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Schubert e Bruckner • Muti

  • Lorenzo Giovati
  • 19 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Salisburgo, Großes Festspielhaus. 15 Agosto 2025.

Ferragosto a Salisburgo coincide ormai, per buonaconsuetudine, con il nome del maestro Riccardo Muti. Da anni, in questa giornata speciale, i Wiener Philharmoniker si riuniscono sul palco della Großes Festspielhaus per dar vita a un appuntamento che ha assunto i tratti del rito. La complicità tra l’orchestra e il maestro napoletano è di quelle che si costruiscono nel tempo, fatta di reciproca fiducia e di una conoscenza profonda dei linguaggi e dei gesti musicali.


La prima parte del programma è stata dedicata a un autore che rappresenta l’essenza stessa di Vienna: Franz Schubert. La Sinfonia n. 4 in do minore, detta “Tragica”, composta dal giovane Schubert nel 1816 e rimasta a lungo inedita, è uno dei cavalli di battaglia del maestro Muti, che l’ha eseguita molte volte con i Wiener, l’ultima delle quali alla Scala di Milano. Il maestro Muti ne ha dato una lettura di grande compattezza, da cui è emerso, fin dall’attacco, un suono cesellato e limpido. Nel secondo movimento, Andante, la cura del fraseggio e la nitidezza delle linee melodiche sono risultate esemplari, con un equilibrio sempre perfetto tra delicatezza e tensione. L’ultimo movimento, Allegro, è stato affrontato con energia e con precisione, senza mai cadere nell’enfasi: qui la mano del maestro si è fatta evidente nella capacità di unire incisività ritmica e chiarezza strutturale. Una sinfonia “classica” nella concezione, ma resa con quella solidità interpretativa che è cifra inconfondibile del maestro Muti.


La seconda parte del concerto ha portato il pubblico nel mondo monumentale e mistico di Anton Bruckner, con l’esecuzione della Messa n. 3 in fa minore, composta tra il 1867 e il 1868 e dedicata al vescovo di Linz Franz-Josef Rudigier. Considerata la più matura delle tre messe bruckneriane, essa rappresenta il momento in cui il linguaggio sinfonico e quello sacro del compositore si fondono definitivamente, aprendo la strada alla grande stagione sinfonica che seguirà. La scrittura è imponente, con pagine di forte densità sonora, ampi contrasti dinamici e un uso del coro che diventa pilastro dell’architettura musicale.


Il Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor si è rivelato all’altezza di questa sfida, offrendo una prova di straordinaria compattezza. La qualità del suono, la precisione negli attacchi e la potenza volumetrica hanno reso con piena efficacia l’idea di sacralità grandiosa che Bruckner persegue. Il pubblico ha tributato al coro applausi particolarmente calorosi, meritati in ogni aspetto della loro perfetta esecuzione.


I solisti hanno contribuito con efficacia al disegno complessivo: il soprano Ying Fang ha offerto un suono cristallino e luminoso; il tenore Pavol Breslik ha convinto per il timbro saldo e ben proiettato, mentre William Thomas ha conferito al basso una sonorità autorevole e piena. WiebkeLehmkuhl, pur in una parte meno in rilievo rispetto agli altri, ha mostrato musicalità e controllo, integrandosi bene nell’insieme.


La direzione del maestro Muti è stata decisiva per dare coerenza a un’opera di tale respiro. Il maestro, che si è avvicinato tardi a Bruckner, ha iniziato a esplorarne le sinfonie proprio negli appuntamenti salisburghesi di Ferragosto, e ora compie un ulteriore passo, entrando nel repertorio sacro del compositore, certamente più complesso e meno immediato. La sua lettura è rimasta fedele a una tradizione esecutiva che privilegia la chiarezza formale e il controllo del suono, senza eccessi mistici o visionari. Ma proprio in questa disciplina rigorosa si è avvertita la qualità del gesto direttoriale: la capacità di ottenere dai Wiener un suono profondo, rotondo, capace di trasmettere potenza e al tempo stesso trasparenza.


Il momento più alto è stato certamente il Credo, in cui il maestro Muti ha saputo mettere in luce tutte le sfumature e i contrasti della scrittura bruckneriana, facendo emergere, sia la forza dogmatica della proclamazione di fede, sia la tensione spirituale che attraversa la partitura. Qui la fusione tra coro, orchestra e solisti è stata esemplare, creando una compattezza sonora di rara bellezza.


Naturalmente, resta da sottolineare la prova dei Wiener Philharmoniker: un’orchestra che, pur essendo universalmente riconosciuta per qualità tecnica e nobiltà timbrica, non smette mai di sorprendere per omogeneità e raffinatezza. Il suono degli archi, vellutato e penetrante al tempo stesso, e la lucentezza degli ottoni hanno contribuito a rendere l’esecuzione un unicum di perfezione sonora.

Il concerto si è concluso tra applausi scroscianti e una standing ovation calorosa, giusto riconoscimento per un’esecuzione esecutivamente impeccabile e interpretativamente solida. Non un’interpretazione visionaria o innovativa, ma una lettura meditata, profonda e rigorosa, che ha restituito con chiarezza il senso del sacro e della monumentalità bruckneriana.


Un Ferragosto a Salisburgo che conferma, ancora una volta, il legame indissolubile tra Muti, i Wiener e un pubblico che lo attende come parte integrante della festa stessa.


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