Brahms e Tchaikovsky • Caetani
- Lorenzo Giovati
- 2 feb
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Parma, Auditorium Paganini. 31 Gennaio 2025.
Nonostante il gravoso impegno nelle recite di Giovanna d’Arco ancora in corso al Teatro Regio di Parma, la Filarmonica Toscanini è riuscita a inserire un concerto sinfonico all'interno di una fittissima agenda di concerti. Il podio è stato affidato al direttore svizzero Oleg Caetani, che ha proposto un attraente programma, che spaziava dal Concerto per Violino e Orchestra di Brahms, alla sesta travolgente sinfonia di Tchaikovsky.
Nell’esecuzione del Concerto di Brahms, la cui impegnativa parte solistica è stata affidata al violinista Boris Belkin, l’equilibrio tra l’orchestra e il solista è apparso non di rado incerto e non è quasi mai riuscito a risolversi in una reale coesione. L’intesa tra i due poli interpretativi è rimasta spesso sospesa, senza che il dialogo tra il violino e l’orchestra si sviluppasse in un flusso omogeneo e organico. Belkin ha dato prova di un solido virtuosismo e di una tecnica sicura, riuscendo a padroneggiare le difficoltà del Concerto con disinvoltura. Tuttavia, alcune imprecisioni nell’intonazione e una certa algidità interpretativa hanno smorzato l’impatto espressivo della sua esecuzione. La direzione del maestro Caetani, per parte sua, non ha contribuito a valorizzare appieno la ricchezza timbrica e strutturale della partitura. L’orchestra ha suonato con compattezza, ma il suono è risultato spesso opaco e poco definito, privo di una chiarezza dei piani sonori. L’assenza di dettagli cesellati e di un’attenzione dinamica più sfumata ha reso l’accompagnamento orchestrale uniforme e poco incisivo, privo di quel respiro necessario per dare profondità alla narrazione musicale. Il primo movimento, pur mantenendo una certa solidità esecutiva, è risultato povero di un vero slancio espressivo ed eseguito in modo corretto, ma statico. Il secondo movimento, che avrebbe richiesto un maggiore respiro lirico e un più attento gioco di rubato, è stato anch’esso piuttosto uniforme, sia nel tempo, sia nella dinamica. Solo nel terzo movimento si è percepita una maggiore coesione tra orchestra e solista: la brillantezza ritmica e la vivacità dell’esecuzione hanno finalmente espresso energia e dinamismo, offrendo il momento più riuscito dell’intero concerto. L’esecuzione è stata nel suo insieme gradevole, ma non tale da lasciare un segno significativo nella memoria degli spettatori.
Se la prima parte del concerto non era riuscita a convincere del tutto, men che meno ci è riuscita la seconda, molto, e giustamente attesa, dal pubblico. La Sinfonia Patetica (n. 6) di Tchaikovsky, nella lettura proposta dal maestro Caetani, non è risultata particolarmente riuscita, né per la sua impostazione espressiva, né per il bilanciamento dei volumi orchestrali. Il primo movimento, con il suo lento e sospeso Adagio introduttivo, che sfocia poi nel più ampio Allegro non troppo, ha faticato a trovare un respiro unitario. La prima parte, che avrebbe dovuto costruire un’atmosfera di attesa e di tensione, è apparsa invece appesantita da volumi eccessivi e da dinamiche poco cesellate. Il successivo slancio frenetico del movimento, anziché risultare trascinante, è stato poi condotto con un tempo sorprendentemente lento. L’orchestra ha risposto al gesto del direttore con buona coesione, ma la sezione degli ottoni, costretta a suonare fortissimo, ha espresso non di rado un suono ruvido, poco raffinato e privo di controllo timbrico, rendendo l’apice del movimento più sgraziato, che imponente. Il secondo movimento, un Allegro con grazia dal carattere danzante e dalla scrittura strumentale finissima, ha visto sacrificata la delicatezza del suo impianto sull’altare di un’esecuzione costantemente troppo marcata, caratterizzata da volumi eccessivi, che hanno appiattito il gioco dei chiaroscuri e cancellato ogni traccia della leggerezza e della levità che sono sottese a questa pagina. Il terzo movimento, uno dei momenti più celebri della sinfonia per il suo carattere quasi marziale e la sua irresistibile progressione ritmica, è parso cedere ad una tentazione metronomica, senza palesare una particolare varietà degli accenti. Il tempo scelto non è stato, né particolarmente incalzante, né capace di creare un crescendo di tensione, con la conseguenza che, alla prova della durata, si è fatta avvertire la tendenza ad una certa monotonia, accompagnata dall’impressione di un’esecuzione vagamente inerziale. Il cuore drammatico della sinfonia, il quarto movimento, ha concluso la serata, consolidando la percezione di un’esecuzione decisamente distaccata, priva di un vero tormento emotivo.
La Filarmonica Toscanini, esposta ad una prova impegnativa, ha saputo offrire una prestazione tecnicamente apprezzabile, in cui è emersa una solida coesione dell’insieme e una sezione degli archi che si è distinta per un buon velluto, anche se non per pari volume. Anche i fiati, nel complesso, hanno fornito un buon sostegno, con interventi precisi e ben calibrati. A penalizzare il risultato complessivo è stata soprattutto la sezione degli ottoni, il cui suono non è sempre risultato gradevole, nel contesto di un’esecuzione che, a tratti, è parsa un poco caotica.
Nel complesso, pertanto, il concerto è stato inferiore alle attese, anche se, grazie soprattutto alla gradevolezza estrema del programma, al suo termine non sono mancati gli applausi.