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Madama Butterfly • Gatti

  • Lorenzo Giovati
  • 4 nov 2024
  • Tempo di lettura: 6 min

Firenze, Teatro del Maggio. 2 Novembre 2024.

In una splendida domenica fiorentina, al Teatro del Maggio, è andata in scena l'ultima rappresentazione di una nuova produzione di Madama Butterfly, capolavoro di Giacomo Puccini, che segna anche la conclusione del periodo di Daniele Gatti come direttore principale del Maggio, prima di prendere le redini del Teatro alla Scala di Milano.


Ed è stata proprio la direzione di Daniele Gatti il vero fulcro musicale dello spettacolo. Il maestro milanese, già noto al pubblico di Firenze come interprete pucciniano per la sua eccellente Tosca, ha dimostrato ancora una volta il proprio spessore, mettendo in luce una rara capacità di coniugare rigore analitico e profondità espressiva. In questa esecuzione, ogni frase, ogni accento sono sembrati frutto di uno studio accurato, quasi microscopico, del dettaglio orchestrale, che ha permesso di rendere limpido e naturale il tessuto melodico. Nel primo atto, le melodie scorrevano con fluida spontaneità, senza mai cadere nella ricerca dell'effetto di maniera. Gatti ha saputo mantenere il controllo dell'emotività, preservando un tono raffinato e contenuto, capace però di esplodere nei momenti di climax, coinvolgendo l’ascoltatore. L'effetto è stato quello di un'interpretazione intima ed elegantissima, capace di far risuonare ogni sfumatura emotiva, dalla delicatezza alla passione più intensa. Il finale, invece, ha mostrato un lato sorprendentemente diverso. Gatti ha abbandonato l’approccio fluido e melodico, scegliendo una resa asciutta, dove gli attacchi orchestrali diventavano improvvisi e incisivi, quasi sferzanti. Questa scelta ha evocato atmosfere tipiche delle grandi opere del Novecento di Strauss, raggiungendo una tensione drammatica che si avvicinava a una concezione quasi sinfonica della partitura. Ne è risultato un contrasto affascinante tra la delicatezza dei primi atti e la severità del finale. Gatti si è quindi riconfermato un eccellente direttore d'orchestra, soprattutto nel repertorio pucciniano o tardo ottocentesco, non però un maestro concertatore del tutto ineccepibile. Alcuni momenti dell’opera hanno rivelato una certa dissonanza tra l’orchestra e il palcoscenico, a cui sono a tratti mancate delle indicazioni (in fase di prova), soprattutto sul percorso stilistico da seguire. Questo è emerso in modo particolarmente evidente nel duetto d’amore che chiude il primo atto, che esprime vertici altissimi di dolcezza e intimità, in cui le voci tendevano invece verso una potenza vocale troppo marcata, mentre l’orchestra optava per la leggerezza delle melodie. Questo divario ha creato delle piccole scollature che, seppur non hanno compromesso totalmente l’efficacia del momento, ne hanno però limitato la magia. Un altro passaggio delicato che ha avuto un esito incerto è stato il celebre "coro a bocca chiusa", per cui Gatti ha scelto un tempo dilatato, regalando una dimensione sognante e sospesa al pezzo. Tuttavia, per quanto intonato e sincronizzato con l’orchestra, il coro è sembrato carente di presenza sonora e di proiezione, risultando quasi impercettibile. Un vero peccato, se si considera che il Coro del Maggio è un'eccellenza assoluta. Tale scelta interpretativa, sebbene intrigante per la sua delicatezza, ha rischiato di penalizzare l’impatto di una delle scene più poetiche dell’opera.


Superlativa è stata la prova dell'Orchestra del Teatro del Maggio Musicale, grazie ad un velluto sonoro raffinatissimo, che alterna tra momenti di potenza a momenti di leggerezza quasi incorporea, con particolare riferimento ad una sezione degli archi straordinaria.


Il coro del Teatro del Maggio preparato dal maestro Lorenzo Fratini, di cui si è già in parte scritto, è stato eccellente, soprattutto nel primo atto.


Anche la componente vocale è stata di ottimo livello.

Un vero trionfo si può definire quello ottenuto dalla giovanissima e talentuosa Carolina López Moreno, che ha saputo incarnare il difficile ruolo di Cio-Cio-San con notevole bravura. Il soprano dispone di un timbro limpido, quasi cristallino, che risulta estremamente piacevole e ben controllato in termini di emissione e supporto tecnico. Nonostante qualche lieve asprezza nel registro acuto, la sua intonazione è sempre rimasta impeccabile e il suo fraseggio curato. Ciò le ha permesso di conferire al personaggio una forte coerenza stilistica e musicale. L’interpretazione della López Moreno è stata anche molto coinvolgente, caratterizzata da una sensibilità che, pur riservando alcuni momenti di leggera introspezione, si è fatta ampiamente apprezzare per la chiarezza e la partecipazione emotiva. La sua Cio-Cio-San ha saputo mantenere una presenza scenica magnetica e matura, dimostrando una sicurezza e una padronanza del palcoscenico che non si riscontra spesso in artisti di così giovane età. Il soprano è riuscita a tradurre nel canto una sincera vulnerabilità, trasmettendo al pubblico un'ampia gamma di sfumature emotive che hanno reso il personaggio estremamente umano e toccante.


Al suo fianco, Marvic Monreal ha dato vita a una Suzuki ben caratterizzata. Interpretativamente spontanea e sincera, ha saputo affiancare Cio-Cio-San con naturalezza, creando un’ottima intesa scenica con la López Moreno. Vocalmente la Monreal si è distinta per una linea di canto pregevole. Seppur la sua vocalità, con una timbrica leggermente scura, non sia sempre risultata perfettamente congeniale al personaggio, l’interpretazione ha comunque beneficiato della sua intonazione precisa e di una calda presenza emotiva, che hanno contribuito a rendere la figura di Suzuki viva e autentica.


Piero Pretti, che ha sostenuto nelle recite precedenti il ruolo di Pinkerton, è stato sostituito (in modo programmato) in questa ultima recita dal giovane Vincenzo Costanzo, uno dei più interessanti tenori della sua generazione. Costanzo ha, fin dalla prima scena, mostrato un ottimo squillo ed un’eccellente intonazione. La sua linea di canto, schietta e franca, non gli ha però pienamente consentito di raggiungere una morbidezza vocale tale da rendere in modo del tutto convincente il duetto d'amore che chiude il primo atto. Decisamente migliore è apparsa la prestazione nell'ultima parte dell'opera, dove l'aria "Addio fiorito asil" è stata interpretata con trasporto. Nel complesso l'interpretazione è stata però pregevolissima, supportata anche da un'ottima presenza scenica.


Un eccellente artista e un consumato professionista si è riconfermato Nicola Alaimo, che ha saputo impersonare uno Sharpless di notevole intensità. Pur essendo più noto per i ruoli buffi come Don Pasquale, Figaro e Falstaff, Alaimo si è dimostrato estremamente a suo agio nei panni del console americano, evidenziando una sorprendente capacità di introspezione. Ha restituito al pubblico un personaggio sensibile e complesso, coinvolto nella tragedia di Cio-Cio-San e capace di trasmettere i suoi tormenti interiori con profondità e partecipazione. Vocalmente ineccepibile, Alaimo ha messo in luce una linea vocale fluida e un controllo espressivo che hanno valorizzato il suo timbro rotondo e la sua intonazione precisa. La sua interpretazione, arricchita da una morbidezza nell’emissione e da una tecnica sicura, ha coniugato qualità vocali e profondità interpretativa.


Ottimo è stato anche il Goro di Oronzo D'Urso, mai eccessivamente caricaturale, ma vocalmente accurato e scenicamente di ottima presenza. Come parimenti ottima è stata anche la compagine dei comprimari, formata da Elizaveta Shuvalova (Kate Pinkerton), Bozhidar Bozhkilov (Lo zio Bonzo), Giovanni Mazzei (Yakusidé), Davide Sodini (Il commissario imperiale), Egidio Massimo Naccarato (L'ufficiale del Registro), Nadia Pirazzini (La madre), Thalida Marina Fogarasi (La zia), Paola Leggeri (La cugina) e Min Kim (Il Principe Yamadori), a cui va una menzione speciale per una pregevolissima voce scura ed intonata.


La regia di Lorenzo Mariani, infine, si è rivelata un autentico esempio di intelligenza, di suggestione e di bellezza, distinguendosi per una visione raffinata e innovativa nel panorama delle regie d’opera. Del tutto priva delle convenzionali "cineserie", che spesso caratterizzano le produzioni più tradizionali, Mariani ha saputo reinterpretare l’ambiente orientale con un’eleganza minimalista, allontanandosi da un Giappone stereotipato per creare invece uno spazio evocativo, ricco di suggestioni simboliche (di facile comprensione) e universali. La sua regia ha saputo coniugare la bellezza estetica e un utilizzo intelligente e creativo degli spazi scenici. Fondamentale è stato anche l’uso delle luci, dosato con grande maestria per esaltare i momenti salienti e sottolineare i cambiamenti emotivi della trama. Anche il lavoro sui costumi ha svolto un ruolo cruciale. In questo modo, la regia di Mariani è riuscita a conferire all’opera un equilibrio perfetto tra innovazione e coerenza narrativa.


In sintesi, questa Madama Butterfly al Teatro del Maggio si è distinta per una preziosa direzione musicale e per una cura scenica che hanno valorizzato l'opera con grande intelligenza. La direzione di Gatti ha offerto un’interpretazione precisa e raffinata, mentre il cast vocale, con una toccante Carolina López Moreno, ha portato in scena una rappresentazione intensa e coinvolgente. La regia di Mariani, con la sua estetica essenziale, ha saputo creare un’atmosfera evocativa, rendendo questa produzione un’esperienza apprezzabile. Alla fine, scroscianti e meritati applausi per tutti, oltre ad una timida standing ovation per la protagonista.



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