Die Walküre • Harding
- Lorenzo Giovati
- 29 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Roma, Auditorium Parco della Musica. 23 Ottobre 2025.
Come già accaduto negli ultimi anni, anche in questa stagione l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si è accostata al repertorio lirico soltanto in occasione dell’inaugurazione della stagione sinfonica. Dopo la splendida Tosca dello scorso anno, da cui è stato tratto anche un CD di notevole successo, il passaggio dalle calde atmosfere romane di Sant’Andrea della Valle alle cupezze nordiche del Ring di Richard Wagner ha segnato un deciso cambio di rotta. La stagione 2025/2026 si è infatti aperta con Die Walküre, titolo fra i più celebri della Tetralogia, primo tassello di un progetto che proseguirà nei prossimi due anni con Siegfried e Götterdämmerung, per culminare nel 2028 con l’esecuzione integrale del ciclo, comprensivo anche del prologo. La scelta di cominciare “dall’inizio” dell’azione, rinviando Das Rheingold, è parsa una decisione coraggiosa e coerente con la volontà di presentare un Wagner immediatamente drammatico, senza le premesse mitiche che ne preparano l’ordito.
Questa Walkiria è stata segnata da un debutto importante: quello della regia di Vincent Huguet. Il Ring in forma scenica mancava a Roma dal 1961, e mai prima d’ora si era pensato di realizzare una messa in scena all’interno dell’Auditorium progettato da Renzo Piano. Huguet ha saputo trasformare lo spazio in un palcoscenico vivo e pulsante, realizzando una regia pulita, elegante e perfettamente calibrata per valorizzare, tanto l’azione, quanto la complessa architettura musicale wagneriana. L’intelligenza visiva e la sobrietà estetica hanno permesso di evitare ogni staticità, pur con una scena fissa. L’albero stilizzato, le postazioni sopraelevate delle Valchirie, le spade e i costumi hanno contribuito a creare un universo coerente e visivamente molto apprezzabile. L’unico elemento meno riuscito, volendone trovare uno, è parso l’uso delle ombre cinesi per rappresentare i cavalli delle Valchirie: un espediente non particolarmente incisivo. Nel complesso, tuttavia, un debutto registico di grande efficacia e di eccellente gusto.
Sul versante musicale, l’inaugurazione è stata affidata al direttore artistico Daniel Harding, che ha offerto una prova di altissimo livello, caratterizzata da una direzione assolutamente meravigliosa. La sua lettura di Wagner ha colpito per originalità e per coerenza interna: Harding ha spogliato la partitura di gran parte delle sonorità più cupe e muscolari, scegliendo invece di far emergere l’eleganza, la trasparenza e la tensione sinfonica della scrittura. In questa Walkiria, l’orchestra è stata il vero centro drammatico, non più un mero sostegno delle voci, ma protagonista assoluto dell’azione. Le linee vocali, pur sempre presenti e ben integrate, si sono inserite in una costruzione orchestrale di straordinaria coesione, dove ogni dettaglio delle dinamiche, ogni cambio di colore, ogni agogica risultavano attentamente cesellati. Harding ha privilegiato una lettura limpida, costruendo un flusso sonoro che si è mosso con naturalezza e con tensione. Il respiro sinfonico, sostenuto da un controllo assoluto delle proporzioni, ha restituito Walkiria nella sua dimensione più pura, esaltando il dramma attraverso la luce, non attraverso il peso. L’ultimo atto, preparato con magistrale senso dell’attesa e culminato in un finale di travolgente intensità emotiva, ha confermato la grandezza interpretativa di Harding. Una direzione rigorosa, elegante e capace di interpretare Wagner in un'ottica non convenzionale.
L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha risposto con una prova magnifica, di impeccabile coesione e di elevata qualità sonora. Gli archi, potenti e vellutati, hanno offerto un suono pieno e flessibile; i fiati si sono distinti per precisione e per chiarezza d’articolazione; gli ottoni, compatti e perfettamente intonati, hanno dato corpo alle grandi arcate orchestrali, senza mai risultare invadenti. Le percussioni, come sempre impeccabili, hanno aggiunto ulteriore profondità e slancio al disegno complessivo. Un’orchestra in stato di grazia, perfettamente guidata da un direttore che la conosce e la valorizza in ogni dettaglio.
Sul palcoscenico si è schierato un cast ben assortito.
Jamez McCorkle ha disegnato un Siegmund di grande personalità, dotato di una voce scura, non convenzionale, ma perfettamente adatta al ruolo. Il fraseggio scolpito, la padronanza del fiato e l’intelligenza interpretativa hanno reso molto apprezzabile il monologo del primo atto, affrontato con nobile intensità e ottimo controllo espressivo.
Vida Mikneviciute ha dato vita a una Sieglinde partecipe e sensibile, forse non sempre capace di imporsi acusticamente nella vastità della Sala Santa Cecilia, ma comunque interprete raffinata, consapevole e scenicamente intensa. La sua lettura del personaggio è stata attraversata da una delicatezza autentica.
Stephen Milling ha costruito un Hunding di grande autorevolezza, dalla voce poderosa e ben timbrata, evitando ogni caricatura. La sua cattiveria, più insinuata, che ostentata, ha trovato una misura elegante e inquietante al tempo stesso.
Miina-Liisa Varela ha delineato una Brünnhilde solida e coerente, forse non magnetica per presenza scenica, ma artisticamente seria e vocalmente affidabile. La sua scelta interpretativa, più sobria, meno eroica, è apparsa funzionale a una lettura che ha posto al centro non lei, ma il tormento di Wotan di cui diventa progressivamente testimone e vittima.
Al centro, appunto, Michael Volle: un Wotan di riferimento, intenso e drammaticamente complesso. La sua è stata un’interpretazione intrisa di esperienza e di consapevolezza: la voce, nobile e piena, si è unita a un fraseggio denso, scolpito nella parola e nella psicologia. Volle ha incarnato un Wotan tormentato, lacerato fra il potere e la fine imminente.
Ottima anche Okka von der Damerau nel ruolo di Fricka, già apprezzata alla Scala nella medesima parte: presenza scenica autorevole, voce ampia e perfettamente controllata, interpretazione austera ma vibrante, capace di sovrastare Wotan con naturale superiorità.
Tutte le Valchirie hanno offerto un contributo di altissimo livello, perfettamente coese sul piano vocale e scenico. Sonja Herranen (Gerhilde), Hedvig Haugerud (Ortlinde), Claire Barnett-Jones (Waltraute), Claudia Huckle (Schwertleite), Dorothea Herbert (Helmwige), Virginie Verrez (Siegrune), Anna Lapkovskaja (Grimgerde) e Štěpánka Pučálková (Rossweisse) hanno formato un insieme compatto e ben calibrato. Particolare menzione per l’Ortlinde di Hedvig Haugerud, brillante per proiezione, chiarezza d’emissione e senso teatrale.
Un’inaugurazione trionfale, dunque, e uno spettacolo che resterà impresso per l’eccezionale livello esecutivo. Una serata davvero memorabile.




























