top of page

Les Contes d’Hoffmann • Manacorda

  • Lorenzo Giovati
  • 18 nov 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Londra, Royal Opera House. 10 Novembre 2024.

Dopo l'apertura con Le Nozze di Figaro, sono seguite altre cinque produzioni nel cartellone della Royal Opera House di Londra, prima di arrivare a questi attesissimi "Racconti di Hoffmann" di Jacques Offenbach.


Dopo essere stata a Venezia per l'inaugurazione della scorsa stagione del Teatro La Fenice e a Sydney, la regia di Damiano Michieletto è finalmente approdata in territorio britannico, dove il regista italiano gode, meritatamente, di una grande fama e dove ha firmato numerosissime regie, spesso di successo. Il suo stile, ben riconoscibile per l’uso strategico di elementi scenici dinamici, come edifici rotanti o prospettive complesse, emerge in questa produzione con una forza visiva e narrativa straordinarie. In questo caso, la scena diventa un viaggio attraverso i ricordi del protagonista, raccontato tramite un uso calibrato di colori, luci e prospettive, che trasportano il pubblico in una dimensione tra realtà e allucinazione. Ogni quadro visivo è una rielaborazione surreale delle esperienze amorose di Hoffmann: dall’amore per Olympia, qui rappresentato in un’atmosfera scolastica, alla struggente tragedia di Antonia, fino al salotto, in cui Giulietta trascina Hoffmann in un abisso di seduzione. L’allestimento si arricchisce di dettagli e di trovate sceniche che spaziano dal carnevalesco al visionario: numeri e formule matematiche proiettate si materializzano in scena durante la chanson di Olympia, creando un effetto di grande impatto; nel secondo atto, un toccante gioco di specchi tra Antonia e figure femminili di diverse età suggerisce con delicatezza la fragilità del tempo. L’atto di Giulietta, invece, colpisce per la potenza simbolica delle immagini: uno specchio girevole imprigiona Hoffmann, mentre un corpo senza volto emerge come proiezione della sua stessa frattura interiore. Costumi sgargianti e dettagliati completano un quadro di grande ricchezza visiva. Il risultato è una regia che unisce intelligenza e intrattenimento, rispettando pienamente lo spirito dell’opera, senza ricorrere ad inutili stravolgimenti. Divertente, toccante e visivamente splendida, questa produzione fa veramente onore all’opera di Offenbach.


La direzione del maestro Antonello Manacorda, che aveva dato forfait alla messa in scena veneziana, torna trionfalmente alla Royal Opera House, dove il direttore italiano, stabilito a Potsdam, è ormai una presenza stabile e apprezzata. La sua interpretazione di Les Contes d’Hoffmann si è distinta per una freschezza e una leggerezza che non sacrificano mai l'accuratezza tecnica, né l'intensità narrativa. Il maestro Manacorda è riuscito a cogliere l’essenza dello stile francese, con una trasparenza orchestrale che ha evidenziato la raffinatezza del tessuto musicale e il gusto per i dettagli dinamici e agogici, valorizzando le tinte brillanti e l'inventiva melodica di Offenbach. Nel secondo atto, la scena culminante tra Hoffmann e Giulietta ha brillato sotto la sua bacchetta grazie ad un sapiente equilibrio tra slancio drammatico e delicatezza lirica. Manacorda ha creato un senso di tensione che è esploso nel finale, regalando momenti di pura magia musicale, con un’orchestra che ha sostenuto i cantanti, senza mai sovrastarli. La celebre Barcarole, poi, è fluita con una grazia sognante, mantenendo quel velo di malinconia che preannuncia il destino del protagonista. Ma è stato nel gran finale che la direzione ha toccato l’apice. L’epilogo, con il ritorno al Leitmotiv della solitudine di Hoffmann, è stato condotto con una precisione che non è mai stata meccanica, ma sempre profondamente espressiva. Il maestro Manacorda ha dosato sapientemente il pathos, facendo emergere l’ambiguità tra ironia e tragedia che permea l’opera.


L'Orchestra della Royal Opera House ha suonato generalmente molto bene, sfoggiando un suono rotondo, molto preciso nelle intonazioni e sensibile agli attacchi del direttore. In particolare, la sezione dei legni e delle percussioni sono state eccellenti.


Anche il Royal Opera Chorus, preparato dal maestro William Spaulding, è stato eccellente per precisione dei propri interventi e coesione.


Non meno pregevole è stato il cast vocale ben coeso e assemblato con cura.

Su tutti ha primeggiato il poeta Hoffmann di Juan Diego Florez, artista di meritata fama mondiale. Il tenore peruviano, che non è un avvezzo frequentatore di questo repertorio, ha però mostrato notevole padronanza della linea di canto, sempre elegante, pulita ed agile. Nonostante il suo mezzo sia leggermente sottile e non particolarmente caldo nei passaggi più romantici, la classe con cui ha definito il personaggio nella sua evoluzione psicologica è stata strepitosa.


Già presente nella produzione Veneziana, è ritornato nei panni dei cattivi della storia (Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle e Dappertutto) il baritono Alex Esposito. Ciò che più colpisce lo spettatore fin dalla prima scena è la sua capacità di calcare il palcoscenico, con doti attoriali spiccatissime, che gli permettono di impersonare un cattivo demoniaco, ma allo stesso tempo ironico nei movimenti. Ha poi messo in mostra anche una voce splendida e sicurissima nell'intonazione, nella modulazione e nell'espressività. La sua è stata quindi un’interpretazione che è destinata ad entrare negli annali delle migliori interpretazioni del presente e che facilmente eguaglia quelle dei "grandi" del passato, come, ad esempio, Gabriel Bacquier.


I tre ruoli femminili sono stati, giustamente a causa della loro enorme differenza, ripartiti su tre interpreti differenti.


In ordine, la bambola Olympia è stata portata in vita dalla bravissima Olga Pudova. Il soprano russo si è rivelata perfetta per il ruolo, sia per la sua presenza scenica precisissima e credibilissima nei movimenti, sia per una voce agilissima, curatissima nell'intonazione e generalmente bella, anche nei registri intermedi. Da rimarcare è stato anche un ottimo fraseggio e una memorabile esibizione della famosissima aria "Les oiseaux dans la charmille", iconica per la sua difficoltà. La Pudova ha qui dato sfoggio di tecnica sopraffina, di intonazioni impeccabili (soprattutto negli acuti) e di una notevole interpretazione. Gli applausi, anche a scena aperta, sono quindi arrivati calorosi per un'esibizione di eccellente qualità.


Il secondo amore di Hoffmann, Antonia, è stato impersonato da Ermonela Jaho, di casa alla Royal Opera. Delle tre donne, quello di Antonia è forse il personaggio che presenta più insidie, non tanto dal punto di vista vocale, quanto da quello interpretativo e psicologico, su cui Offenbach pare avere posto molta più cura rispetto ad Olympia e Giulietta. In questo, il soprano albanese ha brillato per la sua classe e per l’eccellente comprensione del personaggio. Vocalmente, dispone di una voce dalla linea elegante e ben calibrata, anche se non sempre piacevolissima nel timbro. La generosità del mezzo e la cura del fraseggio hanno però confermato la performance come eccellente. Di grande qualità è stata anche la presenza scenica, non facile nella regia di Michieletto, poiché Antonia è costretta a percorrere grandi distanze senza l'utilizzo delle gambe (a causa della disabilità caratteristica del personaggio) e cadendo di frequente.


Ultima, ma non per importanza, la Giulietta di Marina Costa-Jackson. Per caratteristiche proprie dell'opera, dopo le prove di agilità di Olympia e la commovente morte di Antonia, il personaggio di Giulietta non è il più caratteristico. Tuttavia, il soprano statunitense ha saputo elevarne la presenza scenica, conferendole sensualità e malinconia. Nonostante qualche incertezza nel registro basso, l'interpretazione è apparsa eccellente e la voce precisa nelle intonazioni e particolarmente adatta al ruolo per colore e volume.


Eccellente è stato anche il Nicklausse di Julie Boulianne, che ha sfoggiato un canto morbido, intonato e interpretativamente caratterizzato. Brava anche Christine Rice nei panni della Musa. Scenicamente di ottima presenza il Luther di Jeremy White, seppur a tratti non completamente in voce. Christophe Mortagne è stato un maestro di ballo scenicamente e interpretativamente simpatico, oltre che vocalmente adatto. Molto bene hanno fatto lo Spalanzani di Vincent Ordonneau e il Crespel di Alastair Miles.


Questa produzione di Les Contes d’Hoffmann alla Royal Opera House è  quindi stato  un trionfo. Ogni elemento, dalla regia visionaria alla direzione orchestrale, dai costumi vivaci alle performance straordinarie del cast, ha contribuito a creare uno spettacolo memorabile.



  • Instagram
  • Facebook

Powered and secured by Wix

bottom of page