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Falstaff • Bernacer

  • Lorenzo Giovati
  • 9 mar
  • Tempo di lettura: 6 min

Genova, Teatro Carlo Felice. 7 Marzo 2025.

La sesta opera della stagione del Teatro Carlo Felice, nonché la seconda incursione nel repertorio verdiano, ha portato in scena Falstaff, l’ultima e scintillante commedia musicale ante litteram del compositore de Le Roncole, che costituisce sempre una sfida impegnativa, sia per il cast, sia per l’orchestra, in ragione del carattere non convenzionalmente “buffo” dell’opera e del suo raffinato intreccio musicale.


Al centro della serata vi è stata l'ormai storica regia di Damiano Michieletto (ripresa da Andrea Bernard) che, dopo il suo debutto salisburghese, è stata proposta dai maggiori teatri italiani ed esteri, inserendosi tra gli allestimenti più quotati per quest'opera. Anche in quest'occasione, l’impianto registico si è confermato di pregevolissimo livello, sia per la geniale idea di ambientare l’azione scenica in una (molto ben ricostruita) Casa di Riposo per Musicisti, fondata dal maestro Verdi e da lui non a caso ritenuta la sua "opera più bella", sia per la felice collocazione dell’azione medesima, non di rado arricchita da dettagli poetici, tra giovinezza e  maturità, tra memoria e attualità, tra nostalgia e realtà, nel pieno e genuino spirito dell’opera. Alcune scelte sceniche hanno certamente riscritto momenti cardine del libretto, come la celebre caduta di Falstaff nel Tamigi, qui sostituita da un getto di coriandoli blu che gli viene rovesciato addosso, ma ciò non ha disturbato la narrazione teatrale, anche grazie alla proposta di soluzioni alternative visivamente d'impatto, che hanno trasformato il momento in una beffa surreale, ma anche inaspettata. Allo stesso modo, altre scene poetiche sono state amplificate da tocchi registici di grande sensibilità, come l'innamoramento di Nannetta e Fenton, sempre accompagnati da una coppia di anziani innamorati, così da sottolineare il ruolo fondamentale che l’amore assume nella vita delle persone, ma anche il suo evolversi nelle varie età della vita. Tra le intuizioni più riuscite è spiccata la scena in cui Falstaff pronuncia la frase "Tutto declina. Non c'è più virtù", in cui, nel disincanto, il protagonista imbraccia un celebre ritratto di Verdi, come se fosse il compositore stesso a rivolgersi al pubblico, compiendo un gesto che è sembrato attribuire profondità al riso beffardo dell’opera. Una produzione che quindi si è riconfermata bellissima.


All’altezza è stata anche la componente musicale, guidata da una direzione ispirata del maestro Jordi Bernàcer, subentrato a sostituire il designato maestro Riccardo Minasi. La sua lettura di Falstaff non è forse stata raffinatissima, come ci ha abituato l’ascolto delle grandissime bacchette che con questa fondamentale partitura si sono cimentate, ma ha comunque mostrato una notevole padronanza della scrittura verdiana, mettendone in luce, tanto la freschezza, quanto il sapiente equilibrio tra i vari piani sonori. La sua concertazione è risultata vivida e partecipe, esaltando la leggerezza e l’ironia della partitura, senza mai scadere in un'eccessiva frenesia. Nonostante alcuni momenti di lieve scollamento tra la buca e il palcoscenico, probabilmente dovuti a strette sui tempi che talvolta hanno richiesto aggiustamenti nel dialogo con i cantanti, la direzione ha mantenuto una chiara attenzione alla fluidità della narrazione musicale. Uno degli aspetti più riusciti della lettura di Bernàcer è stata la capacità di valorizzare l’intrinseca teatralità della scrittura orchestrale di Falstaff, che non si limita ad accompagnare il canto, ma dipinge, con suoni e con cadenze, ciò che avviene in scena, amplificando il gioco comico e le dinamiche tra i personaggi. Si pensi, ad esempio, ai giochi timbrici che accompagnano la goffaggine di Falstaff, come i contrabbassi che marcano il suo incedere pesante o gli impasti leggeri e frizzanti degli archi nei momenti di maggiore arguzia delle comari.


L’orchestra del Teatro Carlo Felice, anche grazie ad una guida sicura, ha offerto una prova solida ed apprezzabile, dimostrando cura nella resa timbrica e nell’equilibrio dinamico. Gli archi hanno sfoggiato un suono vellutato e ben calibrato, capace di sostenere con morbidezza i momenti più lirici, senza perdere brillantezza nei passaggi più incisivi. Il volume complessivo è risultato ben dosato, con un’ottima coesione tra le sezioni. Nel complesso, l’orchestra ha seguito con attenzione la concertazione del maestro Bernàcer.


Sul palcoscenico, dopo neanche due mesi dall'ultima recita con Daniele Gatti al Teatro alla Scala, Ambrogio Maestri è tornato ad interpretare il ruolo di Falstaff, a lui molto familiare, questa volta con un esito sensibilmente migliore, forse perché è stato quasi sempre chiamato a cantare in prossimità della buca, e non in fondo al palcoscenico, e forse perché il maestro Bernàcer, con la sua direzione sostenuta, ha meglio aiutato il suo canto, non chiedendogli effetti che oggi gli sono ostici. Al netto di alcuni falsetti non a fuoco e di alcuni acuti raggiunti con difficoltà, il registro centrale di Maestri è apparso decisamente più solido e tornito.


Sempre sul fronte maschile, ha brillato anche il Ford di Ernesto Petti, decisamente a suo agio in questo ruolo, in cui sfoggia un eccellente controllo della voce, sia in termini di volume, sia in termini di intonazione, delineando un Ford autorevole ed impreziosendo la sua interpretazione con un fraseggio scolpito e incisivo. La sua vocalità, solida e franca, gli ha permesso di affrontare con sicurezza anche i passaggi più insidiosi. In particolare, la sua esecuzione di "È sogno? o realtà?" ha colpito per intensità espressiva, ed ha restituito tutta la frustrazione e la gelosia di Ford, con grande partecipazione teatrale. Senza mai scadere in eccessi caricaturali, Petti ha saputo trovare il giusto equilibrio tra l’irruenza del personaggio e un’ironia ben dosata.


Ha positivamente impressionato anche il Fenton di Galeano Salas, che ha affrontato il ruolo con una voce dal timbro cristallino e una linea di canto garbata e sempre intonata. La sua emissione sicura e il fraseggio delicato hanno conferito al personaggio un tono di freschezza e di spontaneità, perfettamente in linea con l’idealismo amoroso del giovane innamorato. Tuttavia, in alcuni momenti, specialmente nel terzo atto, gli è mancata una sufficiente varietà dinamica, il volume è stato spesso sostenuto e poco incline alle sfumature. Al netto di queste sottigliezze, la prova è stata di alto livello.


Sul fronte femminile, il quartetto delle comari si è rivelato particolarmente affiatato, rendendo con vivacità e con ottima intesa scenica il gioco teatrale dell’opera. Ognuna delle interpreti ha saputo dare il giusto carattere al proprio ruolo, contribuendo a rendere la beffa ai danni di Falstaff non solo efficace, ma anche stilisticamente curata. Tra tutte è spiccata l’Alice di Erika Grimaldi, che è parsa spontanea e vitale, oltre che molto ben calata nello spirito della commedia. La sua voce brillante ed estesa ha conferito un tocco di spigliata eleganza al ruolo, senza mai mostrare forzature nell’emissione, né perdere il senso del fraseggio verdiano.


Eccellente è stata anche la Mrs. Quickly di Sara Mingardo, che si è imposta, sia sul piano vocale, sia sul piano interpretativo, realizzando una presenza scenica di grande carisma. Grazie al suo fraseggio sapientemente mellifluo, la Mingardo ha saputo esaltare la venatura comica del personaggio, senza mai scadere nella caricatura, valorizzandone invece qualità come l’astuzia e la furbizia, in grado di tenere testa a Falstaff. Ogni momento è stato reso con un sapiente gioco di colori e di inflessioni, mettendo in luce la duttilità espressiva della cantante.


Altrettanto convincente è stata anche la Mrs. Meg Page di Paola Gardina, che ha offerto un'interpretazione solida ed elegante. La sua vocalità ben timbrata e il fraseggio accurato hanno garantito un apporto prezioso all’insieme. Pur avendo meno occasioni solistiche rispetto alle altre comari, la Gardina ha saputo ritagliarsi il suo spazio con intelligenza, con una gestione equilibrata dei momenti d’insieme e una buona presenza scenica.


La vera sorpresa della serata è stata però la Nannetta di Caterina Sala, cantante giovanissima, ma già dotata di un controllo vocale sorprendente, sostenuto da una tecnica solida e da una spiccata personalità interpretativa. Il suo timbro cristallino ha brillato per purezza e morbidezza, arricchito da un'emissione fluida. La sua aria del terzo atto, "Sul fil d’un soffio etesio", è stata un momento toccante, grazie alle intonazioni perfette e ad una delicatezza che ha saputo rendere il momento magico e sospeso. Una voce decisamente promettente, che lascia intravedere sviluppi interessanti per il futuro.


Ottimo anche il trio dei personaggi “minori”, Bardolfo, Pistola e il Dottor Cajus, che ha saputo conferire ulteriore vivacità alla messa in scena, grazie a un’ottima intesa teatrale e a una resa scenica sempre efficace. Una menzione particolare merita il Bardolfo energico e incisivo di Oronzo D’Urso, che si è distinto per la sua esuberanza scenica e per un’emissione chiara e ben proiettata, e il Pistola divertente e ben a fuoco di Luciano Leoni, che ha saputo modulare la sua interpretazione senza mai cadere nell’eccesso. Meno convincente sul piano vocale il Dottor Cajus di Blagoj Nacoski. L’ottima caratterizzazione del personaggio, sempre divertente e disinvolto, ha comunque compensato alcune carenze vocali.


Nel complesso, pertanto, questo Falstaff ha offerto una serata piacevole, vivace e coinvolgente. Grazie a un cast ben assortito, ad una direzione attenta ai dettagli e a una regia ricca di trovate intelligenti, la produzione si è rivelata estremamente riuscita. Un Falstaff divertente, che ha saputo rendere adeguato omaggio alla genialità dell’ultima opera di Verdi.


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