Roméo et Juliette • Quatrini
- Lorenzo Giovati
- 16 feb
- Tempo di lettura: 5 min
Napoli, Teatro di San Carlo. 15 Febbraio 2025.
Nel periodo della festa di San Valentino, il Teatro San Carlo di Napoli ha proposto al pubblico un'interessante messa in scena della storia d'amore per eccellenza: quella tra Romeo e Giulietta, nella versione di Charles Gounod, che insieme alla realizzazione di Berlioz (e in parte anche Bellini) e alla elaborazione di Prokofiev in forma di balletto, ha tratto dalla tragedia shakespeariana forse la proposta più nota al grande pubblico.
A dirigere questa raffinata partitura, nel suo debutto al Teatro di San Carlo, vi è stato il maestro Sesto Quatrini, il quale ne ha offerto un’interpretazione complessivamente solida, che si è distinta soprattutto per la cura nelle scelte timbriche e agogiche. Sin dalle prime battute è emersa una pregevole sensibilità nel bilanciamento dei piani sonori, un’attenzione particolare al rapporto delle componenti orchestrali e una tendenza ad evitare eccessi enfatici e a mantenere una pregevole coerenza stilistica. La direzione ha raggiunto i suoi momenti maggiormente felici nelle sezioni più sospese e oniriche, come è accaduto nel meraviglioso incipit del secondo atto, in cui la scelta di un tempo disteso, unitamente ad una conduzione ariosa, ha saputo esaltare la linea melodica con una levità esecutiva di grande suggestione. L’atmosfera rarefatta è stata plasmata con grande cura, facendo risaltare la trasparenza degli impasti timbrici e la fluidità della narrazione musicale. Di contro, nelle scene d’insieme, la direzione non è sempre apparsa altrettanto raffinata. Se da un lato la tensione drammatica è stata ben mantenuta, anche se risolvendosi all’interno di buona routine, dall’altro lato la coesione orchestrale, nonostante il suo impegno a esprimere un gesto preciso e leggibile, non è sempre stata inappuntabile, lasciando percepire momenti di lieve sfasamento tra le sezioni, con qualche attacco non perfettamente a fuoco. L’Orchestra del Teatro San Carlo, pur vantando un velluto apprezzabile nelle sezioni degli archi, non sempre ha offerto un suono del tutto rifinito, in particolare nelle sezioni di trombe e corni.
Anche il Coro del Teatro San Carlo, preparato dal maesteo Fabrizio Cassi, pur distinguendosi per un ottimo volume, non è apparso sempre coeso.
La componente vocale è stata, per parte sua, di ottimo livello.
Prima fra tutti la straordinaria Juliette di Nadine Sierra, la quale è parsa essere perfettamente a suo agio in un ruolo che ha interpretato numerose volte e che ormai padroneggia con una sicurezza assoluta. Anche in questa occasione la cantante americana ha confermato, non solo di possedere una voce splendida per timbro e per estensione, ma anche di usarla con intelligenza e con talento, a tutto vantaggio di una comprensione perfetta del personaggio. Il suo ritratto di Juliette è stato vivido e coinvolgente, costruito con grande sensibilità teatrale: ogni gesto, ogni movimento è risultato spontaneo e naturale, contribuendo a rendere il personaggio straordinariamente autentico e definito. La presenza scenica magnetica si è intrecciata con un fraseggio ricco di sfumature, in grado di restituire ogni emozione con precisione e con profondità. Vocalmente, la Sierra è stata impeccabile. Il suo Je veux vivre ha brillato per freschezza e per agilità, affrontato con una coloratura precisa e leggera, sostenuta da un’emissione sicura e da un fraseggio raffinato. Se già qui aveva conquistato il pubblico, è però stato nel quarto atto che la Sierra ha toccato l’apice della serata con un’interpretazione straordinaria dell’aria Amour, ranime mon courage, eseguita con una drammaticità intensa e una linea di canto di straordinaria purezza. L’ovazione è stata immediata e prolungata, con il pubblico che, travolto dall’emozione, ha richiesto un bis, poi generosamente concesso. Nonostante l’enorme difficoltà dell’aria, la Sierra l’ha riproposta con la stessa intensità e l’immutata perfezione della prima esecuzione, dimostrando un controllo vocale impeccabile e una resistenza tecnica straordinaria. Una prestazione di grande caratura.
Ottimo è parso anche il Roméo di Javier Camarena, che ha saputo costruire un personaggio spontaneo e credibile. Questa spontaneità si è riflessa anche sul piano vocale, in un canto sempre fluido e ben proiettato, sorretto da un fraseggio accurato e da una gestione dell’emissione generalmente sicura. Il tenore messicano ha saputo valorizzare i momenti più lirici, mantenendo sempre un buon equilibrio tra l’intensità emotiva e il controllo tecnico. Tuttavia, se da un lato ha mostrato una salda padronanza del ruolo, dall’altro lato, in Lève-toi, soleil non è riuscito appieno a mascherare alcune difficoltà nella gestione degli acuti, che in alcuni frangenti sono risultati meno naturali rispetto al resto della sua performance. Anche nel tentativo di alleggerire la voce sul fiato si è avvertita una certa tensione. Al netto di questi dettagli, la prestazione è però stata complessivamente molto apprezzabile.
Eccellente è stata anche la prestazione del basso Gianluca Buratto nelle vesti di Frère Laurent, costruito con una bella voce scura, sicura nelle intonazioni e accurata nel fraseggio, qualità che hanno conferito alla sua interpretazione una solidità da ottimo professionista.
Il tenore Marco Ciaponi si è distinto nei panni di Tybalt, ruolo che ha affrontato con ottima sicurezza scenica e con una vocalità limpida e ben proiettata.
Meno convincente è risultata la prova di Mark Kurmanbayev come Capulet: se l’interpretazione ha beneficiato di un coinvolgimento emotivo apprezzabile, il canto è parso meno spontaneo, penalizzato da timbro opaco e da un’emissione non sempre fluida.
Caterina Piva ha restituito uno Stephano vivace e agile, caratterizzato da una notevole naturalezza.
Di grande efficacia è stata anche la Gertrude di Annunziata Vestri, che grazie a una solida presenza scenica e a una voce dal buon volume ha saputo delineare un personaggio affettuoso e autorevole.
Ben calibrati sono infine stati i restanti ruoli di contorno, con un Alessio Arduini incisivo nei panni di Mercutio, Yunho Kim autorevole come duc de Vérone, Antimo Dell’Omo un Paris ben delineato, Sun Tianxuefei un Benvolio preciso ed espressivo, e Maurizio Bove nei panni di Gregorio.
Resta infine la regia decisamente minimalista di Giorgia Guerra, realizzata per l'ABAO Bilbao Opera e l'Ópera de Oviedo. L'allestimento è parso ridotto all’essenziale, con una messa in scena che, se da un lato ha avuto il merito di mantenersi su una linea fortunatamente tradizionale e di curare almeno l’aspetto dei costumi, dall’altro lato ha lasciato il palcoscenico pressoché sempre vuoto o quasi, privo di qualsiasi riferimento. La scenografia, quasi inesistente, si è limitata a un fondo neutro su cui sono state proiettate immagini di archi a tutto sesto e di altre forme architettoniche: un espediente visivamente suggestivo, ma che, nell’economia generale della rappresentazione, è risultato poco integrato. L’impressione di freddezza e di astrazione è stata particolarmente evidente nella camera di Juliette, uno spazio che, anziché suggerire intimità e malinconia, ha ricordato piuttosto una prigione, nel suo essere spoglio e inospitale. Anche la gestione delle masse sceniche ha risentito di questa impostazione: in diversi momenti è apparsa eccessivamente caricata, con movimenti talvolta enfatizzati più del necessario, quasi a voler compensare la mancanza di elementi di scena. L’unico tocco visivamente efficace si è avuto nel secondo atto, durante la celebre scena del balcone, quando l’intero teatro è stato immerso in una suggestiva luce blu, che ha richiamato i colori della notte e ha conferito un’atmosfera più intima al duetto tra i protagonisti. Per il resto, il risultato complessivo è stato quello di una regia statica e priva di un’evidente chiave interpretativa, che, pur senza incorrere in scelte particolarmente discutibili, è risultata convenzionale. Vi è però, e questo è un pregio, che il vuoto di scena non ha interferito con l’ascolto, né ha disturbato l’evoluzione della vicenda musicale, segnalandosi per una discrezione che oggi, in un tempo di protagonismi registici non sempre felici, non è un merito da trascurare.
In conclusione, lo spettacolo ha soddisfatto appieno le aspettative, ottenendo meritati consensi da parte del pubblico.