Die Entführung aus dem Serail • Capuano
- Lorenzo Giovati
- 25 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Torino, Teatro Regio. 16 Novembre 2025.
La nuova edizione de Il ratto dal serraglio presentata dal Teatro Regio di Torino il 16 novembre 2025 si inserisce nel solco di quelle produzioni che scelgono la misura e la coerenza stilistica come cifra distintiva. Non un allestimento rivoluzionario, ma una lettura che ha puntato all’equilibrio fra scena e buca, fra gesto teatrale e trasparenza musicale. L’impressione complessiva è stata quella di uno spettacolo vivace e accurato, controllato nella forma, ma non ingessato, giocato più sulla qualità dell’assieme che sulle singole prove: una produzione che, senza inseguire effetti eclatanti, ha trovato la propria forza nella giusta misura.
La direzione del maestro Gianluca Capuano ha impostato il flusso musicale secondo un principio di lucidità timbrica e di ritmo sostenuto, evitando ogni sovraccarico sonoro, soprattutto nel comparto delle percussioni, spesso soggette a facili enfatizzazioni turche. Il maestro Capuano ha scelto una conduzione che non ha mai messo l’orchestra in primo piano come protagonista autonoma, ma che ha posizionato come un accompagnamento prezioso, capace di affiancare e di sostenere i cantanti con una coerenza stilistica di rilievo. Si è trattato di un lavoro di cesello, che ha creato una relazione attenta con il palcoscenico. L’Orchestra del Regio ha risposto con prontezza, producendo un suono compatto, elegante, nitido, anche se non particolarmente voluminoso. Buona la prova del coro del Teatro Regio e dei quattro Giannizzeri: Pierina Trivero, Laura Realbuto, Roberto Guenno e Roberto Calamo.
Sul piano scenico la regia di Michel Fau, ripresa da Tristan Gouaillier, ha proposto una visualità di chiara impronta settecentesca, pulita nelle linee e fedele all’impianto tradizionale del Singspiel. Una regia che ha privilegiato posture, simmetrie, gesti calibrati, con una costruzione volutamente più statica rispetto a letture moderne, maggiormente dinamiche. La staticità formale è stata bilanciata da alcuni inserti di ironia, dosati con intelligenza e senza eccessi, e soprattutto da alcuni episodi visivi più inventivi, tra cui ha spiccato la scena finale con il Pascià Selim che si muove su un tappeto volante, una soluzione che ha rotto la continuità della compostezza precedente, offrendo un’immagine, tanto inattesa, quanto perfettamente integrata nel tono generale dell’allestimento. Nel complesso la sensazione è stata quella di una regia che non ha preteso di reinventare l’opera, ma che l’ha servita con consapevolezza.
La compagnia di canto si è rivelata non dominata da grandi voci, ma composta da un insieme ben assortito, in cui ciascun interprete ha saputo inserirsi in un quadro unitario. Il ruolo di Konstanze è stato affidato a Olga Pudova, che ha offerto una prova tecnicamente solida, con una linea vocale pulita in tutti i registri, una gestione accurata delle agilità e un fraseggio sempre controllato. La sua è una vocalità non imponente, ma ben focalizzata e particolarmente adatta al ruolo.
Accanto a lei il Belmonte di Alasdair Kent ha mostrato una voce dal colore naturalmente predisposto al personaggio, pur con qualche sforzo negli acuti, talvolta con un margine di intonazione non sempre impeccabile. Eppure, la musicalità complessiva e la correttezza dell’emissione hanno prevalso, rendendo la sua interpretazione equilibrata, soprattutto nelle sezioni più distese del ruolo.
Molto affiatata è stata anche la coppia costituita da Manuel Günther (Pedrillo) e Leonor Bonilla (Blonde): lui particolarmente vivace, con un fraseggio concreto e ben articolato, capace di dare ritmo scenico alle situazioni comiche; lei fresca nella vocalità, con un timbro leggero, ma penetrante, e con un’agilità naturale che ha dato brillantezza alle sue arie, distinguendosi senza mai sovrapporsi alla più lirica Konstanze.
L’Osmin di Wilhelm Schwinghammer si poi è imposto come figura scenica ben definita, con una voce ampia e uniforme e una dizione chiara, che ha restituito l’asprezza del personaggio senza scadere nel caricaturale o nel grossolano.
Adeguato, infine, è apparso il Pascià Selim di Sebastian Wendelin, in voce recitante, presente in scena con misura e controllo.
Ciò che rimane di questa produzione è dunque l’immagine di uno spettacolo preparato con cura e con una chiara idea di coerenza stilistica. La realizzazione musicale, la coesione dei cantanti e l’impianto scenico tradizionale, ma non museale, hanno reso l’opera un’esperienza gradevolmente vivace.




















