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L'Elisir d'amore • Quatrini

  • Lorenzo Giovati
  • 16 mar 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 18 mar 2024

Parma, Teatro Regio. 15 Marzo 2024.

Ieri sera, al Teatro Regio di Parma, è andato in scena il secondo titolo della stagione lirica 2024, L'Elisir d'amore di Gaetano Donizetti. Il titolo, che segue il Barbiere di Siviglia e che precede la Tosca in programma a maggio, è stato accolto dal pubblico parmigiano con una diffusa approvazione, ma anche con qualche riserva, che mi sento di condividere.


La nuova produzione, che concretizza un lodevole sforzo realizzativo da parte del Teatro, era affidata, per la parte musicale, alla direzione del maestro Sesto Quatrini, e per la parte registica, all’inspirazione del giovane regista Daniele Menghini, cresciuto alla scuola di Graham Vick e Robert Wilson.


Entrambi, io credo, pur in modo tra loro differente, hanno contribuito ad una messa in scena della celebre opera donizettiana che mi è parsa, nel suo insieme, non particolarmente fluida e sostanzialmente priva di quella freschezza e di quella gioiosità che qualificano invece la vena compositiva del Maestro Donizetti in questa specifica partitura (ed ancor più nel Don Pasquale).


Il maestro Sesto Quatrini ha condotto i complessi orchestrali del Teatro Comunale di Bologna scadendo tempi prevalentemente rapidi, che però raramente mi sono parsi davvero felici. La sua direzione, mi è sembrata a volte carente di brio, a volte vivace e colorita, ma quasi mai elegante come la partitura avrebbe richiesto e interpretativamente abbastanza sbiadita. Ho colto anche una coesione non ottimale tra la buca e il palcoscenico che ha portato ad alcune sfasature esecutive, forse migliorabili con il progredire delle recite che sono in programma.


Ad una direzione non in grado di assicurare alla rappresentazione un’esecuzione pienamente godibile ha fatto poi da contrappunto, in palcoscenico, un’impostazione registica, quella del regista Daniele Menghini, che ha gravitato attorno ad un’idea certamente interessante, tra l’altro sostenuta da una realizzazione curatissima nei costumi, a conferma della rimarchevole professionalità delle maestranze del Teatro, consistente nel rappresentare il personaggio di Nemorino, vero protagonista dell’opera, come l'unico personaggio umano, all'interno di un mondo composto solo da maschere e da burattini, in chiaro e garbato omaggio all’antica tradizione burattinaia parmigiana. L’idea mi è sembrata però essere sviluppata con proprietà tecnica, ma anche con modesta carica empatica, tramite un eccesso di movimenti scenici, poco contestualizzati con la musica donizettiana, spesso non divertenti e alcune volte anche rumorosi, che hanno sortito l’effetto di costringere il fluire naturale della musica all’interno di una costruzione scenica un poco caotica, emotivamente scarica e, tutto sommato, di scarso aiuto alla godibilità dell’ascolto.

Anche il palcoscenico ha inevitabilmente risentito di questi limiti d’impostazione.


Il tenore Francesco Meli, assente alla prova generale e antigenerale perché dato per indisposto, si è confermato un Nemorino professionale ed efficace, sebbene la sua bella voce risenta ormai di un ispessimento che è palese sol per chi ricordi la sua performance al Teatro Carlo Felice di Genova nel 2017. Esecutivamente, la sua linea di canto, pur sempre controllata, mi è parso che non di rado abbia lasciato trasparire qualche sforzo, soprattutto nelle mezze voci e nel dosaggio del volume vocale. Ciò non toglie però che la sua interpretazione sia stata comunque ottima e diversamente non avrebbe potuto essere. Nemorino è infatti un personaggio che il tenore genovese porta in scena ormai da molti anni e ieri sera questa sua profonda conoscenza del ruolo è emersa evidente. E non solo nell’interpretazione di "Una furtiva lagrima", in cui, da consumato artista, ha dato il meglio di sé, offrendo anche un bis sollecitato dal pubblico.  


Nina Minasyan, nel ruolo di Adina, si è distinta per una performance tecnicamente pregevole, anche se la sua voce, non certamente sontuosa, le ha posto un limite interpretativo assai rilevante. Non è infatti riuscita ad infondere alla sua Adina la profondità e la varietà emotiva che appartengono ai codici genetici del personaggio, che è parso sostanzialmente incolore, quasi di legno, in linea con la matrice registica generale.

 

Roberto de Candia, nel ruolo del Dottor Dulcamara, ha invece offerto una prestazione vocalmente notevole e accurata. La sua dizione chiara e l’intonazione precisa hanno reso la sua interpretazione del ruolo vivace e colorita, ma mai eccessivamente caricata, evidenziando un’indiscutibile abilità tecnica e una piena padronanza del personaggio. Ottima è stata anche la sua presenza scenica, sebbene l’impostazione registica ne abbia penalizzato la componente buffa, che gli è assai congegnale. 


Non alla pari mi è sembrato invece il Belcore di Lodovico Filippo Ravizza, scenicamente appropriato, ma interpretativamente sbiadito, lontano dal restituire compiutamente l’altezzosità di maniera del militare tronfio e arrogante che si contrappone all’ingenuità e alla semplicità di Nemorino. Dalla sua, però, Ravizza ha la giovane età, che certamente gli consentirà di conseguire importanti miglioramenti, oltre che di perfezionare lo studio della parte per averne una maggiore comprensione vocale.


Ha completato il cast la Giannetta di Yulia Tkachenko i cui interventi sono stati sempre appropriati.


La prestazione del Coro del Teatro Regio, eccellentemente preparato dal maestro Martino Faggiani, è stata ottima come al solito.


Discreta, nel complesso, mi è parsa anche l'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna che, dopo il Trovatore del settembre scorso, ha riconfermato la propria debolezza nella sezione degli ottoni, compensata però da una certa brillantezza della sezione degli archi.


In conclusione, pertanto, anche in base alle opinioni raccolte durante l'intervallo e alla fine dello spettacolo nel foyer, lo spettacolo è stato di discreto livello, non senza però qualche ombra, soprattutto nella sua impostazione generale. 




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