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Janacek, Bartok e Beethoven • Petrenko

  • Lorenzo Giovati
  • 23 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Bologna, Teatro Manzoni. 17 Ottobre 2025.

Era attesissimo l’ultimo appuntamento del Bologna Festival 2025, inaugurato trionfalmente con il maestro Riccardo Muti alla guida dei Berliner Philharmoniker. Sul podio, questa volta, è salito il maestro Kirill Petrenko, direttore principale della compagine berlinese e unanimemente riconosciuto come uno dei migliori direttori d'orchestra del momento. L’ex direttore artistico dello Staatsoper di Monaco è da tempo amato dal pubblico italiano, che ha avuto occasione di seguirlo in varie sedi prestigiose: dall’Accademia di Santa Cecilia a Roma al Teatro alla Scala, in un memorabile Rosenkavalier di Strauss, dal Ravenna Festival con la Gustav Mahler Jugendorchester all’Auditorium Rai di Torino, dove con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai ha instaurato un rapporto di profonda intesa artistica. Proprio con quest’orchestra il maestro Petrenko è tornato in Italia per un programma, tanto singolare, quanto affascinante.


Viene da pensare che il maestro Petrenko utilizzi l’Italia come banco di prova per le sue interpretazioni più meditate. Non è un caso che a fine ottobre abbia in programma di proporre gli stessi brani di Janácek e di Bartók con i Berliner Philharmoniker, mentre la Seconda Sinfonia di Beethoven sarà al centro dell’Europakonzert del 1° maggio 2026 all’Esterházy Palace, in Austria. Lo stesso schema si è già ripetuto in passato: a Santa Cecilia, lo scorso giugno, il maestro Petrenko aveva diretto la Prima Sinfonia di Brahms, poi scelta per inaugurare la stagione berlinese, e l’anno precedente era accaduto lo stesso con la Quinta di Bruckner e prima ancora con la Nona di Beethoven. Un percorso di continuità che conferma come l’Italia rappresenti per il maestro un terreno di affinamento artistico, dove il confronto con orchestre diverse gli consente di scolpire la propria visione prima di trasferirla sul palcoscenico della sua orchestra principale. 


Il concerto si è aperto con le Lachische Tänze di Leos Janácek, che il maestro ha diretto con vigore trascinante e con  una vitalità ritmica di impressionante coerenza. Le danze più rapide, in particolare la prima, la terza e la sesta, hanno brillato per incisività e per colore, mentre quelle più lente si sono distinte per l’eleganza della linea e la morbidezza del fraseggio. Sin dai primi istanti è apparso evidente il controllo assoluto che il maestro Petrenko esercita sull’orchestra: ogni gesto, calibrato con minuziosa precisione, rifletteva con esattezza il risultato sonoro, in un perfetto equilibrio tra rigore agogico e libertà interpretativa. Un’esecuzione di grande tensione espressiva.


È seguita la suite dal Mandarino meraviglioso di Béla Bartók, vertice di complessità ritmica, di crudezza espressiva e di immaginazione timbrica. Il maestro Petrenko ne ha offerto una lettura magnetica, in cui la densità delle trame orchestrali si è unita a una chiarezza d’insieme assoluta. L’esotismo delle sonorità, con il loro carattere seducente, è emerso in tutta la sua forza, sostenuto da un controllo ferreo delle masse sonore e da un’attenzione assoluta ai dettagli. La tensione drammatica, sempre crescente, ha trovato sbocco in un finale di straordinaria potenza e di stupefacente precisione ritmica, risultando travolgente, ma mai caotico. L’orchestra ha risposto con compattezza e prontezza, regalando una resa di altissima qualità timbrica. Il pubblico, travolto dall’intensità dell’esecuzione, ha accolto il maestro con un entusiasmo incontenibile, tributandogli lunghi applausi e numerosi richiami sul podio.


Nella seconda parte è risuonata la Sinfonia n. 2 di Beethoven, proposta con un equilibrio e una consapevolezza che raramente si riscontrano in questo repertorio. Diversamente da altre interpretazioni beethoveniane del maestro Petrenko, spesso improntate a un gesto un poco nervoso e a un suono tagliente, qui egli ha invece scelto una via di maggiore cantabilità e più disteso respiro, pur mantenendo l’energia strutturale che contraddistingue il suo stile. Nel primo movimento ha imposto un andamento serrato, ma limpido, costruendo l’architettura sonora con precisione quasi geometrica, senza però rinunciare a un certo calore nel fraseggio. Nel Larghetto la linea melodica ha respirato con eleganza, distesa su un tempo più rapido del consueto, ma dal carattere luminoso, quasi mozartiano, in cui ogni flessione dinamica era calibrata con estrema finezza. Lo Scherzo ha brillato per coesione ritmica e leggerezza, animato da un senso di gioco che raramente emerge con tale naturalezza; mentre nel Finale Petrenko ha ritrovato quella forza propulsiva e quella lucidità d’insieme che sono la sua firma, conducendo l’orchestra verso una chiusura radiosa, dominata da una tensione formale che non ha mai perso eleganza.


L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai ha dato prova di compattezza e disciplina straordinarie: un suono levigato, omogeneo, privo di sbavature, con archi di eccezionale morbidezza e fiati sempre pronti e incisivi. Una prestazione di altissimo livello, degna delle migliori compagini internazionali.


Il concerto si è chiuso in un tripudio di applausi e di "bravo" indirizzati al maestro Petrenko: un successo pieno, meritato e, soprattutto, musicalmente memorabile.


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