Henze e Bruckner • Thielemann
- Lorenzo Giovati
- 31 mar
- Tempo di lettura: 4 min
Berlino, Philharmonie. 25 Marzo 2025.
In occasione del settimo Abonnementkonzert dello Staatsoper Unter den Linden, approfittando della temporanea assenza dei Berliner Philharmoniker, impegnati a Baden-Baden per i preparativi del Festival di Pasqua, la Staatskapelle Berlin, orchestra stabile dello storico teatro dell’opera, si è trasferita alla Philharmonie, dove, guidata dal maestro Christian Thielemann, ha proposto un programma denso e suggestivo, capace di richiamare un pubblico numeroso per due serate consecutive.
Primo brano della serata è stato Sebastian im Traum di Hans Werner Henze, compositore tedesco tra i più eclettici del Novecento, che ha unito tensione politica, eleganza formale e libertà stilistica in un linguaggio capace di attraversare serialismo, lirismo e sperimentazione. La sua musica, inquieta e teatrale, riflette sempre un’urgenza espressiva, in particolare nel poema sinfonico Sebastian im Traum (2004–2005), ispirato ai versi visionari di Georg Trakl, in cui la scrittura è rarefatta, sospesa, come immersa in un sogno febbrile. L'esecuzione di Thielemann ha saputo unire la precisione sonora dell'orchestra (e soprattutto della sezione delle percussioni, particolarmente ampia) e la sua grande comprensione della partitura, resa evidente soprattutto da un gesto nitido e intellegibile, nonostante la partitura tipicamente moderna e per questo priva di una melodia riconoscibile.
Successivamente è stata eseguita la Sinfonia n. 6 di Anton Bruckner, musicista di cui il maestro Thielemann è considerato ad oggi il maggior interprete. La sua visione ha saputo coniugare ancora una volta un ineccepibile rigore tecnico e una solidità esecutiva eccellente, seppur molto improntata a sonorità più cupe e “tedesche”, rispetto a quelle di altri grandi interpreti. Spesso considerata la “sorella minore” nel corpus delle sinfonie bruckneriane, la Sesta ha patito a lungo un’immeritata marginalità, forse a causa della sua struttura più contenuta e della sua apparente linearità formale. Eppure, è proprio in questa forma più compatta che si cela un’originalità sorprendente, fatta di tensione interna, coerenza tematica e invenzione timbrica.
Il primo movimento si impone fin dall’inizio con decisione: lo slancio tematico, sostenuto da un ritmo puntato incalzante, crea un senso di moto inarrestabile, a cui Thielemann ha saputo dare un respiro ampio e maestoso. La sua direzione si è distinta per una lucidità strutturale notevole. L’orchestra ha restituito con omogeneità e forza plastica il vigore di questa pagina, trovando un giusto equilibrio tra potenza sonora e sobrietà interpretativa.
Il secondo movimento, Adagio, si è rivelato il cuore pulsante della sinfonia, in cui la scrittura bruckneriana tocca vertici di lirismo intimo e raccolto. Thielemann ha scelto un tempo molto disteso, quasi contemplativo, che ha permesso alla melodia principale di emergere con naturalezza e alla struttura armonica di respirare in tutta la sua ricchezza. La coda, in particolare, ha brillato per leggerezza e per trasparenza: su un tappeto sonoro rarefatto, la linea melodica è sembrata sospesa, in un equilibrio fragile, ma perfettamente controllato. La Staatskapelle Berlin ha offerto in questo passaggio una prova magistrale di sensibilità: l’impasto timbrico degli archi, morbido e vellutato, ha sorretto con eleganza i dialoghi interni.
Nel Scherzo, l’approccio di Thielemann è stato meno muscolare di quanto ci si potesse attendere: invece di sottolineare gli aspetti più burberi e marcatamente ritmici, ha preferito valorizzare l’elemento giocoso e sottile di questa pagina, mettendone in luce l’ironia nascosta. Il risultato è stato uno Scherzo dinamico, ma mai aggressivo, condotto con leggerezza e con grande senso del dettaglio. Il trio centrale, con il suo carattere più cantabile e disteso, ha offerto un contrasto ben calibrato, non inteso come frattura, bensì come naturale evoluzione.
Il Finale ha chiuso la sinfonia con una tensione controllata, in cui Thielemann ha saputo dosare con intelligenza il crescere progressivo della materia sonora. L’orchestra, mai sbilanciata verso un eccesso di monumentalità, ha accompagnato il direttore in una lettura che ha privilegiato la chiarezza espositiva, la coerenza interna e l’equilibrio dinamico. Il ritorno dei motivi precedenti è avvenuto senza forzature, ma con naturalezza e rigore.
Thielemann ha così restituito alla Sesta sinfonia tutta la sua statura: non un’opera “minore”, ma una pagina profondamente coerente e riflessiva, capace di unire concentrazione formale e poesia sonora. Una lettura che ha saputo affermarne l’identità senza bisogno di cercare eccessi o scorciatoie espressive.
La Staatskapelle Berlin si è confermata un’orchestra eccellente, dotata di una solidità tecnica invidiabile e di una notevole sensibilità timbrica. Sotto la direzione di Thielemann, ha dimostrato una piena aderenza alla sua visione interpretativa, rispondendo con precisione alle variazioni di tempo e dinamica, e garantendo una coesione d’insieme sempre affidabile. La sezione degli archi ha sostenuto l’intera struttura sinfonica con un suono compatto e ben equilibrato, senza mai risultare pesante. I fiati, precisi e mai invasivi, hanno offerto un sostegno efficace, emergendo con chiarezza nei momenti più esposti. Le percussioni, sempre misurate, hanno contribuito con sobrietà alla costruzione del discorso musicale. Nel complesso, la prova della Staatskapelle è stata quella di una compagine di grande qualità, capace di unire rigore e flessibilità, mantenendo un suono nitido e ben definito tanto nei passaggi più energici, quanto in quelli più lirici.
Il successo è stato caloroso, suggellato da lunghi applausi che hanno confermato l’apprezzamento del pubblico per un’esecuzione di altissimo livello, intensa e rigorosa, nel segno di una tradizione interpretativa che continua a rinnovarsi con autorevolezza.