrompere l’esecuzione dell’opera e da turbare inopportunamente il rigore agogico del maestro Harding, che ha invece rispettato fedelmente la volontà di Puccini, il quale non chiude mai l'aria con il silenzio, ma lascia proseguire l'opera. Al punto che lo stesso Tetelman, ad un certo punto, ha avvertito di dover invitare il pubblico al silenzio, con un gesto garbato, ma inequivocabile, anche perché non venisse disturbata la registrazione che era in corso. Nulla di questo, però, ha turbato l’eccezionalità della serata.