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Don Giovanni • Muti

  • Lorenzo Giovati
  • 17 minuti fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Milano, Fondazione Prada. 30 Novembre 2025.

Carico di un’attesa, tanto intensa, quanto quasi affettuosa, è stato il ritorno del maestro Riccardo Muti alla Fondazione Prada, luogo che negli ultimi anni ha accolto due edizioni della sua Italian Opera Academy: un Nabucco capace di lasciare un segno impressivo nella memoria degli appassionati e una Norma di rara intensità: due tappe che hanno mostrato quanto la Italian Opera Academy sia un progetto estremamente serio, fondato su uno studio rigoroso, la trasmissione metodica del mestiere e un’autentica responsabilità formativa verso le nuove generazioni. Con la sua Italian Opera Academy, il maestro Muti ha riportato a Milano un laboratorio vivo, un’officina in cui giovani cantanti e l’Orchestra Cherubini possono crescere, comprendere dall’interno il rigore necessario per interpretare le grandi opere italiane. Dieci giorni di lavoro serrato, condotti con cura meticolosa, hanno condotto a un Don Giovanni che, per quanto Mozart fosse austriaco, Muti rivendica, con piena ragione, come opera profondamente italiana: per forma, parola scenica e teatralità. E Milano non può non ricordare, come un bagliore indelebile, il celebre 7 dicembre 1987, quando con la regia di Strehler la Scala propose, sempre anche grazie all’arte del maestro Muti, un Don Giovanni che divenne pietra di paragone.


La direzione del maestro Muti è apparsa meditata e luminosa nel suo rigore, lontana da ogni effetto di maniera. Un Mozart che non pretende di sorprendere con suoni pomposi o con dinamiche esasperate, ma che convince attraverso la purezza del fraseggio, la naturalezza del canto orchestrale, la capacità di far respirare e cantare la musica dall'interno. Quella del maestro Muti è stata una direzione lieve, ma mai debole, piena di dettagli: nei recitativi curati, negli attacchi plasmati con un tocco morbido, nella cura del colore orchestrale. Ne è emerso un Mozart dotato di un'eleganza d’altri tempi; un Mozart costruito sulla parola e sulle tensioni drammatiche, che nel finale ritrova una cupezza non illustrativa, ma profondamente teatrale. L’altro grande merito del maestro Muti è stato quello di aver preparato orchestra e cantanti con disciplina e con sapienza, rendendo l’intero cast coeso, attento, partecipe e stilisticamente appropriato.


L’Orchestra Cherubini gli ha risposto con un suono saldo, intonato e compatto. Qualche rimprovero del maestro nel primo atto non ha intaccato la qualità complessiva: tutte le sezioni hanno mostrato precisione e duttilità, prodigandosi in una lettura pulita. Il suono, mai inelegante o sovraccarico, ha accompagnato il canto con precisione.


Il cast, costruito con intelligenza e preparato con straordinaria attenzione, ha rappresentato una delle sorprese più felici della serata. Non si è trattato di un insieme di nomi altisonanti, ma di artisti capaci di ricreare uno spirito di Don Giovanni completo sotto ogni aspetto: cura dei recitativi, rispetto dei tempi interni, scavo nella parola, padronanza degli accenti. Ne è risultata un’interpretazione di classe generalizzata, classica nel più nobile dei sensi, eppure vivissima.


Nel ruolo di Don Giovanni si è distinto Christian Federici, baritono dal timbro nobile e dal fraseggio elegante, capace di incarnare un seduttore che è insieme raffinato e vitale. La sua linea vocale, sempre piena e ben intonata, ha restituito un personaggio di grande tradizione, sostenuto da un gusto nel porgere la parola che ha valorizzato ogni intervento. Federici ha dato corpo e voce ad un Don Giovanni nobilissimo, fluido nel canto e teatralmente credibile.


Nei panni di Donna Anna, Iwona Sobotka ha offerto una prova solida, valorizzando la scrittura mozartiana con una voce piena, tersa, regolare nei passaggi di registro. La sua emissione controllata e l’eleganza con cui ha affrontato i momenti più tesi le hanno permesso di delineare un personaggio nobile, composto, con accenti drammatici mai eccessivi.


Come Don Ottavio ha brillato Ziga Copi, tenore dal fraseggio pulitissimo e dalla gestione del fiato estremamente matura. La sua voce chiara, mai forzata, ha restituito un Ottavio elegante, stilisticamente ineccepibile, in grado di affrontare le difficoltà della parte con una naturalezza che raramente si ascolta. Copi ha saputo rendere giustizia alla scrittura mozartiana con una musicalità sobria e nobile, rivelandosi interprete centrato e di grande precisione.


Nel ruolo del Commendatore, Andrea Vittorio de Campo ha lasciato il segno grazie alla sua emissione solida e ad una presenza vocale autorevole. Il suo prodigioso materiale vocale potente e sempre timbratissimo, ha conferito al personaggio una statura monumentale. La chiarezza del fraseggio e la sicurezza degli attacchi nei momenti più imponenti hanno contribuito a una resa finale di grande efficacia teatrale.


Nei panni di Donna Elvira si è imposta Marily Santoro, soprano dalla voce penetrante, distinta con naturalezza da quella di Donna Anna. Ha offerto un’interpretazione di grande incisività, sostenuta da una dizione chiarissima e da un lavoro attento sugli accenti e sulle doppie, sempre messe in rilievo con intelligenza. La duttilità del timbro le ha permesso di passare dai momenti più raccolti a quelli più appassionati con una naturalezza ammirevole, mantenendo sempre una linea vocale raffinata. Un’Elvira costruita con intelligenza musicale e pienamente convincente.


Leporello, interpretato da Nahuel di Pierro, ha preso vita in una figura ironica ma mai caricaturale, sostenuta da un materiale vocale pieno e ben distinto da quello del protagonista. Di Pierro ha lavorato su inflessioni minime, cesellate con gusto antico, restituendo un servo astuto e molto umano, risultando credibile, convincente e bravissimo.


Zerlina ha infine trovato in Anna-Doris Capitelli una voce fresca, diretta, chiara, ma non esile. La sua interpretazione, semplice e seducente, ha mostrato un controllo ammirevole dell’intonazione e della linea del canto. Accanto a lei Leon Kosavic ha delineato un Masetto solido, ben timbrato, genuino nella resa del personaggio, senza mai scadere nella banalità. Entrambi hanno dato vita a una coppia scenicamente credibile e vocalmente molto ben definita.


Il Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini, pur non essendo abitualmente dedito a questo repertorio, ha mostrato un’efficacia sorprendente: compatto, preciso, ben equilibrato, con una sezione maschile particolarmente incisiva nella scena finale.


La serata si è conclusa con applausi calorosissimi, rivolti a tutti gli interpreti ma soprattutto al maestro Muti, accolto con affetto sincero, che il lo stesso maestro ha riscontrato nel suo breve intervento finale di ringraziamento e di saluto. Una chiusura che ha restituito il senso profondo dell’intero progetto: trasmettere, con generosità e rigore, la grande lezione dell’opera italiana a talentuose nuove generazioni.


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