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Messa da Requiem • Harding

  • Lorenzo Giovati
  • 7 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

Roma, Cavea dell’Auditorium Parco della Musica. 2 Luglio 2025.

La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, per la sua spiritualità e per i suoi contrasti dinamici tra pianissimi e fortissimi, non è forse la composizione più indicata per una programmazione estiva all’aperto. D’altro canto, come ricordava Toscanini: «All’aperto si gioca a bocce». Tuttavia, la stagione estiva dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha saputo smentire l’aforisma toscaniniano, proponendo uno spettacolo di altissimo livello, favorito dalla presenza di eccellenti interpreti, da uno spazio comodo e suggestivo (la Cavea dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone) e da un’amplificazione discreta, ma efficace. Ha quindi ripreso vita, per la seconda volta in questa stagione (dopo la prima esecuzione in ottobre nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura), il capolavoro verdiano per orchestra, coro e solisti. Insieme al magnifico coro dell’Accademia di Santa Cecilia, si è fatto notare musicalmente, data la location estiva, anche qualche isolato e simpatico gabbiano, che non ha perso occasione per farsi sentire.


Sul podio si trovava Daniel Harding, che ha così concluso la sua prima, trionfale stagione come direttore stabile dell’Accademia romana. La sua direzione, come già osservato nella proposta autunnale, si inserisce in una prassi consolidata e non brilla per invenzione o suggestione (come quella di Teodor Currentzis), ma riesce comunque a emozionare grazie a una cura meticolosissima di ogni dettaglio. Ne è risultata una prestazione di grande professionalità e di notevole attenzione musicale, evidente ad esempio negli accenti del coro o negli attacchi, condotti con precisione chirurgica. Apprezzabile anche la gestione del fraseggio orchestrale e la scelta dei tempi per le varie sezioni, mai troppo affrettati, né eccessivamente comodi. Un’esecuzione impeccabile e di alto livello.


L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha offerto, come di consueto, una prova maiuscola per coesione, precisione e qualità del suono, sempre nitido e intonatissimo. Eccellente la sezione dei fiati, in particolare tromboni e trombe (alcune delle quali collocate anche sulla tribuna superiore per il Tuba mirum).


Straordinario per coesione, morbidezza e precisione il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, preparato in modo impeccabile dal maestro Andrea Secchi.


Il fronte solistico non poteva che essere all’altezza dell’occasione. Fra tutti ha brillato la bravissima Federica Lombardi, soprano mozartiano d’elezione ma capace di imporsi con autorevolezza anche in repertorio verdiano, grazie a una voce di grande bellezza e di ottimo spessore. Il suo timbro, qualitativamente eccellente, non risulta forse particolarmente agile e lieve negli acuti (specie in quello del Libera me), ma è sempre precisissimo nell’intonazione. La sua interpretazione, cesellata nel dettaglio, ha denotato un’ottima maturità artistica.


Notevole è stata anche la prova del mezzosoprano Teresa Romano, dotata di uno strumento vocale decisamente corposo e voluminoso, gestito con grande attenzione quanto a intonazioni e dinamiche.


Più discreta la prestazione del tenore Francesco Demuro, la cui voce chiara, ma strutturata, non è apparsa del tutto congeniale a questo repertorio. A Demuro va comunque riconosciuto il merito di aver ben compreso il senso profondo della Messa, che, come sosteneva Verdi, «non va cantata come un’opera», riuscendo a creare contrasti dinamici e alleggerendo la voce, sia nell’Ingemisco, che nell’Hostias, ed evitando di cantare costantemente a voce piena come talvolta si sente fare. Peccato che, pur con intonazioni generalmente precise, alcuni momenti di piano si siano risolti in un simil-falsetto non particolarmente seducente.


Sempre elegante e convincente il basso Giorgi Manoshvili, che ha nuovamente messo a disposizione il suo timbro scuro e penetrante per la Messa da Requiem. Al netto di un brevissimo cedimento di intonazione (verso la conclusione del Mors stupebit), probabilmente imputabile ai limiti acustici di un’esecuzione en plein air, Manoshvili ha sfoggiato grande sicurezza, intonazioni solide e un’interpretazione insieme austera e inquietante.


In definitiva, una serata che ha saputo dimostrare come, con interpreti di questa levatura e un’organizzazione impeccabile, anche la musica più densa di raccoglimento e pathos possa trovare spazio e grande successo sotto un cielo estivo.


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