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Le Nozze di Figaro • Manacorda

  • Lorenzo Giovati
  • 5 gen
  • Tempo di lettura: 4 min

Zurigo, Opernhaus. 2 Gennaio 2025.

In una piovosissima serata zurighese, alla Opernhaus è andata in scena l’ultima rappresentazione de Le nozze di Figaro, capolavoro di Wolfgang Amadeus Mozart, affidata alla direzione del maestro Antonello Manacorda.


È stato proprio il maestro Manacorda a imprimere energia e carattere alla serata, assicurando la riuscita dello spettacolo, grazie ad una direzione trascinante e al tempo stesso raffinata. La sua lettura dell’opera ha saputo cogliere il delicato equilibrio tra la leggerezza e la profondità, tra il brio dei momenti più giocosi e la dolcezza di quelli più lirici. La scelta dei tempi si è rivelata sempre attentamente studiata: i recitativi, ad esempio, sono stati gestiti con naturalezza e con freschezza, favorendo il ritmo narrativo, senza mai risultare meccanici. Tuttavia, alcune scelte non hanno mancato di destare qualche perplessità: nelle due arie di Cherubino e nella prima aria della Contessa “Porgi amor, qualche ristoro”, il maestro Manacorda ha optato per un tempo molto rapido, che ha talvolta sottratto spazio all’espressività dei cantanti, alla naturalezza dell’interpretazione e all’intensità del momento scenico. Al contempo, Manacorda ha saputo valorizzare assai bene anche i passaggi più solenni e complessi, come la marcia nuziale del terzo atto, che ha scandito con un tempo non particolarmente veloce, ma ricco di tensione e carica emotiva. Il finale del secondo atto, con i suoi continui ribaltamenti emozionali e dinamici, è stato condotto con grande maestria: Manacorda ha saputo mantenere chiarezza e trasparenza nel tessuto orchestrale, garantendo un perfetto dialogo tra orchestra e cantanti. La Philharmonia Zürich gli ha risposto magnificamente, sfoggiando un suono energico e vibrante, ma sempre curato e preciso, in perfetta sintonia con la visione del maestro.


Anche il Chor der Oper Zürich, preparato dal maestro Ernst Raffelsberger, ha offerto una pregevolissima prestazione, anche laddove un piccolo scollamento con l’orchestra alla fine del terzo atto è stato recuperato con celerità.


La direzione di Manacorda si è rivelata quindi fondamentale per assicurare l’equilibrio generale di uno spettacolo, che, sul fronte vocale, ha invece palesato momenti alterni.


Tra gli interpreti si è distinto il Conte d’Almaviva di André Schuen, che ha unito, a una presenza scenica magnetica e autorevole, una vocalità apprezzabile per controllo e per intonazione. Schuen si è dimostrato anche il migliore tra gli interpreti nel padroneggiare la lingua italiana e il complesso fraseggio del libretto di Da Ponte, regalando una performance di rilievo.


Meno convincente è stata la Contessa d’Almaviva di Olga Bezsmertna, che ha palesato difficoltà tecniche fin dalla sua aria d’esordio “Porgi amor, qualche ristoro”. Problemi di controllo dell’emissione e intonazioni non di rado crescenti si sono ripresentati anche nell’intensa “Dove sono i bei momenti”, in cui l’alleggerimento sul fiato ha rappresentato una sfida non sempre superata. Nonostante queste incertezze vocali, la Bezsmertna ha comunque compensato con una notevole presenza scenica, riuscendo a mantenere un equilibrio convincente con il Conte e a distinguersi nettamente da Susanna.


Il ruolo di Figaro è stato ricoperto dal giovane baritono Andrew Moore, che ha affrontato con lodevole impegno le insidie tecniche e interpretative di una parte complessa. La sua vocalità, pur non particolarmente voluminosa, si è distinta per una buona omogeneità e per un controllo sicuro, che gli hanno permesso di affrontare agevolmente, sia i momenti più lirici, che quelli più brillanti. Moore ha delineato un Figaro più misurato, che istrionico, ma comunque sempre credibile e coerente. Nonostante la giovane età, ha dimostrato una pregevole maturità interpretativa, riuscendo a mantenere sempre viva l’attenzione del pubblico.


Una delle punte del cast è stata la Susanna di Nikola Hillebrand, dotata di una vocalità cristallina e di una perfettamente intonazione, che ha impreziosito la sua interpretazione scenica. L’aria “Deh vieni non tardar” è stata uno dei momenti più toccanti della serata, eseguita con leggerezza e sensibilità incantevoli.


Nei panni di Cherubino, il mezzosoprano Kady Evanyshyn ha offerto una lettura interessante, pur penalizzata da un vibrato a tratti eccessivo, che ha sottratto nitidezza alle due celebri arie. Anche la scelta di tempi serrati da parte del direttore non è parsa aver favorito una piena valorizzazione della sua performance, che ha comunque rivelato uno studio attento del personaggio.


Più opaca è risultata la Marcellina di Irène Friedli, dotata di una vocalità corretta, ma non particolarmente sontuosa. Alcune imprecisioni nel fraseggio e nella dizione non hanno intaccato una presenza scenica vivace e divertente. Similmente, il Bartolo di Jens-Erik Aasbø ha convinto più per l’adeguatezza scenica che per la precisione vocale, penalizzata anche una pronuncia non sempre chiara e da un’emissione talvolta poco spontanea.


Vocalmente preparati e ben calati nei rispettivi ruoli sono apparsi il Don Basilio di Christopher Willoughby e il Don Curzio di Martin Zysset, il quale ha saputo caratterizzare efficacemente il balbettio del personaggio. Delicata e aggraziata è stata la Barbarina di Marie Lombard, mentre Ruben Drole, nel ruolo di Antonio, il giardiniere, ha offerto un’interpretazione grezza, ma funzionale.


La regia di Jan Philipp Gloger ha alternato idee interessanti a scelte meno convincenti, oscillando tra spunti originali e momenti di difficile comprensione. L’ambientazione generale, collocata in un palazzo dove domestici curiosi e quasi onnipresenti interagiscono con l’azione principale, ha offerto un’interpretazione intrigante. La sostituzione del tradizionale boschetto del quarto atto con una soffitta buia, in cui i personaggi si perdono simbolicamente, ha aggiunto un tocco interpretativo interessante. Tuttavia, alcune scelte non hanno convinto, in particolare l’ambientazione del secondo atto, in cui la camera della contessa è stata trasformata in una lavanderia o in uno spogliatoio, privando di una chiara identità visiva e drammatica l’azione scenica. Questa idea non ha, né aiutato lo spettatore nella comprensione della trama, né è servita per sviluppare una qualche originale idea registica. Nonostante ciò, Gloger ha introdotto alcune gag che, pur non sempre coerenti con il contesto, hanno contribuito a rendere la rappresentazione complessivamente gradevole. L’innamoramento finale di Marcellina per il giardiniere e l’arrivo del Conte in abiti da polo hanno visibilmente divertito il pubblico.


Al termine della rappresentazione, gli applausi del pubblico hanno suggellato il successo della serata, con particolare entusiasmo per il Conte d’Almaviva e il maestro Manacorda, entrambi protagonisti indiscussi di un’interpretazione che ha lasciato il segno.



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